Guida vini. Alta Langa: una crescita chiara ma con alcune insidie4 min read

Ormai L’Alta Langa è quello che viene definito nel linguaggio moderno “un brand che tira”. Due milioni di bottiglie vendute e molte di più in cantina ad affinare, quasi 400 ettari di vigneti (sparsi, in verità, in un territorio molto, forse troppo vasto) e 100 produttori (di cui 70 iscritti al consorzio) lo stanno a dimostrare.

Certo che la strada da percorrere è ancora lunga, anche perché siamo di fronte a una denominazione giovane e quindi “equipaggiata”  in buona parte di vigneti giovani. Se proprio dobbiamo dirla tutta dal punto di vista della giovinezza dei vigneti, dobbiamo dividere la denominazione in due parti: nella prima si trovano le grandi aziende come Cinzano, Contratto, Fontanafredda, Gancia, Martini&Rossi, Riccadonna, Banfi e Serafino,  che furono le prime negli anni ’90 del secolo scorso a piantare pinot nero per spumantizzarlo, nella seconda praticamente tutti gli altri che a partire dal 2001( anno di fondazione del consorzio) hanno iniziato a piantare viti e produrre Alta Langa.

Questa doppia velocita nella assaggi si percepisce solo in parte perché la stragrande maggioranza degli oltre 50 Alta Langa che abbiamo degustato provenivano da aziende, anche famose, che però hanno vigne ancora giovani.

In effetti, facendo un po’ i Grilli Parlanti rompiscatole,  bisogna dire che l’attuale successo di questi spumanti rischia di creare un’angolazione sbagliata per inquadrarli. Visto che il mercato tira parecchio,  non molti mesi sui lieviti e soprattutto nessun periodo di affinamento  dopo la sboccatura portano spesso a prodotti molto freschi, piacevoli, ma di scarsa profondità. Invece abbiamo visto, in un assaggio di vecchie annate fatto in una delle aziende storiche dell’Alta Langa, che tempi più lunghi, sia in catasta che soprattutto dopo la sboccatura, portano a risultati molto diversi dalla “bollicina da aperitivo” che in diversi casi oggi identifica la denominazione.

Capiamo che questo successo è difficile da gestire ma forse sarebbe il caso di cominciare a proporre alle cantine non solo periodi lunghi di affinamento sui lieviti, che già esistono, ma stazionamenti lunghi dopo la sboccatura, magari evidenziati da una terminologia da studiare, che darebbe veramente a questa denominazione una caratteristica e un imprinting che altre denominazioni non hanno. Questo perché si ritiene il periodo dopo la sboccatura solo un passaggio verso il mercato, mentre invece è fondamentale per la “digestione” della solforosa aggiunta e per far sviluppare al meglio intere categorie aromatiche. Trovare un termine ufficiale per dirlo sarebbe un grande servizio al consumatore che adesso deve accontentarsi di una data di sboccatura spesso criptica e scritta in piccolo. Va bene parlare di 100-120-150 mesi sui lieviti, anche in etichetta, ma dire che “l’abbiamo conservato, pronto per voi 24-36 mesi in cantina ” ( o qualcosa di simile ma più sintetico) darebbe alla denominazione visibilità in un particolare che molti oggi sottovalutano ma che è basilare nella vita di un metodo classico.

Ma veniamo ai vini degustati, come detto quasi 50 e tutti millesimati per disciplinare. Come l’anno scorso abbiano trovato grande precisione tecnica: questo porta a aromi fruttati e a grande freschezza al palato. Di diverso abbiamo trovato una struttura leggermente superiore, sicuramente dovuta alla vendemmia di riferimento che è la 2019, più marcata in quanto a potenza rispetto alla 2018. Solo alcuni campioni, esprimono complessità aromatica importante ma una buona fetta mostra comunque note aromatiche piuttosto ampie e accattivanti.

Tra i Rosé troviamo il punto meno convincente, anche se il vitigno di riferimento della denominazione è il pinot nero. A parte pochissimi vini le gamme aromatiche sono più scariche e comunque non puntano al frutto, mentre in bocca troviamo più spigoli ma non maggiore potenza. 

Pinot nero

Comunque Tre Vini Top, di cui due di annata recente, sono un passo avanti rispetto allo scorso anno anche se a malapena il 50% dei campioni ha superato la nostra “soglia critica” degli 80 punti (ripetiamo che noi non spariamo punteggi alti come petardi a Capodanno) ma crediamo che una parte di colpa ce l’abbiano le sboccature molto, troppo recenti di diversi vini.

Quindi ci sentiamo di consigliare che, quando volete bere un Alta Langa, guardate il momento di sboccatura oltre a l’annata e nel dubbio scegliete quello che è stato sboccato prima.

La mappa dell’Alta Langa è dei Vignaioli Piemontesi, che ringraziamo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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