Gli Svitati: un percorso “dalla vite alla vite”12 min read


Qualche giorno fa nella cornice di Villa Brolio a Gambellara si sono presentati “Gli Svitati”, ovvero Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa. Cinque aziende, cinque amici di vecchia data, che partendo dagli anni ’80 hanno iniziato a ragionare sulle alternative al sughero per tappare le loro bottiglie.

Una curiosità nata da ciò che timidamente si stava iniziando a fare in altre parti del mondo (Svizzera, Stati Uniti, Nuova Zelanda) e che queste cantine sono state in grado di intercettare con grande curiosità, facendone sperimentazioni proprie.

Tra fine 2022 e inizio 2023 il progetto “Svitati” ha preso vita: questi cinque visionari del vino italiano si sono convinti che questo è il momento giusto per parlare del tappo a vite senza preconcetti.

Hanno unito loro esperienze e le hanno comunicate al pubblico, sempre più attento e recettivo ai cambiamenti, per contribuire a tracciare un nuovo percorso della conservazione/affinamento anche  del vino di qualità italiano.

Ormai a livello mondiale 4 bottiglie su 10 hanno questo sistema di chiusura, delle quali oltre 300 milioni vengono commercializzate in Italia (1 su 5).

Grazie alle caratteristiche degli Screw Cap (tappi a vite) e delle loro differenti membrane, sono state riscontrate forti correlazioni positive tra la quantità di anidride carbonica trattenuta nel vino e una costante micro ossigenazione, preservando così la freschezza dei caratteri del frutto e l’assenza di imbrunimento, agendo sul vino come antiossidante. La ritenzione nel tempo dell’SO2 è l’indicatore chiave dell’efficacia della chiusura: infatti una volta esaurita, un’ulteriore esposizione all’ossigeno porterebbe all’ossidazione del vino, con perdita dei caratteri fruttati, imbrunimento del colore e sviluppo di aromi e sapori “ossidati”.

A seguito di uno studio effettuato dalla Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige e presentato dal ricercatore Fulvio Mattivi, i tappi cilindrici (sughero e tecnici) presentano una cinetica particolare. Infatti i vini sigillati con questi tappi ricevono importanti quantità di ossigeno durante i primi mesi,  che comprendono essenzialmente l’ossigeno rilasciato dai tappi e l’ossigeno inserito nel collo di bottiglia dall’effetto pistone della chiusura durante l’imbottigliamento del vino. Dopo questo periodo, che varia a seconda del tipo di chiusura (da 6 a 12 mesi), l’ingresso di ossigeno raggiunge uno stato stazionario, con conseguente lentissima evoluzione del vino.

I vini definiti “riduttivi” possono presentare aromi variamente descritti come “pietra focaia”, “fiammifero bruciato”, “cipolla”, “aglio”, “gomma”, “uovo” o “uova marce”, sensazioni considerate difetti assolutamente da evitare. Quando un vino propende ad andare in riduzione, chiusure con OTR (tasso di trasmissione dell’ossigeno) più elevato possono solo modulare il livello di riduzione, piuttosto che impedirlo del tutto.

In Australia, paese nel quale si è assistito all’utilizzo dello Screw Cap in modo massiccio e precoce rispetto agli stati europei , in dieci anni si è assistito ad una sua crescita esponenziale, passando dal 51,7% del 2007 all’ 87,9% del 2018.

Già nel 1999 l’Australian Wine Research Institute aveva  condotto le prime interessanti sperimentazioni su 14 diverse tipologie di chiusure del vino, compreso il tappo a vite, che presentava e presenta una permeabilità all’ossigeno molto più bassa e variabile a seconda del rivestimento utilizzato all’interno del tappo.

Nelle bottiglie con questa chiusura, a distanza di anni il vino dimostrava un colore ancora brillante e delle caratteristiche organolettiche ideali. Sia per i vini rossi che per quelli bianchi, in queste degustazioni le bottiglie con tappo a vite erano uguali alle migliori bottiglie con tappo di sughero.

Il tappo a vite ha una lunga storia, infatti è bene ricordare che il concept ed il design sono stati ideati da STELVIN® in Borgogna nei primi anni ’60, ed inizialmente erano rivolti al mercato Svizzero. La qualità STELVIN® è riconosciuta dagli enologi e lo rende il riferimento sul mercato. Ora non è più l’unico produttore e si preferisce definire “chiusura a vite” questo sistema di tappatura, che va anche incontro ad esigenze di riciclo e sostenibilità ambientale. Si è parlato anche di quella che è stata definita la critica situazione delle sugheraie negli ultimi anni, dove pare si assista ad un impoverimento in quantità e qualità della materia prima, che si riflette sulla difficoltà del mercato di reperire il giusto prodotto.

In generale si può dire che i produttori hanno scelto il tappo a vite anche perché il garantisce una serie di parametri dimostrabili (oltre che per le migliori performance nella possibilità di evoluzione del loro vino)

  • L’assenza dell’odore di sughero e della sua riduzione di deterioramento.
  • La necessità di utilizzare fino a 10-15 gr/l in meno di anidride solforosa.
  • Il rispetto dello stile di un produttore delle sue identità di sapori, aromi e freschezza.
  • La trasmissione dell’ossigeno ben controllata (agendo in questo modo sul processo di invecchiamento e conservazione).
  • Lo stile moderno rivolto ai giovani consumatori.
  • La facile apertura e chiusura.
  • Il design personalizzato (ad esempio l’inserimento di QR sotto il tappo, inchiostro metallico e a più colori o rivestimento soft touch, etc.),
  • La facilità di stoccaggio nella conservazione visto che le bottiglie non necessitano di essere coricate.
  • La notevole riciclabilità dell’alluminio.

Ritornando ai cinque produttori, essi si sono presentati all’attenzione di un pubblico curioso con un’interessante comparazione dei loro vini con all’attivo un certo affinamento. Così sono state contrapposte stesse annate con le due diverse chiusure. Si è notato come nei vini bianchi la componente tappo a vite abbia influito in maniera chiara e netta sulla maturazione del vino in bottiglia, regalando maggiore freschezza e verticalità, in alcuni casi marcando le note minerali di idrocarburo, con potenziale evolutivo ancora da esplorare.

Non così spiccata ed evidente invece la differenza nel vino a bacca rossa, che già dall’evoluzione del colore non presentava il marcato viraggio avuto nei vini bianchi. Per molti versi si sono riscontrate alcune situazioni sovrapponibili, ma il vino con tappo a vite ha indubbiamente registrato una maggiore sferzata verso la freschezza e la possibile evoluzione ulteriore del vino.

Eccovi alcuni spunti tratti dagli interventi dei produttori e i risultati dei vari assaggi comparativi.

Graziano Prà
Per molti anni Graziano ha cercato la migliore soluzione a supporto della longevità delle sue etichette, ed è stato uno dei primi a intuire le grandi potenzialità del tappo a vite. Oggi imbottiglia in questo modo tutta la linea dei suoi Soave, compresi i grandi Cru e il Valpolicella, ma punta ad estenderlo presto anche al Valpolicella Superiore perché “Credo nella vite, anche quando si tratta del tappo.”
Soave DOC  2010  Graziano Prà: tappo in sughero vs tappo a vite.
Già all’esame visivo si notano evidenti note di evoluzione di colore paglierino intenso e sfumature dorate per il sughero, brillante e ancora vivace quello col tappo a vite. Al naso, pur essendo ancora un ottimo vino, il tappo a sughero offre spettri aromatici meno ampi e più maturi, dove la melissa e la frutta gialla la fanno da padrona. Il tappo a vite si esprime con note di grande fragranza e bella ampiezza, con sbuffi minerali che ricordano il Riesling, rimandando ad un terreno di origine vulcanica. Un vino gradevole ma maturo da bere subito il primo, di grande piacevolezza e persistenza con potenziale evolutivo il secondo (era la prima annata in cui ha usato il tappo a vite).

Pojer & Sandri
L’innovazione da sempre perseguita in cantina si ritrova anche nell’uso del tappo a vite. “A livello tecnologico abbiamo sempre guardato avanti , tanto da brevettare una pompa peristaltica e una pressa per pressare in assenza di ossigeno.” Un’attenzione maniacale a tutti i processi di lavorazione, fino all’imbottigliamento e tappatura della bottiglia. “Continue sperimentazioni, degustazioni di confronto, molti scambi di  informazioni e bottiglie con i colleghi, non tutti Svitati, ci hanno portato alla chiusura più performante, neutrale, sostenibile, pratica.”
Sauvignon Dolomiti 2007 Pojer & Sandri: sughero vs vite.
In questo caso l’esame visivo non rivela differenze tra le due metodologie, ottima tenuta anche del tappo in sughero, i due vini hanno un colore sovrapponibile. A livello olfattivo però il tappo a vite esalta maggiormente le note tropicali fresche della frutta dove sentori di lieve balsamicità, buona freschezza e sapidità fanno presagire una lunga possibilità di affinamento del prodotto, cosa che non azzarderei allo stesso modo nel vino tappato  sughero, che risulta più maturo.

Jermann
Vintage Tunina nasce negli anni ’70, quando parlare di “blend” sembrava infrangere un tabù. Eppure Jermann immagina e crea un uvaggio inedito, assemblando uve di Sauvignon, Chardonnay, Malvasia Istriana, Ribolla Gialla e Picolit. Nasce così Vintage Tunina, che nel 2016 viene giudicato il più grande vino bianco italiano nel mondo. Da innovatore ma pragmatico, Silvio si domanda allora “Cosa succede se rompo un altro tabù e sigillo con una capsula Stelvin una bottiglia del mio migliore vino? ”Ed ecco che il tappo a vite rende Vintage Tunina,  e poi gli altri vini firmati Jermann, a detta sua “ancora più Svitati”.
Venezia Giulia Bianco IGT “Vintage Tunina” 2013 Jermann sughero vs vite.
Alla comparazione visiva il colore del vino con il tappo in sughero risulta meno vivace e dai riflessi più spenti, al naso il sughero regala sentori di frutta gialla matura e note tropicali calde di mango e litchi, il tappo a vite invece ci porta in un’ampia gamma di profumi che vanno dal floreale, ginestra, biancospino, sambuco a quelle fruttate più fresche di ananas, pesca, papaya, e note agrumate di cedro. Di grande piacevolezza e persistenza, con chiusura lievemente balsamica dove permangono a lungo i sentori tropicali freschi.

Walter Massa
Chiude la maggior parte dei suoi vini con tappo a vite perché “In vigneto così come in cantina usiamo la massima attenzione per produrre vini puliti, nella vita di tutti giorni usiamo tutta la tecnologia che abbiamo a disposizione. Perché per tappare una bottiglia dovrebbe essere diverso? Abbiamo a disposizione una chiusura moderna, che rispetta il vino e i consumatori e  ne mantiene perfetta la conservazione. Usiamola! ”E agli scettici del tappo a vite risponde “Lasciamo parlare il vino.”
Monleale annata 2016 (barbera e piccoli contributi di nebbiolo e croatina) Vigneti Massa: sughero vs vite.
Alla vista i due vini si possono tranquillamente sovrapporre se non per lievi sfumature, al naso il sughero presenta ampiezza di profumi dove le note mature di frutti rossi danzano allegramente tra le note balsamiche, speziate dolci e floreali. Al palato grande piacevolezza e pienezza di sorso, dove il tannino è ben integrato nel sorso, regalando avvolgenza, equilibrio e setosità. Chiusura persistente con eleganti note di vaniglia e frutta rossa. Il tappo a vite si presenta con un naso più preciso e fresco, al palato il tannino risulta più scalpitante, ben sorretto dalla sapidità e dalla freschezza. Chiusura con note agrumate di sanguinella di notevole persistenza.

Franz Haas
Molte persone hanno preso in mano la forte eredità lasciata da Franziskus/Franz Haas. Della continua e instancabile ricerca della perfezione ne aveva fatto una filosofia di vita, tramandata alla squadra che oggi porta avanti i suoi insegnamenti, a partire da Luisa che ha contribuito dalla fine degli anni ’80 a fare crescere la Franz Haas assieme a lui. Il figlio Franz è al suo fianco e in cantina il suo lavoro è seguito da una giovane squadra capeggiata da Stefano Tiefenthaler, figlio d’arte in cui Franz Haas aveva riposto la sua fiducia. L’eredità che Franz  ha lasciato è un Alto Adige alla costante ricerca della perfezione e che vede nel tappo a vite la chiusura ideale, affinché “Tutto il nostro lavoro, i giorni e le notti che dedichiamo al nostro lavoro, si concludano sempre con un vino all’altezza del nostro impegno e delle nostre aspettative. Questo è il mio cerchio perfetto, dalle viti fino all’ultimo giro di vite” (- Franz Haas).
Pinot Nero Schweizer 2015 Franz Haas: sughero vs vite.
Anche in questo caso il colore rubino scarico ed elegante dei vini può essere tranquillamente sovrapposto, al palato bouquet di aromi complessi di frutta, frutti di bosco maturi e ciliegie, note speziate di pepe e cuoio. Coerenza al palato, tannini avvolgenti, di raffinata eleganza e finezza, e per la sua struttura e corposità è armonioso, dalla lunga persistenza e piacevolezza infinita. Il tappo a vite fa parlare un altro vino, dove al naso il bouquet – seppur ampio – si racconta in toni molto più freschi e diretti dove i sentori fruttati e floreali si sposano con spezie dolci abbracciando note balsamiche. Al palato ancora grande freschezza e sapidità, in equilibrio si accompagnano ad un tannino ben presente ma elegante. Persistenza lunga che chiude in note fruttate mature ed elegante speziatura.

La discussione che è scaturita tra i presenti è stata ricca di spunti di riflessione. Soprattutto nei vini rossi è fondamentale capire l’esatto tipo di membrana che dovrà essere adottata, perché alcune tipologie hanno la necessità di avere una quota annuale di ossigeno in più per dare la giusta evoluzione all’affinamento, che permetta di raggiungere certe eleganze date in setosità, calore e tannicità vellutata. Al momento, nei vini assaggiati, non si percepisce un segnale di arrivo e questo per assurdo potrebbe anche essere uno svantaggio per coloro che non hanno pazienza di aspettare l’evoluzione di questi prodotti.

Fondamentale d’ora in poi sarà lo studio della giusta membrana per regolare lo scambio di ossigeno. Una curiosa domanda del tavolo di degustazione al quale presenziavo era quella dell’ipotetica tenuta del materiale con il quale è costituita la membrana, visto il lungo percorso che sembra possibile potrà fare il vino in affinamento.

Inoltre bisognerà affrontare le norme burocratiche che impediscono l’uso di queste capsule – non lo prevedono i disciplinari di molte DOC – nonché esportazioni verso l’estero (Stati Uniti per esempio). Ultimo, ma non meno importante ostacolo sarà quello di affrontare lo scetticismo ostentato di molti consumatori, ristoratori ma anche sommelier che faticheranno ad abbandonare il romantico “rito della stappatura”.

Letizia Simeoni

Beata la consapevole ignoranza enologica. Finchè c’è ti dà la possibilità di approcciarsi alla conoscenza! Prosit.


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