Interviste Covid-19 .Coralia Pignatelli, Castell’in Villa “Spero che da questa bufera ne usciremo migliori”9 min read

Continuano le nostre interviste “Covid-19”. Torniamo in Toscana per incontrare un personaggio che odia le interviste e solo per Winesurf ha fatto uno strappo alla regola: la  Principessa Coralia Pignatelli della Leonessa, proprietaria di Castell’in Villa.

Winesurf  “Prima di tutto come sta?”

Coralia Pignatelli “Sto bene e sono fortunata perché vivo in campagna, in un posto dove posso uscire fuori e vedere le colline, pensare che oltre le colline c’è il mare. Noi chiantigiani siamo dei privilegiati.”

W. “Questa è una domanda che ho fatto anche ad altri produttori. Pandemia viene da pan, il dio greco della campagna, della vita agreste e non per niente ha corna e piedi caprini. Forse è la rappresentazione migliore di come l’uomo deve convivere con l’animale e con la natura, in questo caso però la natura si è rivoltata contro di noi. Dove abbiamo sbagliato?”

C.P “Abbiamo sbagliato già da moltissimi anni, col fatto  di voler spingere la natura a fare di più di quello che lei volesse fare. Con l’utilizzo dei  concimi, di tutte le alte cose per “fare di più” si porta sempre qualcosa all’esaurimento. Lo sviluppo rapido è sempre un problema, ci vuole tempo per le cose.”

W. “E questo ci porta direttamente  alla domanda successiva. In un mondo del vino in cui molti cercano di entrare in commercio prima, lei cerca di entrare in commercio con i suoi vini il più tardi possibile. Da dove viene questa scelta?”

C.P “La scelta deriva dal fatto che amo il sangiovese, un buon vitigno, lo considero un vino pieno di tante sfumature che però non riesce ad esprimere subito. Ha bisogno di tempo per farlo. In realtà il primo anno è meraviglioso perché è profumato e rende la vendemmia e la vinificazione uno dei momenti più belli. Poi sui 2-3 anni si chiude e questo periodo io lo chiamo “la sua crescita”: è come una ragazzino che non sa cos’è, se è grande o piccolo. Poi dopo ancora, dal quarto anno, comincia ad aprirsi e andando avanti si esprime sempre di più, perché il bello del sangiovese è che cambia, cambia di continuo. Ha un evoluzione molto ricca.”

W. “Lei ha detto che il sangiovese è un buon vitigno: ce ne sono di migliori in italia?”

C.P “Non voglio parlare di altre uve italiane. Il sangiovese  magari non è considerato un grande vitigno ma quali sono i grandi vitigni?  Per me un vitigno che ovunque lo metti cresce bene non è un grande vitigno, è un vitigno facile, come il cabernet sauvignon  o il  merlot. Il Sangiovese  è particolare, è forse più piccolo ma è speciale e qui da noi si può esprimere veramente  bene.”

castell’in villa panorama

W“Le posso chiedere quante vendemmie ha firmato a Castell’in Villa?”

C.P“Dal 1971 ad oggi.”

W. “Quindi lei ha visto cambiare il mondo chiantigiano nel bene e nel male.”

C.P “Si, ho visto la sua grande evoluzione.”

W. “Cosa pensa andrebbe rivisto nella grande esplosione  del vino toscano e chiantigiano in particolare?”

C.P. “Il non sapere cosa siamo veramente. Il territorio del Chianti Classico è una zona troppo grande e  purtroppo la parola Chianti è un termine e una zona  troppo difficili da comprendere . Nel mondo la gente non conosce veramente il sangiovese perché  Chianti per loro significa qualcosa di diverso dal reale, è un’altra storia. E’ difficile da definire perché  è un territorio sia  vasto, sia con grandi diversità .”

Foto Apsana Macchi

W. “C’è chi dice che fare il vino è una cosa complessa e chi invece sostiene che è semplicissimo  lei cosa pensa?”

C.P. “Per me il vino è una cosa semplice. E’ la trasformazione di un frutto e praticamente fa tutto da solo.”

W. “Per modo di dire…”

C.P.“Certo, ogni pianta va curata e coltivata nella maniera giusta”

W. “Però, se mi permette, ci sono tanti bravi viticoltori, ci sono dei bravi vinificatori però alla fine ognuno fa un vino diverso.”

C.P. “Fondamentalmente la diversità sta nel territorio: Se lei pianta un ciliegio qui cresce in maniera diversa rispetto a un’altra zona. Lì entrano in campo la terra, il microclima, molti altri fattori.”

W. “Quale principale pregio dovrebbe avere un  viticoltore?”

C.P. “Prima di tutto amare quello che fa.”

W. “Ho fatto la stessa domanda qualche giorno a Marco Felluga e mi ha risposto la stessa cosa.”

C.P. “Vale in qualsiasi lavoro, non solo per  fare il viticoltore. Qualsiasi lavoro è degno, purché ti piaccia farlo: allora lo fai bene.”

W. “Quale difetto invece dovrebbe cercare di evitare.”

C.P. “(Ridendo) Non so se può essere visto come un difetto, dovrebbe evitare di non guadagnare tanto.”

W. “Ma un viticoltore non vuole o non riesce a guadagnare tanto?”

C.P. “Non riesce! L’agricoltura è uno dei lavori più difficili Tu puoi fare tutto benissimo, ma essendo noi “dipendenti del cielo” ti arriva qualcosa da lassù e ti rovina tutto.”

W. “Qual è il vantaggio, se c’è,  di essere donna per fare vino?”

C.P. “Sinceramente non so.”

W. “Ma può essere un vantaggio o uno svantaggio?”

C.P. “Tutto dipende dalle persone, Non è d’accordo?”

W. “Sono d’accordo ma spero non ci siano svantaggi. In passato, per tante bravissime enologhe che conosco, è successo.”

C.P. “Questo è un fatto storico. Anche io quando sono arrivata a Castell’in Villa c’erano i vecchi contadini, e per me il “contadino” è un vero signore, che la donna la guardavano dall’alto in basso, come se non capisse nulla.”

W. “Mi sarebbe piaciuto molto esserci quando lei si è trovata a confrontarsi con questi contadini.”

C.P. “Sono dovuta stare nel campo con loro per obbligarli a fare la selezione delle uve, perché per loro buttare via uva era un peccato. Alla fine mi sono dovuta arrabbiare e li ho costretti a farlo. Quando poi, e sto parlando di periodi in cui si facevano 140 q.li a ettaro,  gli altri non avevano vino buono noi l’abbiamo avuto, proprio perché avevamo poca produzione. Da allora non ho avuto più problemi, qualsiasi cosa dicessi  la facevano.”

W. “Si dice che la tradizione sia una rivoluzione riuscita, lei si sente più tradizionalista o rivoluzionaria?”

C.P. “Io sono una rivoluzionaria e mi secca quando dicono che faccio del vino tradizionale. Chi lo dice non capisce niente.”

W. “Perché si sente una rivoluzionaria?”

C.P. “Perché ho sempre fatto le cose in anticipo e voglio sempre cambiare e migliorare.”

W. “Per lei cosa vuol dire fare un grande Chianti Classico?”

C.P. “Grande cosa vuol dire? Per me il vino è una cosa che devi bere con  piacere. Se lo bevi con piacere vuol dire che è grande.”

W. “Divago un po’: sono appassionato di calcio e tifo per l’Inter…

C.P. “Davvero? Io sono una vecchia interista, dell’epoca di Mazzola e Herrera.”

W. “Principessa questa è una grande notizia! Sono felice. Smetterei di intervistarla per parlare dell’Inter  ma devo andare avanti. Quando l’inter vinse la Champions nel 2010 , Mourinho disse che ad altissimi livelli quello che fa la differenza sono i particolari. Nel vino è lo stesso?”

C.P. “Si, penso proprio di si.”

W. “Da questa bufera del coronavirus, come esseri umani  ne uscire migliori o peggiori?”

C.P.  “Io spererei migliori. Non lo so, ho dei dubbi ma il mio desiderio sarebbe quello. Penso che questo è stato “un aiuto” per poter cambiare e se non si sfrutta l’occasione allora saremo stati dei disgraziati.”

W. “Questa è una domanda che le ho fatto qualche minuto fa, solo un po’ più cattivella.  Se uno definisse i suoi vini all’antica, lei si sentirebbe offesa o lo vedrebbe come un complimento?”

C.P. “(Riflette un po’. N.d.r.)  Sarei quasi offesa, anzi non posso nemmeno dire offesa perché, alla fine, cosa vuol dire “all’antica”?”

W. “In effetti non esiste una definizione condivisa. Un po’ come diceva prima del Chianti: uno negli USA si immagina una cosa e in realtà è un’altra. Ma andiamo avanti: c’è un’annata a cui è particolarmente legata e reputa la migliore da lei prodotta?”

C.P. “Non lo so, non so rispondere. Le amo tutte, con i loro difetti e i loro pregi, però non c’è quella che mi fa perdere la testa. Non ho ancora fatto il vino come vorrei che fosse.”

W. “Quando non beve i suoi vini cosa beve?”

C.P. “Io bevo sempre i vini di altri produttori.”

W. “In particolare ha delle preferenze?”

C.P. “Il Sangiovese è quello che mi piace di più, però mi piace anche il Cabernet Sauvignon.”

W. “Tra i vini bianchi invece?”

C.P. “Non mi piacciono molto i vini bianchi, perché per me c’è troppo lavoro, necessario, in cantina.”

W. “Lei produce Chianti Classico e Chianti Classico Riserva ma non la Gran Selezione, c’è un motivo?”

C.P. “Si perché la Gran Selezione è stata una scelta commerciale e non mi reputo una commerciante ma una che ama la terra. Noi abbiamo un vigneto unico, un cru e basta, però chiamare un vino Gran Selezione per me non è un valore ulteriore ma un fattore puramente commerciale, per cui si è speso anche tanti soldi. Capisco che sia un aiuto necessario, una scelta del Consorzio, ma sono cose che a me non interessano.”

W. “Cosa ha in commercio adesso?”

C.P. “Ancora un poco di Chianti Classico 2015 e la Riserva 2013.”

W. “Ha mai avuto la tentazione, dal 1971 ad oggi,  di accorciare i tempi di uscita dei vini?”

C.P. “Veramente no perché, come ho detto, non mi piacciono i Sangiovese al secondo e terzo anno. Invece in futuro proveremo ad uscire con un vino giovanissimo, ma sarà un IGT. Un Sangiovese d’annata.”

W. “Non un Supertuscan?”

C.P. “Anche quella è una parola che veramente non ho mai capito. Andava bene per l’estero, per distinguersi in quel momento lì,  ma erano e sono vini che ognuno se li fa come vuole. Noi comunque abbiamo un Supertuscan , il Santa Croce.”

W. “Quando lei uscì con un Supertuscan io rimasi allibito perché era un “modernismo”.

C.P. “(Ridendo)Vede che sono moderna!  Semplicemente era un momento che tutti mettevano il vino nelle barrique e quindi è nato il Santa Croce. Il sangiovese non è che può andare, da solo in barrique e visto che avevo tolto il canaiolo e innestato il cabernet sauvignon, colsi l’occasione e creai quell’uvaggio.”

W. “Principessa, ho finito le domande e la ringrazio tantissimo.”

C.P. “Spero che quando finirà questa situazione potrà venire da me e così assaggeremo una vecchia annata.”

W. “Guardi, io sarei disposto anche a prendere l’auto adesso e beccarmi la multa!

 

Un grazie a Massimo Maccianti, nostro amico e responsabile vendite di Castell’in Villa, è doveroso.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE