La storia del Chianti Classico passa da Greve in Chianti e dalla sua UGA5 min read

Una degustazione di vecchie annate di Chianti Classico deve per forza portare con sé diversi messaggi, a maggior ragione se si va indietro nel tempo fino al 1979 e se in campo scendono cantine che hanno segnato gli ultimi 50 anni di questa denominazione. Se ci mettiamo poi che il tutto si muoveva all’interno dell’UGA (Unità Geografica Aggiuntiva) di Greve in Chianti, uno dei paesi chiantigiani che da sempre, anche per la vicinanza con Firenze, è ruotato attorno al vino, le impressioni vanno spesso a coincidere con la storia di un territorio.

Per questo ho subito detto si all’invito dei produttori di Greve in Chianti e giovedì 29 agosto mi sono presentato nella sala consiliare del comune di Greve per una degustazione guidata dalla brava e competente Cristina Mercuri.

I vini li trovate nella foto qua sopra e come vedete appartengono non solo a zone diverse del territorio dell’UGA ma chi conosce un po’ il Chianti Classico ritroverà cantine nate e sviluppatesi in maniera completamente diversa: da quelle, sicuramente le più antiche, nate da storie nobiliari (Villa Calcinaia , Castello di Querceto e Castello di Verrazzano) a quelle sbocciate grazie all’amore per il Chianti Classico di famiglie e personaggi provenienti da altre nazioni (Castello di Vicchiomaggio e Querciabella in testa) passando per diverse “sfumature storiche” a comprendere tutte le altre.

Quindi non solo un panorama enoico che presenta terreni diversi, ma anche e soprattutto, visto che si parla di annate storiche, di storie diverse viste attraverso il cambiamento e lo sviluppo sia in vigna che in cantina di questo territorio.

Partiamo con il 1979 Riserva del Castello di Verrazzano, vino che, senza offesa, rappresenta l’archeologia enoica chiantigiana: non soltanto per l’uvaggio tra sangiovese e le uve bianche ma proprio per come si presenta al naso e al palato. Vino che oggi definiamo rustico, con tannicità ancora marcata e con naso sicuramente molto maturo. Si percepisce una vinificazione per niente toccata da concetti moderni come controllo di temperature e utilizzo di vasche in acciaio, puntata su due cardini semplice ma reali, cioè tannicità importante (magari anche un po’ verde) e acidità. Un vino realmente didattico, referente di un periodo storico che stava tramontando.

Il “tramonto” è sempre seguito da un nuova alba e i due vini successivi, il 1981 Riserva La Forra  di Nozzole e il Picchio Riserva 1988 del Castello di Querceto rappresentano entrambi il lento e  inesorabile inizio di una nuova alba per il Chianti Classico. L’assenza di uve bianche è un segnale chiaro ma le vinificazioni mostrano ancora tannicità importante è un po’ scissa dal corpo. Si notano però ricerca di concentrazione ed eleganza, specie nel 1988, che può valersi anche di un corredo acido classico dei vini dell’azienda.

Si lasciano gli anni ’80 e si arriva al periodo di maggior fermento in Chianti Classico, gli anni ’90, caratterizzati da cambiamenti/miglioramenti tecnici in vigna e in cantina e dall’arrivo di cabernet sauvignon e merlot: il tutto dette vita anche alla bella e controversa storia dei Supertuscan chiantigiani.

I tre vini che presentano questo decennio, La Prima Riserva 1993 del Castello di Vicchiomaggio, il Chianti Classico 1994 di Querciabella e il Monna Lisa Riserva 1998 di Vignamaggio,  sono quanto di più azzeccato si potesse trovare per rappresentarlo. Tutti e tre mostrano un cambio tecnico notevole, con aromi finemente balsamici che riportano anche all’uso di uve alloctone e di legni piccoli. Un cambio di marcia incredibile, che rappresenta perfettamente il fermento che toccò questa terra a partire proprio dalle annate magiche 1988-1990. Ma questi vini parlano anche di altro e cioè di annate fredde e difficili, che specialmente dal 1991 al 1995 hanno caratterizzato il Chianti Classico, annate dove i vini, dopo una durezza iniziale, stanno mostrando un tenuta e un’eleganza incredibile, grazie anche e soprattutto ad acidità che oggi ci sogniamo.

Ed arriviamo agli anni 2000, con vini figli di concentrazioni più elevate e di vendemmie dove, per la prima volta, si deve fare i conti con temperature maggiori non tanto nel periodo estivo ma a partire dalla primavera. I tre vini scelti, il Chianti Classico 2000 di Fattoria Santo Stefano, la Riserva 2004 di Villa Calcinaia e il Chianti Classico 2008 di Pieve di San Cresci, pur mostrando in qualche caso nasi molto maturi, testimoniavano l’ennesimo cambio di direzione, dovuto come detto sia ad annate più calde che a cambiamenti tecnici: entrambi hanno portato in quel periodo a vini più opulenti, più rotondi, magari pronti prima ma forse meno serbevoli.

Dal 1979 al

In definitiva una degustazione storicamente centrata e molto interessante ma dove purtroppo, in qualche caso, è valso il detto che non esistono grandi vini ma grandi (o purtroppo, in questo caso piccole) bottiglie. C’è però anche un bel  rovescio  della medaglia, quello presentato sia dalla storicità precisa di ogni vino ma soprattutto dall’assoluta bontà del Chianti Classico 1994 di Querciabella e dalla grande e complessa finezza de La Prima Riserva 1993 di Vicchiomaggio: due vini che rimarranno scolpiti nella mia mente.

In conclusione si dimostra ancora una volta cosa pensai appena vennero create le UGA: la loro funzione nei primi 5-10 anni di vita non sarà tanto quella di presentare somiglianze o diversità tra i vini ma di avvicinare fra sé i produttori, farli conoscere, fargli fare gruppo anche scambiandosi consigli tecnici. Questo “fare squadra” farà crescere meglio e più in fretta il territorio e i vini. I produttori di Greve in Chianti lo stanno dimostrando.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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