Rossi siciliani: buoni risultati ma alcuni dubbi sul Nero d’Avola e sulla mancanza di carattere2 min read

Il panorama delle uve rosse siciliane è vasto e variegato. Anche lasciando da parte la zona dell’Etna, di cui parleremo venerdì prossimo 22 ottobre, ci troviamo di fronte sia ad una bella serie di vitigni autoctoni ( frappato, perricone, con il nero d’avola in prima fila) sia alle tante uve internazionali che negli ultimi 30 anni hanno trovato valido approdo sull’isola.

Oramai sono diversi anni che degustiamo vini siciliani e l’impressione è che vi sia sempre più una netta differenziazione non solo tra piccoli produttori artigianali e grosse aziende (cooperative e non) sul modo di produrre, ma anche nel modo in cui le aziende si rivolgono alla stampa di settore. Capita infatti un anno di ritrovarsi con tanti piccoli produttori e pochi grandi e l’anno dopo accade l’esatto contrario. Questo è stato un anno  “di mezzo” con un buon numero di grosse cantine corredato da diversi piccoli e interessanti produttori.

Venendo alla produzione e quindi ai vini degustati, pur riconoscendo una “bontà a prescindere”, dimostrata sul campo da quasi il 55% dei vini che ha ottenuto almeno 80 punti (e per noi, che non spariamo punteggi come petardi, non sono pochi), ci sembra che sempre più il Nero d’Avola non solo stia perdendo quel carattere che ce lo aveva fatto amare sin dai primi assaggi più di 30 anni fa, ma si stia dividendo in due tipologie agli antipodi: la prima dove diventa vino semplice per mercato di basso prezzo, la seconda dove invece si trasforma in un prodotto iperconcentrato, voluminoso, marcato da un forte uso del legno. Ben pochi sono i Nero d’Avola equilibrati, profumati, di bella profondità e questo ci dispiace molto.

Sul fronte delle uve internazionali il quadro è leggermente più sfumato, grazie a vitigni più plasmabili e più “abituati” a passaggi in legno.

Il problema del caldo colpisce ogni tipo di uva e per questo siamo rimasti favorevolmente colpiti dai non molti Cerasuolo di Vittoria presentati che, pur nascendo in zone non certo fresche, sono riusciti a mostrare buona piacevolezza, interessante dinamicità e una non indifferente trama fresca che li attraversa.

In chiusura ci dispiace ritornare su un argomento toccato nel nostro articolo sui bianchi siciliani è cioè su come non si riesca a sfruttare le grandi diversità dell’isola per arrivare a produrre vini con quel carattere che questa meravigliosa terra si merita.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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