Interviste al contrario. Raffaele Troisi, Traerte: l’uomo è importante non per modificare ma per interpretare il vino10 min read

“Buongiorno Raffaele. Partiamo subito con qualche numero: quanti ettari hai?

“Dieci”

“Suddivisi tra vitigni?”

“Quattro di fiano, quattro di greco e due di coda di volpe.”

“4-4-2, sembra uno schema calcistico. Ho visto che sulle bottiglie sia della linea classica che delle selezioni tu riporti la Contrada di provenienza.”

“Per quando riguarda la linea cru il Fiano viene solo da Montefredane, il Greco da Montefusco e da Pietradefusi la Coda di Volpe. Per la linea classica invece ho invece un 30% di conferimenti.”

“Parliamo d’Irpinia: se tu dovessi definirmi le caratteristiche e le particolarità di questa terra di cui tutti parlano e pochi (me compreso) conoscono veramente, cosa mi diresti.”

“L’Irpinia è difficile da definire con pochi aggettivi  anche perché è un’area che ha altitudini da 250 a 800 metri. C’è un’Alta Irpinia, che si affaccia sulla Basilicata e c’è la “Bassa Irpinia”, dove sono concentrati i tre areali del Greco del Fiano e del Taurasi. Queste zone “basse” vennero investite dall’eruzione del Vesuvio di 3700 anni fa, chiamata delle “pomici avellinesi” perché in varie stratigrafie trovi proprio questo manto di materiale lavico formato da pomici. Questa polvere eruttiva si depositò, più o meno, sui tre areali delle DOCG. In Alta Irpinia invece il suolo è diverso e si producono altre cose, come le castagne.”

“Oltre a essere una zona vulcanica “bassa” è anche piuttosto alta e con variazioni climatiche importanti: secondo te quanto contano zona, uomo e clima.”

“Credo conti di più l’aspetto umano,  perché l’uomo è  l’interprete migliore di queste condizioni. Laddove sei in grado di rispettare queste grandi risorse naturali e le varietà di uva che hai in zona operi al meglio. Ma in questa situazione l’uomo è veramente l’ago della bilancia, perché puoi andare dallo stravolgimento totale di queste caratteristiche, come vini che sanno di banana o di ananas o boisé, oppure cercare di valorizzare il più possibile le caratteristiche del vitigno, del clima e del territorio. L’uomo è importante non per modificare ma per interpretare.”

“Secondo te quali sono i pregi e i difetti dei due principali vitigni/vini irpini banchi: Fiano e Greco”

“Sono vitigni totalmente differenti e danno anche risposte completamente differenti anche a parità di condizioni climatiche.  Le annate calde, per mia esperienza personale, privilegiano il greco, le annate fredde il fiano. Sicuramente il Fiano è più elegante come vino e quindi le annate fredde gli conferiscono una maggiore acidità, cosa che il Greco ha sempre molto alta. Inoltre ha una sobrietà che il Greco non riesce a esprimere in ogni annata. Diciamo che il Greco è l’animatore della festa mentre il Fiano è quello che sta un po’ in disparte, si concede lentamente e si apre solo con le persone giuste.”

“Durante l’ultima Campania Stories origliavo i discorsi di  un gruppetto di produttori e ho sentito una cosa che da tempo, nella mia ignoranza, pensavo anch’io, cioè che  in diversi casi i Fiano e i Greco oggi si assomigliano un po’ troppo da un punto di vista aromatico.”

“La prima cosa importante da dire è che non stiamo parlando di vitigni aromatici, inoltre in passato alcune grosse cantine sono riuscite ad imporre alcuni caratteristiche aromatiche, creando una specie di “strada” da seguire e quindi portare ad una certa uniformità aromatica, con note che questi vitigni, di base, non hanno. Se vogliamo realmente parlare di espressività aromatica di questi due vini bisogna aspettare almeno 3-4 anni. Ti dirò di più: la stragrande maggioranza dei vigneti fatti negli ultimi 15 anni sono stati piantati con barbatelle acquistate dallo stesso vivaista. C’è stato anche una notevole crescita di aziende, nate un po’ dal nulla, che si sono affidate a enologi, spesso agli stessi. Gli enologi sono delle grandi figure professionali ma se tu non gli dai indicazioni precise su quale sia la tua idea di vino, alla fine l’enologo è portato a fare un vino quanto più piacevole possibile, in modo che l’azienda possa avere immediato successo, sia commerciale che dal punto di vista dei punteggi sulle guide. Sinceramente non credo che sia ancora molto diffusa quest’uniformità di cui parli, ma sono sicuro che sia un pericolo da tenere in considerazione.”

“Credo anch’io che non si tratti di un andamento generale specie sull’uso del legno, che nel Fiano e nel Greco è veramente limitato e spesso è ben dosato.”

“Certo, sul legno sono d’accordo e posso condividere che siano azzeccate anche delle innovazioni tecniche come una criomacerazione sul Fiano: se invece viene fatta sul Greco e sulla Coda di Volpe è una stupidaggine megagalattica, perché già sul mosto fiore hai dei contenuti in polifenoli altissimi, se poi gli fai fare anche una macerazione con la buccia sottile e diafana che ha il greco puoi immaginare da solo cosa succede.  C’è stato anche un periodo in cui, specie per i rossi ma anche per i bianchi, si doveva  per forza arrivare oltre i 14°, il che ha comportato un altro appiattimento, perché a quelle gradazioni viene fuori una dolcezza e un’assuefazione data dall’alcol.”

“Veniamo a te, come vinifichi i tuoi bianchi, Fiano, Greco e Coda di Volpe?”

“Vinificazione in bianco tradizionale, non diraspo perché è importante avere i raspi nel momento della pressatura, che permettono una migliore e più efficiente estrazione del mosto.”

“Fermentazioni a che temperature?”

“Dai 12° ai 16°. Ogni giorno si controllano le fecce, si annusano e si fanno vari prelievi per avere tutto sotto controllo .”

“Quanti giorni?”

“Non c’è una regola! E’ assurdo parlare di regole: dipende dal clima esterno, dalla condizione delle uve,dall’azoto assimilabile sulle uve, dalle condizioni dei lieviti, dai trattamenti fatti, dalla competizione tra lieviti selezionati e autoctoni.”

“Hai parlato di un confronto tra lieviti autoctoni e selezionati.”

“E’ un punto importante! Intanto autoctono è un termine sbagliato, perché significa che per tre o 4 anni dobbiamo avere la stessa popolazione di lieviti, ma visto che i lieviti vengono portati dal vento e dagli insetti sull’uva questo porta a variazioni notevoli anno per anno. Per me è meglio parlare di lieviti indigeni e per me, spesso, possono creare qualche problema.”

“Tipo?”

“In annate calde e siccitose in cui hai fatto pochi trattamenti la carta dei lieviti indigeni la puoi giocare ma è rischiosa perché i lieviti “buoni fermentatori” cioè i saccharomyces, sono presenti in un vigneto in una percentuale attorno all’1 ‰  rispetto a tutti gli altri, tra cui apiculati, ossidativi, alterativi. Gli apiculati sono un po’ come gli invitati ai matrimoni che si strafogano sugli antipasti e quando si arriva ai primi e ai secondi sono pieni e quindi per non mangiare trovano scuse dicendo che il cibo non è buono…”

“Insomma sono degli scassamarroni!”

“Si, sono dei cattivi fermentatori, partono in quarta ma non arrivano mai in fondo. E anche gli ossidativi e gli alterativi (Brettanomyces n.d.r.) possono dare problemi.”

“Per questo usi lieviti selezionati?”

“Si, quasi sempre.”

“Una volta finita la fermentazione alcolica gli fai fare la malolattica?”

“Cerco di interromperla appena sta per iniziare, perché preferisco che i vini non la facciano. Di solito lo capisco, specie per Greco e Coda di Volpe che hanno mosti generalmente ambrati, da uno schiarimento del mosto stesso.”

“Tu hai bottiglie abbastanza leggere anche se non sono le più leggere in commercio.”

“Lo sai che per me è importante avere bottiglie leggere, purtroppo mi sto scontrando con i cinesi ma pare che, almeno per i miei clienti, inizino a capire.”

“Arriviamo ai vini e adesso parlo un po’ io. In primo luogo i tuoi bianchi diventano più buoni non soltanto dopo ore che sono aperti ma anche quando dalla temperatura del frigo si scaldano fino ai 15-16°.”

“In generale cerco di lavorare più in riduzione che in ossidazione, nel senso che uso le dosi adeguate di solforosa, non faccio fare processi di arricchimento di aromi e di “ingrassamento” dei vini e quindi questa ampiezza la possono ottenere se stappati un po’ di tempo prima.”

“Li ho riasaggiati anche dopo tre-quattro giorni a temperatura ambiente e i vini erano migliorati sia al naso che in bocca. In particolare mi hanno colpito le due Coda di Volpe: la 2019 “base” è bella grassottella mentre la Torama 2018, pur essendo una selezione, va più in austerità e finezza.”

“In effetti le due annate sono differenti, anche per struttura e estratto: la 2018 è stato un’annata fredda e piovosa, mentre la 2019 è stata una vendemmia molto calda da agosto in poi. Quindi i vini sono come hai detto tu.”

“Parliamo degli altri vini. Il Greco di Tufo 2018 Tornate, dopo una giornata che era aperto, ha messo fuori una nota molto intensa di anice che mi ha ricordato un dolce delle nostre parti, una cialda aromatizzata con l’anice chiamata “brigidino”:  secondo te da cosa può dipendere?”

“Per me dipende dal territorio del comune di Montefusco e dall’altezza dei miei vigneti che portano a vini più esili ma con grandi profumi.”

“Sono d’accordo con te che il greco ha un’acidità molto spiccata però devo dirti che quella del Tornate 2018 è un’acidità netta, asciutta, verticale mentre nel 2019 “base” si sviluppa con una nota amarognola nel finale.”

“La nota amara potrebbe dipendere dalle uve che mi conferiscono, credo andrà sparendo col tempo.”

“Infatti anche il Fiano 2019 aveva una nota amarognola a fine bocca che poi è andata via mano a mano che il vino si scaldava.”

“Credo proprio sia una nota di gioventù che tende a diminuire. Tiene presente che l’amarognolo finale, molto spesso riconducibile alla nocciola o alla mandorla tostata , risale al primo disciplinare del Greco di Tufo e del Fiano di Avellino. Oggi è molto attenuata grazie a migliori tecnologie di cantina. Pensa che in passato tante persone ritenevano fosse a causa dei molti noccioleti piantate sul territorio. Bisogna anche dire che l’amarognolo oggi è visto come un difetto da molti e quindi si cerca di eliminarlo, magari non rispettando le caratteristiche delle uve. Se però l’annata mi porta qualche nota amarognola io non la sistemo, si sistemerà da sola. I miei vini bisogna aspettarli un po’.”

“A proposito, mediamente, i tuoi vini base quando arrivano al top?”

“Per il Fiano si parte dal secondo anno e si arriva almeno a cinque  anni. Sul Greco e sul Coda di Volpe qualche dubbio comincia a venirmi dopo i tre anni.”

“E per le selezioni?”

“Tutte e tre, oltre ad uscire dopo due anni, dureranno sicuramente di più!”

“Ma che prezzi hanno i tuoi vini in enoteca?”

Si parte dai 10 euro circa della linea classica ai 22-24 delle selezioni. Con lo spumante siamo attorno ai 13-14 Euro

“Due domande finali sullo spumante metodo Martinotti. Quanto sta in autoclave? “

“Il primo che feci ci stette 7-8 mesi ma questo c’è stato solo  4-5 mesi.”

“Questo spumante a alcune caratteristiche strane: la prima è che nel momento in cui lo metti in bocca è dolce ma lo perde immediatamente e diventa molto secco, asciuttissimo.”

“E’ un vino brut, con circa 6 grammi di zucchero, con un alcol di 10 e anche un’acidità di 10. Tanto per farti capire i bianchi che hai assaggiato vanno da 5.5 a 6.5: lo spumante ha quasi più acidità che alcol! A me piace molto così e del resto, per esempio, degli champagne di Selosse sono veramente molto acidi. Comunque questo è il terzo anno di“esperimenti” che faccio.”

“Il bello di questo spumante è che non si percepisce l’alcol così basso. Adesso però arriva la domanda cattiva: con il Coda di Volpe c’hai fatto lo spumante perché non riesci a venderlo?”

“Il Coda di volpe è sempre stato il mio pallino, una scommessa nata nel 1993. Per fare lo spumante devo declassarlo e considera che di Coda di Volpe ne faccio 12.000 bottiglie  ma potrei venderne 15.000. Però mi privo volentieri di 1000-2000 bottiglie per fare lo spumante, anche se mi crea varie difficoltà organizzative visto che,  avendo delle autoclave, lo elaboro da me.”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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