Il vino è un vero fenomeno12 min read

Un sentito scritto di Francesco Sedilesu, che parte dai lieviti autoctoni o meno per poi passare a profonde considerazioni su scienza, ragione, anima, nonché natura  e essenza del vino. Vi consigliamo di leggerlo qualunque sia la vostra posizione nella eterna e spesso sterile diatriba “lieviti indigeni e lieviti selezionati”.

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«L’uomo è la migliore immagine dell’anima umana» e anche il buon vino è un fenomeno rivelatore. Ad annusarlo e gustarlo semplicemente, così come si manifesta, non è solo un insieme di sostanze, né tanto meno un insieme di idee o un gioco di parole; c’è in esso un principio di verità.

Sui social è riapparsa questi giorni l’intervista di Luciano Pignataro fatta tempo fa al Prof. Luigi Moio riguardo l’eterna diatriba tra fermentazione spontanea e lieviti selezionati, che consiglio di leggere  perché è sempre utile.

Alcuni produttori mi hanno chiesto cosa ne penso e mi sono venuti in testa alcuni interrogativi.

Moio come sappiamo è l’attuale Presidente dell’OIV,  nonché professore ordinario di enologia presso il Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli e tanto altro: possiamo quindi capire senza dubbio da questa intervista a che punto è oggi  la scienza del vino.

Riguardo la fermentazione spontanea il prof. Moio fa queste affermazioni: “In conclusione, con una fermentazione spontanea non si ha alcuna certezza che i lieviti indigeni, in grado di prendere possesso della fermentazione alcolica, diano un vino di qualità. Pertanto scegliere di lasciare tutto al caso potrebbe condurre ad un risultato accettabile oppure ad un cattivo risultato, principalmente in vinificazione in bianco, ossia in assenza di macerazione, per cui in particolare in quest’ultimo caso sarebbe davvero un peccato, soprattutto dopo aver lavorato duramente in vigna un intero anno per ottenere un’uva di elevata qualità”.

Sicuramente con l’uso dei lieviti selezionati lo scopo di avere un vino potabile, cioè di eliminare le puzze e le deviazioni del gusto, è più facile da raggiungere; il forte dubbio è se il vino ottenuto conservi la sua territorialità e, aggiungerei io, se conserv l’X Factor, quel fattore ad oggi misterico che identifica sensorialmente il vino in quanto tale.

Moio afferma con certezza che l’uso dei lieviti selezionati è la condizione che dà garanzia riguardo la bontà di un vino e adduce tanti dati ed evidenze.

Non sono un ricercatore e non ci sono allo stato attuale ricerche in questo senso (ne ho sottolineato la necessità in un altro articolo), che possano attestare il contrario.  Posso solo dire che nell’esperienza personale della degustazione insieme a tanti amici produttori ma non solo, avendo in comune lo stesso background, (cioè la provenienza da territori dove il vino lo si produce ancora in casa e si è avuto l’imprinting o meglio l’incarnazione fin da piccoli del profumo e sapore del vino) sperimentiamo che la stragrande maggioranza dei vini prodotti con l’uso dei lieviti selezionati hanno perso l’anima:  alla beva sono stucchevoli, pur se tecnicamente a posto e considerati a volte di grande qualità da guide etc..

Il gusto così inteso, dal punto di vista scientifico purtroppo non fa testo essendo confinato nella dimensione soggettiva.  Si può per questo dubitare sia del mio sia di altri, anche di quello di Moio, ma qui in verità non si parla di sfumature.

Nel caso dei difetti del vino di cui parla Moio non si può che essere pienamente d’accordo. Ma come la mettiamo ponendo sotto i riflettori il gusto matrice del vino di cui parlo io, che per importanza viene prima di vitigno e territorio ed è paragonabile, per capirci, ai gusti universali del sale che è salato o dello zucchero che è dolce?

La differenza è che i difetti sensoriali dei vini sono studiati e codificati, il gusto matrice del vino invece in termini scientifici non lo si conosce, rimane solo il dato esperienziale. Così  si potrebbe dire, che dal punto di vista scientifico per noi cultori della fermentazione spontanea, la battaglia è persa.

Ma non è detto. La filosofia come scienza che apre sempre nuovi scenari può venirci in aiuto “se superiamo la limitazione auto decretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza”

Bella questa  frase che completo con un’altra citazione “La fenomenologia si è presentata fin dalle sue origini husserliane  come scienza dell’ovvio. Non tratta ordinariamente di contenuti eclatanti, ma si attiene a quelle evidenze che manifestano l’orditura della nostra esperienza del mondo così come si dà alla coscienza. Proprio per questo ovvio non significa banale, ma rimanda alla semplicità ricca di senso dei primi principi di cui non ci si occupa direttamente nella risoluzione dei problemi più complessi e densi di contenuto, ma che non si possono non tenere sempre presenti, pena il fallimento nella ricerca della soluzione ed il progressivo scivolamento nell’assurdo. Non a caso Husserl  concluderà il proprio per-corso come filosofo, o meglio «funzionario dell’umanità», con una lunga analisi della Crisi (di senso) delle scienze europee…

Semplificando queste due frasi (e chiedo scusa ai filosofi)  esse asseriscono che dispiegare la mente con l’intuizione oltre il dimostrabile in prima battuta e magari a partire dalla osservazione di  un fenomeno ovvio, può aiutare a risolvere grandi problemi senza scivolare nel non senso, pericolo in cui incorre la scienza.

Un fenomeno ovvio è che il vino che potremo definire pre-industriale, fatto da fermentazione spontanea, senza quindi l’utilizzo di lieviti selezionati (come lo si è sempre prodotto e lo si continua a produrre non solo nelle case dei contadini ma nei territori più vocati al mondo, ad esempio la Borgogna o in Italia in territori di pari caratura) se fatto bene fa provare le sensazioni gustative proprie del vino, che la stragrande maggioranza degli altri vini in bottiglia non sanno dare. Questa è la semplicità esperienziale del fenomeno, ma ricca di senso. Questa lettura del fenomeno non è ingenua, né banale come sembra liquidarla Moio. 

A complicarne la comprensione è la confusione  della sensazione gustativa originaria del vino, con i suoi difetti più o meno gravi da parte di molti produttori e consumatori, chi per ignoranza, chi per atteggiamento ideologico, chi per convenienza, visto che il mercato di questi vini difettati “tira”.

Ciò non toglie  che alla base di questa diffusa tendenza gustativa ci sia un principio di verità ovvio, ma non banale. Mentre la produzione di vini corretti ma banali, sfiora l’assurdo.

Cosa  mi aspetterei dalla scienza del vino oggi? Prima di tutto uno studio approfondito sul gusto matrice del vino chiarirebbe tanti interrogativi e sarebbe la base discriminante  nel mercato, per riportare il vino su un suo specifico canale e non come accade oggi,  confuso con le comuni bevande e con il rischio di lasciarci le penne.

Le bevande si producono a basso costo e si adattano al gusto del consumatore, fare questo con il vino è sicuramente concesso dalle leggi in vigore, ma il consumatore medio ha del vino un’idea diversa.

Si può accettare la “chimica” in una comune bevanda, ma il vino, grazie a Dio, conserva nell’immaginario collettivo una sua sacralità e noi che lo amiamo dobbiamo lavorare per conservarla. Le speculazioni scandalistiche di Report in questi giorni lo fanno capire chiaramente; il vinificatore se “piccolo chimico” non gode dei favori del consumatore. Ranucci, pure scadente come giornalista in questo caso per tutte le forzature e imprecisioni che sono state proposte nel servizio, assume però valenza come consumatore medio che si pone di fronte al mondo del vino attuale e la sua reazione di scandalo ci deve far riflettere.

Interessante l’intervista da lui rilasciata al Gambero Rosso nel post trasmissione. Credo che a questo punto la necessità di trovare una terza via oltre ai vini deviati e quelli corretti, ma snaturati, si impone con forza.

La domanda alla scienza a questo punto sorge spontanea: come fare dei vini stabili che non puzzino e non siano deviati, ma che conservino l’anima?

Moio nell’intervista elenca puntualmente i difetti del vino e l’origine di questi.

Tra questi il brettanomyces oggi è forse la causa principale delle alterazioni: è un lievito terribile che toglie il sonno a tutti i produttori. In natura questo lievito è presente  nei  vini e piccole quantità di questi funghi li rendono addirittura più buoni, ma se si genera uno squilibrio e questo lievito si moltiplica senza freni, con la produzione di etilfenoli sopra la soglia di percezione, sono grossi guai, con puzze e sapori che rendono i vini imbevibili.

Cosa causa lo squilibrio? Sembrerebbe  che l’aumento della temperatura e di conseguenza l’aumento del pH nel vino crei condizioni favorevoli, ma sotto accusa potrebbero essere le stesse pratiche indicate per difenderci da esso, ad esempio un’eccessiva  sanitizzazione o grandi quantità di solforosa o l’uso a tappeto dei chitosani. Tutti accorgimenti che non rovinano direttamente il vino, anzi, ma semplificano l’ambiente microbiologico della cantina, creando l’effetto “sala operatoria” che sarà causa più avanti di uno squilibrio microbiologico nei vini ancora maggiore. Il classico cane che si morde la coda. 

Un indirizzo di ricerca scientifica sensata sarebbe studiare la sanità della cantina dal punto di vista microbiologico, intendendola non più come assenza di microrganismi dannosi, ma come sano equilibrio nella flora microbica presente in essa.

Chi vende prodotti enologici in parte l’ha già capito che serve cambiare strada. Come da indicazione di Moio l’offerta standard sul mercato è di un lievito selezionato che senza produrre acido acetico trasforma gli zuccheri del mosto in alcol. Questo lievito selezionato è, potremo dire, un buon soldato ariano che senza difetti porta a termine il suo lavoro, ma per quanto sia garanzia (non sempre) di un risultato sicuro e potabile, è ovvio che un certo appiattimento del gusto del vino lo causa, visto che in condizioni spontanee sono presenti invece decine e decine di famiglie di lieviti.

Differenziando l’offerta, in quanto si è intuito che il gusto del consumatore sta cambiando e serve produrre vini più complessi e vitali, alcune ditte propongono addirittura  un mix di lieviti apiculati, i cosiddetti “cattivi trasformatori”. Questi vanno inoculati all’inizio della fermentazione per dare al vino la complessità della fermentazione spontanea  e poi a staffetta, a 4/6 gradi alcol quando questi muoiono, si inocula in corsa  un saccharomyces selezionato  per finire la fermentazione senza arresti e zuccheri residui.

Insomma  si cerca di figurare e di rendere controllabile o forse è meglio dire vendibile, la fermentazione spontanea, cercando di non lasciare spazio al brett e ad altri microrganismi nocivi. Si propongono anche microrganismi, sempre selezionati, da aggiungere al mosto ma che non partecipano alla trasformazione degli zuccheri dovendo solo, stando vivi, prendere spazio e competere con il brettanomyces.

Queste soluzioni sono però macchinose e di difficile applicazione, tappano buchi ma non risolvono il problema; lo sviluppo spontaneo di una fermentazione è cosa molto complessa, conviene studiarla meglio e non copiarla semplificandola malamente, ma la strada intrapresa, cioè partire dall’osservazione del fenomeno e imparando da esso, è quella giusta.

Un fenomeno che ho osservato e mi ha sempre incuriosito, è che nelle piccole cantine familiari dove non si aggiunge niente al vino, il brettanomyces difficilmente fa danni. Magari ci sono altri piccoli difetti in questi vini, ma facilmente risolvibili con il semplice saper fare. Azzardo per deduzione che la soluzione contro il brett potrebbe essere trovata più che con i prodotti aggiunti che certamente sono utili se usati con più oculatezza, con il giusto modus operandi in vigna e cantina, assecondando con sapienza il processo di trasformazione e ripeto, preservandone la complessità microbiologica e mantenendo l’equilibrio fra gli agenti in gioco.

Questo saper fare probabilmente non è vendibile ai produttori, ma dal punto di vista economico è da inquadrare nella tenuta a lungo andare del comparto, che ripeto ancora, con questo andazzo è esposto a grossi rischi, insieme a tutto ciò che gli gira attorno.

Insomma per gli uomini di scienza c’è tanto da ricercare in questa direzione  e tante soddisfazioni da prendersi, salvando l’anima del vino e risolvendo le problematiche che oggi si pongono, ma serve  un nuovo modus operandi: un “atteggiamento conoscitivo semplice ed ubbidiente alle cose e perciò umile”,  perchè  “Lo spirito trova la verità non la produce”.

Le citazioni sono prese da:

Il contributo di Edith Stein alla chiarificazione fenomenologica e antropologico-teologica della corporeità.- A cura di Marco Salvioli su  academia.edu

Fides et ratio: la lezione di Edith Stein – A cura di Marco Porta su academia.edu

Francesco Sedilesu

Francesco Sedilesu è sardo, di Mamoiada. Produttore di vino ma anche penna profonda e grande conoscitore della sua isola.


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