Etna Rosso: tanti punti forti ma…4 min read

Eravamo quasi emozionati di fronte a più di 50 Etna Rosso, provenienti da ogni parte del vulcano e che coprivano 4-5 vendemmie. Avevamo davanti a noi la possibilità di farci un quadro abbastanza chiaro su dove sta andando questa denominazione, sui pregi e sui difetti di vini che si sono imposti non solo al panorama nazionale. Non per niente se nell’inchiesta che ha fatto qualche mese fa il nostro Haris Papandreou sulle denominazioni italiane più famose in Grecia, l’Etna è stato citato più volte, qualcosa vorrà dire.

Nerello mascalese predominante, con nerello cappuccio a sostenere la parte della spalla e che difficilmente supera nell’uvaggio il 10/15%. Questa è la “squadra uve” che l’Etna mette in campo, un campo certamente difficile da lavorare ma che porta a prodotti che sparigliano il panorama siciliano dove, come detto qui, si nota spesso una voglia di somigliarsi che questa meravigliosa terra non merita.

Avendo degustato vini dal 2014 fino al 2019 possiamo dire con assoluta certezza che la viticoltura etnea è cresciuta moltissimo e ha lasciato da parte alcuni peccati di gioventù. Più precisamente li hanno lasciati da parte i viticoltori etnei della prima ora, che hanno una confidenza con il vitigno e forse anche vigne più vecchie e in condizioni migliori che portano a vini più aperti, dinamici, freschi e complessi. Invece una buona fetta dei tanti importanti marchi che sono arrivati sull’Etna da qualche anno ci hanno presentato vini più ingessati dal legno, meno dinamici, anche se la riconoscibilità non si discute. Pure la qualità media non è in discussione, dato che quasi il 65% dei vini degustati ha ottenuto almeno 80 punti (noi non spariamo punteggi come fuochi d’artificio, quindi 80/100 vuol dire che un vino è di buon livello).

La bellezza dei rossi etnei sta nella calda finezza al palato e nei profumi ampi e inconfondibili, che però in molti casi (quando il legno non li copre sin da subito) tendono a rallentare la loro corsa dopo 4/5 anni e senza che sentori terziari ne prendano il posto. Andando indietro nel tempo abbiano notato che alcuni  Etna Rosso diventano a “due corsie”:da una parte la componente aromatica che rallenta la sua spinta in 4-6 anni, dall’altra la struttura e il corpo che hanno molto più abbrivio. Volendo però mettere assieme le due cose non possiamo non far presente che, ora come ora, il momento migliore (mediamente) per bere un Etna Rosso è tra il terzo e il quarto anno di vita. Non ci sentiamo ancora di sdoganare questo vino come, sempre e comunque, grande rosso da invecchiamento. Ci arriverà ma per adesso la strada da percorrere non è breve.

Adesso veniamo a due punti dolenti, uno che ci sta particolarmente a cuore e uno che sta a cuore a tutti i consumatori.

Partendo anche dal presupposto che diversi produttori etnei sono biologici, ma c’è proprio bisogno di usare bottiglie pesanti come obici da campagna? Cari produttori, non vi rendete conto, specialmete se siete biologici, che la fatica che fate in vigna per dare un prodotto più sostenibile  la rendete inutile utilizzando bottiglie pesantissime, che servono solo per inquinare e farvi spendere di più? Questo l’abbiamo visto sia nei bianchi che nei rossi e non possiamo che definirlo, nel migliore dei casi, una moda miope, specie per una denominazione che punta moltissimo sulla valorizzazione e la salvaguardia del territorio.

Altro puntum dolens è il prezzo dei vini. Non discutiamo su quanto costi lavorare la vigna sull’Etna ma è praticamente impossibile trovare un Etna Rosso del 2019 (appena entrato in commercio) a meno di 22/25 euro in enoteca e tanti altri vini di vendemmie recenti superano tranquillamente i 40 euro. Noi siamo i primi ad essere felici se il mercato regge questi prezzi ma ci sentiamo di mettervi in guardia dal fatto che vi siete posizionati praticamente al livello di denominazioni molto più importanti e conosciute (Montalcino con il Rosso e parte dei Brunello, Chianti Classico con Annata e Riserva, Barbaresco assieme ai  Langhe Nebbiolo) e dove, oggettivamente,  la qualità media  percepita è  più alta. Proprio in un momento come questo, dove nascono nuove cantine etnee, bisognerebbe stare molto attenti al valore reale dei vini messi in commercio per evitare passi falsi che poi si ripercuoterebbero sull’intera denominazione.

In conclusione dobbiamo ringraziare ancora una volta il Consorzio per la tutela dei vini Etna Doc per il prezioso aiuto che ci ha dato, raccogliendo e inviandoci un gran numero di campioni.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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