Etna Spumante Doc: un buon inizio ma la strada è lunga4 min read

Vi sono luoghi che uniscono e altri che dividono. L’Etna è sicuramente uno di quelli che più unisce: mette assieme il mare e la montagna, il fuoco e il ghiaccio, la paura del vulcano con la gioia di camminarlo e ammirarlo.

Da anni vi cammino sopra e ammiro non solo lui ma soprattutto i produttori di vino che lo sfidano continuamente e nello stesso tempo ne sfruttano le infinite e millenarie risorse, sparpagliate in luoghi di una bellezza che rende muti. I vini etnei invece non rendono muti anzi, non per niente sono sempre più ricercati dagli appassionati.

Molti conoscono gli Etna Rosso e gli Etna Bianco, non molti magari hanno dimestichezza con gli Etna Rosé ma credo che pochissimi abbiano  avuto a che fare con gli Etna Spumante. In realtà si possono fare, per disciplinare, da 10 anni: sono dei metodo classico che devono rimanere sui lieviti per almeno 18 mesi e nascono, sempre per disciplinare, da almeno un 60% da nerello mascalese  e per il rimanente da altre uve autoctone etnee, sia bianche (carricante e catarratto soprattutto) che rosse.

Nei giorni scorsi ho partecipato a una degustazione online dove il Consorzio Etna ha presentato questa tipologia, che non solo è agli esordi (anche se è nata 10 anni fa) ma ha anche l’umiltà di ammetterlo. Tanto per capire: ci sono 24 produttori che fanno Etna Doc Spumante e in totale arrivano appena a 150.000 bottiglie. Solo  1400 ettolitri rispetto alla produzione della Doc che è di 32000: nemmeno il 5% del totale.

Ci sono due modi per parlarvi della degustazione: quello dove si osserva una tipologia agli esordi e quello dove si osserva una tipologia.

Il primo permette e vuole che si sia di manica leggermente più larga, che si punti sui fattori positivi sperando che in futuro i punti interrogativi si sciolgano come la neve sull’Etna: il secondo cerca di vedere più lontano e di dare alcune indicazioni che potrebbero servire alla crescita.

Intanto è interessante cercare di capire il perché di una denominazione che in pratica è composta solo da blanc de noir. Infatti il Nerello Mascalese adesso arriva al 70% dell’uvaggio ma nel prossimo futuro verrà ritoccato ad 80%. La risposta è, se vogliamo, abbastanza semplice: i sei metodo classico degustati provenivano da vari versanti: nord, nord-est e sud-est e tutti da altezze che partivano dai 620-650 metri per arrivare fino a 750, quote a cui il nerello mascalese non sempre riesce a raggiungere perfetta maturità. Così si è pensato di sfruttarne le caratteristiche di acidità e di pH per allargare la gamma dei vini etnei.

L’idea è stata intelligente e i vini degustati hanno mostrato, pur tra logiche diversità, che i produttori si stanno impegnando con serietà e cognizione di causa. Solo un vino aveva una lieve riduzione, che poi è andata stemperandosi durante l’assaggio. I vini erano freschi ma con bollicine un po’ rustiche, che può essere visto come un peccato di gioventù o come una caratteristica. Il corpo era più che sufficiente, con una chiusura leggermente amara, che sinceramente gli dava un tocco particolare.

Adesso cerchiamo di vedere oltre e facciamoci una domanda “Perché dovrei bere un Etna DOC Spumante?” Se è perché sono in zona e mi sembra giusto bere una bollicina locale o perché amo la Sicilia va tutto bene, ma una crescita non si può basare su “voglie” che possono passare come sono venute. Una tipologia deve avere caratteristiche riconoscibili e deve essere ben identificabile anche dal punto di vista merceologico: purtroppo i sei vini degustati erano molto diversi l’uno dall’altro non solo in bocca o al naso ma anche negli zuccheri residui. Considerate che l’Etna Doc spumante può andare da Brut a Extra dry, in teoria quindi da 0 grammi di zucchero (un vino infatti era praticamente secco) a 17 e questo è un range  troppo ampio per chi si affaccia oggi sul mercato. Inoltre non esiste ancora una regolamentazione per i millesimati.

Visto che questi spumanti, giustamente, non vengono regalati ma hanno prezzi in enoteca che vanno dai 15-16 ai 25-26 euro a bottiglia e quindi in linea con quelli di altre denominazioni più blasonate, credo che il consumatore abbia diritto di capire fin da subito che cosa sta andando a bere. Inoltre il disciplinare (per me giustamente)  sta per introdurre anche la possibilità di produrlo con uve bianche come carricante e catarratto e quindi si va incontro ad ulteriori diversificazioni.

Credo che a questo punto serva una chiara presa di coscienza da parte dei produttori, sia a livello normativo che a livello produttivo. I vini sono nella media di altre denominazioni più blasonate  e almeno uno dei sei era veramente buono ma “la mano” per produrre bollicine non si crea in un anno, soprattutto perché fare vini spumanti richiede un approccio completamente diverso dal produrre bianchi o rossi.

Comunque che sull’Etna (se si eccettuano alcune storiche realtà che li producono da molti anni)  si facciano degli spumanti metodo classico è una notizia interessante. Per questo ho appoggiato le bottiglie su un quotidiano e così le ho fotografate, perché oltre alla notizia di oggi credo che ne sentiremo parlare in futuro.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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