Grand-Puy-Lacoste, il grande outsider di Pauillac11 min read

Passando davanti alle vigne situate immediatamente davanti e dietro lo Château (a vendemmia già completata quasi due settimane prima,  qualche piccolo grappolo tardivo di Cabernet ancora pendeva dai tralci) e dopo aver visitato la cuverie e gli ampi locali destinati all’affinamento dei vini nelle barriques (di recente rinnovati, guidati da Emeline Borie) siamo finalmente giunti nella bella sala di degustazione dalle pareti rosa antico.  Al centro, su un ampio tavolo, erano disposte le bottiglie della piccola verticale che  era stata allestita per noi: le ultime cinque annate del grand vin e una bottiglia del secondo vino, il Lacoste Borie del 2015.       

Ci trovavamo nello Château Grand-Puy-Lacoste, una delle più affascinanti proprietà del Médoc, splendidamente situata  sui pendii che degradano verso  il canale di Gaët, che taglia in due il terroir di Pauillac. Qui si produce , con inarrestabile regolarità, un autentico prototipo dei vini nobili di Pauillac. La  sua reputazione era grande già alla metà del XVIII secolo, ben prima che il classement napoleonico le conferisse il rango di cinquième cru, come al vicino Château Lynch-Bages.

Nel ‘700 il Grand-Puy-Lacoste e Lynch-Bages, anch’esso un cinquième cru di Pauillac, erano appartenuti entrambi alla famiglia Dejean. I Dejean possedevano anche le terre dell’attuale  Château Grand-Puy-Ducasse, poi cedute ai Ducasse, che gli diedero il nome attuale.

La storia recente  di Grand-Puy-Lacoste, da ora in poi  chiamato, per brevità, GPL (anche se i suoi vini hanno lo scatto di un’auto sportiva e nello stesso tempo sono dei veri diesel, n.d.r.) può però farsi iniziare dalla fin degli anni ’70, quando vi arrivò la famiglia Borie, che lo acquistò da un anziano bon-vivant discendente da una famiglia agiata di notai delle Landes, Raymond Dupin che ne era diventato proprietario nel 1932, dopo il grande flagello della fillossera. Era celibe e senza eredi  ed era intenzionato a scegliere l’acquirente giusto per il suo Château. Così Jean-Eugène Borie, il nonno di Emeline, lo acquistò nel 1978.

Si racconta che l’accordo fu rapidamente raggiunto a tavola, davanti  a numerose bottiglie di vecchie annate del GPL. La famiglia Borie proveniva dal commercio del vino ed era  approdata a Bordeaux da Corrèze alla fine dell’800, quando acquistò le sue prime vigne, allo Château Caronne-Sainte Gemme, nell’Haut-Médoc, oggi di proprietà della famiglia Nony, che è  imparentata con i Borie.

Nel 1932  Francis Borie ( il bisnonno di Emeline) e suo fratello Marcel avevano poi acquistato insieme  lo Château Batailley, il loro primo possedimento nella regione di Pauillac: anch’esso un cinquième cru , situato nella porzione più meridionale di Pauillac. Ma non era finita, perché a Francis, poco meno di dieci anni dopo, si presentò la ghiottissima occasione di acquisire lo Château Ducru-Beaucaillou, un vero gioiello di Saint-Julien,  a quel tempo  in vendita. Ma il fratello Marcel non se la sentì (la guerra era ancora in corso) di partecipare a quello che riteneva un azzardo, e così i due fratelli divisero la loro maison de négoce e si spartirono Batailley. A Francis toccò la porzione più vicina  a Saint-Julien, che fu ribattezzata Haut-Batailley, mantenendo il classement di cinquième cru.

Così il coraggioso e ottimista Francis acquistò Ducru-Beaucaillou. Gli subentrò il figlio Jean-Eugène, che, come abbiamo visto,  avrebbe portato alla famiglia Borie  il Grand-Puy-Lacoste, e che, appena qualche anno prima, aveva acquistato anche una ventina di ettari di Lagrange (troisième cru di Saint-Julien)  e un’altra decina da altre proprietà vicine, con cui diede vita allo Château Lalande-Borie.

Nel 2003, però,  i tre eredi di Jean-Eugène decisero di suddividere tra di loro la proprietà:  François-Xavier (il padre di Emeline) lasciò Ducru-Beaucaillou e Lalande-Borie al fratello Bruno,  assumendo l’intera proprietà di Grand-Puy-Lacoste e lo sfruttamento in affitto di Haut-Batailley,  fino a che questa proprietà non fu poi ceduta dalla zia ai Cazes, proprietari del vicino Château Lynch-Bages.

Emeline è l’unica dei tre figli di François-Xavier a  essere direttamente impegnata nella gestione di Grand-Puy-Lacoste. La sorella minore, Laurence, ha sposato un Castéja, la cui famiglia , già proprietaria di Batailley, concentra  nelle sue mani altri importanti Châteaux bordolesi, a Pauillac (Lynch-Moussas) e Saint-Emilion (Trottevieille), mentre il  fratello più piccolo, Pierre-Antoine, continuando la traduzione di négociant della famiglia,  è al momento pienamente impegnato nelle sue  attività commerciali.

Dei circa 90 ettari di proprietà, che includono anche le parti boschive,  solo 32 erano piantati all’epoca in cui i Borie acquistarono lo Château Grand-Puy-Lacoste. Ora sono 62, ma i confini dello Château (probabilmente si tratta dell’unico caso) sono rimasti gli stessi dal 1855. Si tratta di viti che hanno in media 35-40 anni, anche se alcuni ceppi risalgono all’immediato dopoguerra, ed hanno ormai 70 anni di età.

Naturalmente la maggior parte (75%) è rappresentata dal Cabernet Sauvignon, che, sui suoli ciottolosi di Pauillac trova le condizioni ideali per esaltarsi. Poi c’è  il Merlot (20%), di ottima qualità anche a Pauillac, anche se è soprattutto nei suoli argillosi del Libournais a trovare il suo terroir d’elezione. La  parte residua è di Cabernet Franc.  A Grand-Puy-Lacoste non c’è Petit Verdot, né altra delle varietà bordolesi minori, come il Carmenere e il Malbec, che si trovano ancora in altri Châteaux. Per la verità il Cabernet Franc non è neppure sempre presente nel blend finale. Negli ultimi dieci anni, infatti, a parte la 2015, bisogna risalire alle annate 2009 e 2008 per trovarne un po’, e mai comunque oltre il 3%.

Le vigne sono praticamente tutte intorno allo Château, salvo una piccola porzione appena a sudovest, dolcemente degradanti da un’altezza di circa 25 metri. La route départementale D1 è immediatamente al di  fuori, vicinissima. La posizione è davvero magnifica, non distante da Pontet-Canet, sul versante opposto del canale del Gaët, e da Lynch-Bages, più spostato verso la Gironda, entrambi ben visibili dallo Château Grand-Puy Lacoste:  i tre cinquième cru di Pauillac, che , nelle migliori riuscite, danno filo da torcere ai premier cru di questa AOC. Le vigne poggiano su graves profonde, molto ben drenate, differentemente da quelle di altri cinquième crus di questo settore, come Batailley e Haut-Batailley, situati più a sud verso il fiume di Juillac , che poggiano su suoli più sabbiosi e  soffrono maggiormente nei periodi particolarmente piovosi.

Lo Château risale alla metà dell’800, sorgendo su una costruzione pre-esistente di oltre un secolo prima (eretta probabilmente intorno al 1730).Pur nella sua maestosità, tipica degli edifici delle grandi proprietà bordolesi, mantiene un  carattere solare, con le sue facciate bianche, senza apparire eccessivamente austero. Restituisce invece l’impressione di un palazzo vissuto, non di mera rappresentanza. Una  parte dello Château, è destinata ad abitazione della famiglia Borie (quando siamo arrivati, abbiamo incrociato il padre di Emeline che partiva per una battuta di caccia). La cantina, al momento della nostra visita in piena attività (la vendemmia è stata conclusa il 4 ottobre, con qualche giorno di anticipo su quella precedente), è stata completamente rinnovata, a partire dal 2004, ma le opere di ampliamento, per rendere più agevoli le attività  di vinificazione, non sono ancora concluse. Appena l’anno scorso sono stati rinnovati   i locali destinati alle cuves in acciaio per le fermentazioni e quelle nelle quali avviene l’affinamento in barriques, ma sono già in progetto ulteriori ampliamenti.

La vinificazione avviene in una quarantina di vasi vinari  di acciaio termoregolati di differenti formati, da 12 a 180 hl. Le fermentazioni alcolica e malolattica avvengono entrambe in acciaio. Il grand vin (la sua quota ogni anno è tra il 60 e il 65% , il 62% nel 2015, il resto è destinato alla produzione della seconda cuvée dello Château, il Lacoste-Borie, prodotto per la prima volta nel1982) si affina in barriques di legno nuovo in una percentuale variabile di anno in anno:  il 75% nelle ultime annate (la percentuale variava  dal 50% al 65% fino agli anni  duemila, salendo poi al 70-75% a partire dal 2009).

Ma veniamo ai nostri assaggi. Dopo un piacevole Lacoste-Borie (il secondo vino di Grand-Puy-Lacoste) del 2015, un Pauillac  più immediato da bere più giovane,  come dicono da queste parti  “sur le fruit” anche se ha resistenza , abbiamo degustato i vini delle ultime vendemmie già imbottigliate, dal 2015 al 2011.

Il 2015, ancora un bambino naturalmente, mi è parso il  vero fuoriclasse della serie,  probabilmente il miglior GPL da me degustato, insieme a quello, splendido, del 2009.

Me lo ha un po’ richiamato alla memoria a partire dalla composizione del blend, nel quale c’è un 3% di Cabernet Franc, una varietà che negli ultimi anni (appunto dalla 2009) era sempre mancata nel grand vin, e un tocco di Merlot in più (23%), ma comunque nella media degli ultimi anni.  Sfumature, se si vuole, ma importanti.  Il vino é molto intenso ed elegante, con un frutto ben delineato, per nulla invaso dal legno. Sul palato è  ricco e concentrato, come quello del 2010, di straordinaria precisione; un GPL molto classico  e di grande complessità, con la sua caratteristica sfumatura stoneish. Impressionante la lunghezza. Destinato ad una lunga garde, con davanti a sé almeno quattro-cinque lustri di vita. Da dimenticare in cantina e non toccare prima di 7-8 anni, per poterne apprezzare appieno la complessità.

Appena una punta al di sotto mi è apparso il GPL del 2014, un’annata che sta confermando col passare dei mesi il suo valore . Sente di più il Cabernet Sauvignon (in questo caso all’82%), offre un frutto maturo, molto cassis , more, note speziate, tannini molto eleganti. Una gran bella riuscita in un’annata più difficile, nella quale la resa per ettaro (33 hl.) é stata la più bassa, se si esclude l’annata 2013, degli ultimi venti anni , nei quali si è invece mantenuta costantemente sopra i 40 hl./ha. Un Pauillac di grande tipicità e valore.

Il vino dell’annata 2013  appare un po’ stretto tra le  due grandi annate del 2014 e 2015 e quella del 2012 che, pur non essendo forse  dello stesso livello delle due appena citate, mostra  comunque  anch’esso notevole spessore. Sicuramente è un GPL più immediato e accessibile, probabilmente da non destinare ad una conservazione troppo prolungata: molto piacevole, con una bella freschezza, comunque un ottimo Pauillac di un’annata problematica:  se ha minore profondità e concentrazione, si tratta in ogni caso di un’ottima bottiglia che può essere apprezzata fin da ora. Ad averne…

Il 2012 è stata forse la sorpresa maggiore della nostra piccola verticale. Rispetto al vino dell’annata 2013  mostra una maggiore struttura. E’ un  Pauillac molto classico, con tanto cassis, molta grafite, di grande profondità ed eleganza. Ottimo il  rapporto qualità/prezzo.

Il vino dell’annata 2011 è, come spesso succede nel bordolese, un ottimo vino che ha avuto  la sfortuna di seguire  due grandissime annate, in questo caso la 2009 e la 2010 . Un GPL di transizione, che non ha la concentrazione e la profondità delle grandissime  annate, ma comunque una bella riuscita, nella tradizione di questo cru, il cui registro è più sulla finezza che sulla muscolarità: naso elegante e molto seduttivo, frutto ben delineato, tannini ben  arrotondati, un vino molto gastronomico, da bere in attesa della piena maturazione dei vini delle annate più importanti.

Avendo avuto in altre occasioni l’opportunità di assaggiare   almeno le ultime 20 annate di questo vino ,  naturalmente mettendo in conto che alcuni di questi assaggi risalgono a qualche anno fa ,  ho l’impressione che quella del 2015 (in attesa della 2016 su cui ci sono aspettative altrettanto alte) sia destinata a diventare la più grande annata dopo lo straordinario biennio 2009-2010, ma forse di sempre. Di queste ultime annate mi aveva molto colpito in particolare quella  del 2009 (anche qui un saldo di Cabernet Franc): un vino di grande armonia, forse un po’ meno voluminoso del 2010, elegante come può esserlo un Pauillac di classe, con davanti a sé un grandissimo futuro. Negli anni precedenti solo il vino del 2005 mi era sembrato di  livello paragonabile, più di quello pur altrettanto celebrato  del 2000. Mi aveva molto impressionato anche l’annata 1995, generalmente non ascritta tra quelle eccelse di Pauillac, che, a vent’anni dalla vendemmia, mi era sembrato davvero un grande vino, ancora straordinariamente energico e vitale.

Quello che ho sempre apprezzato in questo cru è stata proprio la sua grande continuità qualitativa, anche nelle annate minori, come la godibilissima 2013 e  in grado di regalare  emozioni nelle buone annate di transizione (penso al 2001 ,  al 2006 e allo stesso 2011).  Quanto alle altre annate assaggiate durante questa visita, mi ha davvero  molto impressionato il vino del 2014, che mi sembra un GPL con un eccellente rapporto qualità/prezzo, mentre quello  del 2012  è risultato un vino superiore alle attese, destinato a mostrare il suo valore nei prossimi anni, una buona bottiglia sulla quale investire.

Durante la nostra visita, abbiamo fatto una capatina anche nel sancta sanctorum, dove riposano alcune bottiglie delle annate più vecchie (alcune risalgono al 1944-45). Purtroppo non tantissime, dice Emeline, ma è comunque importante aver potuto recuperare alcune  annate dell’epoca Dupin. La prima vendemmia dei Borie è stata quella del 1978, che ho avuto la fortuna di assaggiare tre anni fa, insieme al vino del 1979: due annate che, se non hanno l’importanza  del più memorabile 1982, hanno un inestimabile valore di testimonianza degli esordi della proprietà Borie.  Dopo 35 anni, ancora vive e con una sorprendente freschezza, sono la prova vivente della longevità di Grand-Puy-Lacoste cioè nelle migliori annate almeno 20-25 anni dalla vendemmia e più.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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