Guida vini. Bianchi trentini: incertezze, ma con Gewürztraminer e Incrocio Manzoni che guardano al futuro4 min read

Prima di scrivere dei nostri assaggi dei bianchi trentini abbiamo riflettuto molto ma nonostante questo non riuscivamo a trovare il modo di presentarli. Questo non perché i risultati non sono stati certo eclatanti ma perché non capivamo “cosa c’era sotto”.

Poi ci sono arrivati gli aggiornamenti dei dati sulla viticoltura in Trentino e qualche finestra si è aperta.

Siamo andati a vedere l’andamento degli impianti , vitigno per vitigno e abbiamo notato due cose interessanti: per la prima volta da quando, grazie al Consorzio dei vini del Trentino, abbiamo questi dati, due vitigni basilari (per motivi diversi)  per la viticoltura trentina come il pinot grigio e il müller thurgau sono diminuiti come ettari. Poco in realtà, si parla di decine di ettari ma se ci mettiamo un lieve aumento dello Chardonnay, il fatto che gli ettari di müller thurgau in meno sono soprattutto nel comune di Cembra e che si registra un lieve ma costante aumento dei PIWI il quadro che si presenta ci porta ad alcune semplici deduzioni.

Val di Cembra

Prima di esporle un ultimo dato: pinot grigio, chardonnay e  müller thurgau rappresentano da soli quasi il 65% delle uve bianche trentine e vedere che due su tre recedono, anche se di poco, ci fa pensare che stia iniziando quello che potremmo chiamare “riposizionamento” della viticoltura di questa provincia.

Se diminuiscono gli ettari di  pinot grigio vuol dire che in qualche modo inizia ad avere qualche battuta d’arresto il vino/vitigno di facile consumo, quello con cui si fanno i numeri. I motivi possono essere vari, da un cambio di tendenza del mercato a territori che producono pinot grigio a prezzi più concorrenziali, tanto per fare due ipotesi. D’altro canto se il müller thurgau diminuisce, specie in Val di Cembra, potrebbe voler dire che anche in questo vitigno più di nicchia si stanno rimescolando le carte. Inoltre se all’opposto aumenta, sempre di poco,  lo chardonnay (assieme al pinot nero) potrebbe voler dire che sempre più in Trentino si punta sul metodo classico.

In definitiva ci ritroviamo di fronte ad una situazione di “incerto cambiamento” che secondo noi si riflette anche sui vini. Mai come quest’anno infatti siamo rimasti sorpresi dai müller thurgau che sembravano, appunto, incerti: un buon numero mancava non solo di quella freschezza che dieci anni fa era basilare e che forse dipende dall’annata calda, ma puntavano su note aromatiche diverse, più da GW. La famosa salvia, marker classico del vitigno, l’abbiamo trovata solo in due vini, guarda caso i migliori del lotto. Per quanto riguarda Pinot Grigio e Chardonnay la situazione è quella di sempre: vini corretti ma senza grandi spinte e lo stesso possiamo dire per Sauvignon e Pinot Bianco.

Due uve mostrano invece, a livelli diversi, grandi potenzialità: il gewürztraminer e l’incrocio manzoni. Il primo ha oramai una sua collocazione precisa che, pur mantenendo intatte (anzi intensificate!) le caratteristiche aromatiche mostra una bevibilità e anche una sapida freschezza che lo rendono molto più armonico e adatto alla tavola. Il secondo è un vitigno di cui andrebbero esplorate maggiormente le possibilità perché, quando viene utilizzato, porta a vini di grande complessità e profondità.

Le note veramente positive sono solo queste e anche la nostra grande amica Nosiola non ci sembra riesca ad uscire da una situazione che potremmo definire di “prepensionamento”, dove la sua innata leggerezza e freschezza non viene aiutata se non aggiungendo un tot di altre uve per darle qualche aroma, snaturandola così ancor di più .

In definitiva i nostri assaggi trentini di quest’anno mostrano quell’incertezza che sembra presenti anche il mondo trentino dei bianchi fermi. Anche se queste cose non si fanno in un giorno o in un anno speriamo che questa incertezza non porti ad una situazione difficilmente risolvibile (vista anche la monoliticità delle grandi cantine sociali, che coprono “solo” l’85% del vino trentino) ma ad un posizionamento più chiaro e qualitativamente più efficace.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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