Luca Ferraro: ora il rischio assurdo è che il Prosecco possa anche non chiamarsi Prosecco9 min read

Qualche giorno fa Luca Ferraro, giovane produttore di Asolo Prosecco DOCG nell’azienda di famiglia Bele Casel, ha riproposto sui social un’intervista che Winesurf gli aveva fatto circa 3 anni fa, sostenendo di averci visto lungo e che quanto aveva detto sul Prosecco si stava  purtroppo avverando. A questo punto non ci restava che reintervistarlo, facendoli qualche domanda sulla situazione attuale del Prosecco DOC e DOCG. Poche domande ma tante e circostanziate risposte che dipingono un quadro non certo roseo.

Winesurf. Ciao Luca, intanto quali sono le previsioni per la vendemmia 2019?

Luca Ferraro. Ciao a tutti, l’annata pare buona, le viti sono equilibrate e la buona dotazione idrica data dalle piogge degli ultimi giorni mi fa ben sperare. Come sempre fatico a fare previsioni qualitative prima di fine ottobre, quando tutti i vini saranno stati travasati almeno una volta: ci sono ancora troppe variabili in gioco.

WS.Cosa ci possiamo aspettare? Tanta o poca produzione?

LF. Anche in questo caso difficile fare previsioni precise ma direi che non sarà sicuramente un’annata scarsa ( incognita grandine a parte).

WS. Veniamo a noi: hai ripubblicato sui social una vecchia intervista che ti facemmo nel 2016, perché?

LF. Un collega vignaiolo mi aveva fatto notare la sua attualità. Così me la sono riletta e ho capito che, purtroppo ci avevo azzeccato. Così ho deciso di riproporla. Quello che purtroppo ho centrato è il fatto di non essere riusciti a dare valore (percepito e reale) a quella che è ormai ritenuta la bollicina italiana per antonomasia. Molte aziende lavorano ancora solo sui numeri e sul prezzo, più basso possibile naturalmente.

WS. Puoi farci un quadro rapido di questi tre anni?

LF. Nel corso degli ultimi anni lo scenario è stato il seguente:

– L’aumento a doppia cifra delle vendite ha portato molti a investire piantando Glera nella speranza che prima o poi il Consorzio “Prosecco Doc” desse la possibilità di denominarla Prosecco. Si gioca alla roulette; non si fa agricoltura.  Un po’ come se si piantasse Nebbiolo solo con la labile speranza ( o la certezza) di non poterlo rivendicare Barolo. Capisci bene che i prezzi delle uve non possono che essere nettamente differenti.

– Si è piantato in zone poco vocate anzi, molto poco vocate.

– Negli ultimi anni, pur avendo tagliato tutti i fitofarmaci più impattanti, abbiamo grossi problemi con la gestione dei trattamenti fitosanitari. Una parte della cittadinanza li percepisce come un problema ed è sul piede di guerra, creando problemi anche a chi lavora eticamente e con massimo rispetto per tutti.

– Prezzi delle uve in calo. La conosciamo tutti la regola della domanda e dell’offerta, vero? Bene, aggiungiamoci anche l’effetto panico e la frittata è  fatta.

– Le uve autoctone diverse dalla Glera sono praticamente sparite e chi le produce non ha un volume produttivo alle spalle per promuoverle.

WS. Inoltre dal 2016, se non sbaglio, il numero delle bottiglie di Prosecco DOC e DOCG è aumentato non poco, mi sai dare, a braccio, due numeri, Asolo Compreso?

LF. Leggo da I Numeri del vino, uno dei siti più precisi riguardo ai dati numerici, che il Prosecco DOC viaggia attorno ai 460 milioni di bottiglie.

Come si può vedere da questi dati la crescita è costante e importante. Lo stesso trend di crescita (non i numeri!) c’è anche per Asolo e Conegliano Valdobbiadene (le 2 zone classiche) che oggi contano rispettivamente quasi 13 milioni di bottiglie per l’Asolo e poco più di 90  per il Conegliano Valdobbiadene.

WS. I numeri di bottiglie sono quindi aumentati, e gli ettari vitati? Ci pare di capire che sono aumentati molto gli ettari piantati a glera generica.

LF. Ecco, avette toccato il tasto dolente: gli impianti in collina e nelle due DOCG sono aumentati a dismisura e stanno creando problemi di sovrapproduzione. Nessun calo di vendite, il mercato va bene ma se noi cresciamo del 10% e gli impianti del 30% qualcosa non va. Dirai che è facile ragionare col senno di poi ma gli impianti a mio parere andavano chiusi 5 o 6 anni fa, come ha fatto la DOC Prosecco e poi andavano gestite le produzioni per ettaro per dare al mercato quello di cui aveva bisogno. Un ex sindaco mi disse “Luca, queste cose vanno viste con gli occhi strabici, uno che guarda vicino, nel breve periodo e uno che guarda lontano, nel lungo periodo.” Aveva ragione, con questi numeri non possiamo più permetterci di ragionare ai 6 mesi ma dovremo cominciare a fare progetti ai 5 anni, almeno.

Per la Doc la cosa è diversa, lì si è piantata molta Glera generica, come ti accennavo prima, sperando che il consorzio aprisse alla possibilità di rivendicarla come Prosecco. Tutti, dal contadino al grosso industriale, passando per il medio artigiano hanno piantato con l’idea che “tanto a qualcuno la venderò”.

Certo le prospettive c’erano, ma piantare una vigna non è la stessa cosa che comprare buoni del Tesoro. Hanno investito male, e l’effetto BOND ARGENTINI è dietro l’angolo. Nessuna associazione di categoria, consulente o mediatore ha messo sul chi va là chi ha fatto questo tipo di investimento, accennando che forse, dico forse, era necessario porre attenzione agli scenari futuri. Tutti dovevano guadagnare dall’affare Prosecco e in una sorta di corsa all’oro chi ci rimetterà alla fine sarà soprattutto chi da sempre vive solo di questo. A ruota tutto il comparto e il tessuto sociale.

WS. Il quadro che tracci non è certo roseo. Però bisogna anche dire che i consorzi di tutela hanno promulgato dei “blocchi” di produzione, diminuzioni della resa e altre misure. Te la senti di spiegarlo ai nostri lettori?

LF. La DOC ha le rivendicazioni degli impianti bloccati da anni, le 2 DOCG invece ci sono arrivate nel 2019: il 31 luglio di quest’anno era l’ultimo giorno utile per piantare Glera atta a dare Prosecco Superiore DOCG (Asolo e Conegliano-Valdobbiadene).

Inoltre tutti e 3 i consorzi hanno deciso di porre uno stoccaggio obbligatorio. Lo stoccaggio prevede che una quota della produzione di una denominazione rimanga in cantina non utilizzabile per la denominazione stessa fintanto che il consorzio di riferimento, una volta valutate le condizioni generali del mercato, non valuterà la necessità di liberarle, autorizzandole per la denominazione oppure declassandole. Insomma una sorta di cuscinetto per il mercato.

Nello specifico abbiamo, fermo restando che le rese massime per ettaro sono 180 nella DOC e 135 nelle DOCG

–       Nella DOC stoccaggio dai 150 a 180 quintali (30 quintali di stoccaggio)

–       Nelle DOCG stoccaggio dai 120 ai 135 quintali (15 quintali di stoccaggio)

Quest’azione si è resa necessaria da giacenze che devono essere ridimensionate per non andare a collassare il mercato.  Se i consorzi non sbloccheranno quelle quantità, il vino in molti casi potrebbe diventare generico “vino bianco”.

Capisci che sommando qualche migliaio di ettari di glera generica piantata  (che per far guadagnare il contadino dovrà avere rese altissime per ettaro)  e i blocchi produttivi che quasi sicuramente ci costringeranno a declassare parte della produzione, si arriverà ad avere sul mercato una quantità folle di spumante generico, che le aziende cercheranno di etichettare con un labelling “prosecco oriented” e, paradossalmente, spesso con la qualità di un DOCG.

WS. In definitiva si potrebbe arrivare ad avere un surplus di vino da uve Glera che non sarà possibile chiamare Prosecco: questo a che problemi potrà portare?

LF. Ci abbiamo messo anni a far conoscere il nome Prosecco, ora stiamo insegnando al consumatore che il Prosecco può anche non chiamarsi PROSECCO. Assurdo, no?

Senza contare, inoltre, che in tutto questo, l’azienda verticale virtuosa, quella che si imbottiglia e vende tutta la propria uva, si troverà monca di parte della produzione e potrebbe essere costretta ad acquistare uva o vino sul mercato.

WS. Cosa proponi per cercare di risolvere questa situazione non certo facile, anche in una fase positiva di mercato?

LF. Non c’è alternativa alla variabilità delle rese: champagne docet e dovremo abituarci a questo sistema. Dall’altra parte tutte le aziende dovranno cominciare a pagare le uve per il valore qualitativo, non solo perché si chiamano Asolo, Valdobbiadene o Prosecco Doc: in questo modo le zone migliori emergeranno. In seconda battuta dovremo far tornare sui banchi di scuola i contadini, facendo capire loro che è tempo di pensare alla vigna con logiche diverse, puntando alla qualità, non si discute. I consorzi stanno lavorando su questo fronte e noi siamo con loro.

Inoltre dovremmo trovare il modo di penalizzare le aziende che producono vini generici spacciandoli per Prosecco. Il mercato è libero e non possiamo vietarglielo, ma un mezzo bastone tra le ruote potremo pur metterglielo, no?

E già che ci siamo dovremmo mandare i manager dei nostri consorzi nella zona del Moscato, del Lambrusco, del Chianti, in Oltrepò, in Puglia o in Sicilia. Abbiamo degli esempi da studiare, la storia che ci insegna come evitare il tracollo.

Il mondo del Prosecco è costituito da molte anime. In un modo o nell’altro tutte hanno contribuito al successo di questo vino e tutte hanno delle criticità. Ora dobbiamo cominciare a lavorare insieme affinché la qualità, il saper fare, la ricerca del benessere del territorio, siano il punto d’ incontro comune per gestire al meglio questa fase.

WS. La FIVI, di cui fai parte, ha qualche proposta in merito?

LF. La Fivi come ben sai è strutturata in delegazioni. La delegazione di Treviso aveva scritto una lettera con delle proposte al Consorzio Conegliano Valdobbiadene, ma in questo momento sono parse “non applicabili”. Non ci arrendiamo però: vorremmo trovare dei punti di incontro per essere propositivi e di aiuto per nostro territorio, portando avanti la nostra identità di vignaioli.

Sia chiaro, i vignaioli iscritti a Fivi non fanno milioni di bottiglie e non hanno il peso che meritano nei Consorzi a causa di regole di rappresentatività che li penalizza.  Sono stati presenti nel territorio prima del boom del Prosecco, ne hanno costruito spesso la qualità. Ci sono stati nel periodo d’oro continuando a porre attenzione alle criticità e facendo un po’ le Cassandre della situazione.

Ma saremo qui, sul territorio anche in caso di scenari futuri poco piacevoli. Vorremmo che siano queste le voci ascoltate e non quelle degli industriali o dei dentisti che hanno investito in cerca di guadagni facili, proprio perché sono quelle che hanno più a cuore il territorio inteso come sistema.

WS. Che scenari potrebbero presentarsi?

 LF. Gli scenari da qui a 5 anni possono essere molti e noi vorremmo evitare quelli più disastrosi.

Te ne ipotizzo solo uno:

– prezzi della glera generica, DOC e DOCG in drastico calo

– Così produrre nelle vigne di glera generica o addirittura nelle vigne di collina più vocate ma impervie diventa antieconomico

– Conseguente abbandono del vigneto.

– Quell’appezzamento di terreno diventerà focolaio dello scafoideo, l’insetto vettore della flavescenza.

– quindi vigne, soprattutto di chi è a regime biologico, con grossissimi problemi di flavescenza.

– Conseguente possibile espianto anche di vigneti produttivi di zone vocate.

WS. Speriamo proprio che quanto dici non si avveri

LF. La Fivi è in prima linea da sempre per proteggere la figura del vigneron produttore che vive sul territorio. Queste figure sono le prime ad avere paura di questi scenari e a  non volere che diventino reali, perché le loro e le nostre radici sono piantate nel cuore del Prosecco.

Redazione

La squadra direbbe Groucho Marx che è composta da “Persone che non vorrebbero far parte di un club che accetti tipi come loro”. In altre parole: giornalisti, esperti ed appassionati perfetti per fare un lavoro serio ma non serioso. Altri si aggiungeranno a breve, specialmente dall’estero, con l’obbiettivo di creare un gruppo su cui “Non tramonti mai il sole”.


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