Degustazioni Chianti Classico 2017, Riserva e Gran Selezione 2016 : buoni risultati ma attenti ai numeri6 min read

Premessa: questo articolo darà i numeri! La nostra speranza è che li dia giusti e non a casaccio, perché gli assaggi che abbiamo fatto al Consorzio del Chianti Classico sono stati tra i più ampi e esaustivi da molti anni a questa parte.

Più di 100 aziende ci hanno inviato vini in assaggio, in particolare abbiamo degustato:

117 Chianti Classico: 68 del 2017, 36 del 2016 e il resto tra 2015 e altre annate.

85 Chianti Classico Riserva: 51 del 2016, 23 del 2015, il resto di altre annate.

61 Gran Selezione: 22 del 2016, 33 del 2015 il resto di altre annate.

Scusate se vi stiamo riempiendo di numeri, ma dopo aver dato uno sguardo alle annate presentate per la prima volta in commercio quest’anno (2017 annata, 2016 Riserva e Gran Selezione) dovremo usarli nuovamente per parlarvi di quella che potremmo, parafrasando una vecchia canzone militare, canticchiare così “Addio, merlot addio/dal Chianti Classico se ne va/e col cabernet finisci ormai fuori di qua”

Ma veniamo subito ai Chianti Classico 2017, figli di una vendemmia povera in quantità e certamente non eccezionale in qualità. Non ci potevamo aspettare certo miracoli e quindi il risultato, pur non eccezionale è, di buon livello. Mancano un po’ di equilibrio ma mediamente siamo di fronte a vini abbastanza freschi e con tannini piuttosto levigati, resi piacevoli anche da un giusto uso del legno. Un segnale chiaro, con vini mediamente di alto livello, arriva dalle zone più alte di Radda e Gaiole, caratterizzando questa vendemmia con vini dove l’altitudine ha giocato un ruolo importante. I molti 2016 degustati sono risultati molto diversi, in positivo, da quelli degustati lo scorso anno: vini pieni, con tannini importanti e che non si sono scordati della freschezza, anche qui ben dosati nel legno. Ve li consigliamo vivamente.

Se i 2016 sono buoni i Riserva 2016 saranno meglio? Purtroppo no, almeno per i prossimi 5-8 anni, perché i produttori chiantigiani non hanno saputo resistere al proporre la grossolana equazione “Grossa annata e quindi grosso vino”. Di buoni ce ne sono ma in diversi casi  si è voluto eccedere in estrazione, o in legni invasivi e coprenti, riuscendo così soffocare (speriamo solo qualche tempo) le precise e ottime caratteristiche dell’annata.

Per assurdo i 2016 Gran Selezione ci sono sembrati già adesso meno martorizzati dal legno e monolitici, con gamme aromatiche dove la frutta emerge bene e con bocche non esasperate in concentrazione. I molti 2015 degustati ci confermano l’equilibrio di un’annata comunque calda.

E adesso veniamo a qualche altro calcolo, con una breve premessa.

Cinque-sei anni fa avevamo fatto un piccolo studio sulle uve usate per i vari Chianti Classico, arrivando a capire che nei vini d’annata e per la riserva l’uso di uve non autoctone (merlot e cabernet sauvignon in primis) si poteva ritrovare in circa il 35-38% dei vini, mentre nella Gran Selezione la presenza di altre uve, specialmente alloctone, ara molto più ristretta.

Con gli oltre 260 vini degustati quest’ anno ci siamo divertiti ha fare praticamente la stessa cosa, leggermente più approfondita, trovandoci di fronte a dati molto interessanti. Non li consideriamo assolutamente probanti e completi per carità, ma forse qualche indicazione (da dover verificare su numeri maggiori) ce la possono dare.

Tra i Chianti Classico annata il 46.3% nasce da sangiovese in purezza, mentre il 35,5% da sangiovese con un piccolo contributo di altre uve autoctone (soprattutto canaiolo, con il colorino che segue a ruota). Le uve alloctone rientrano solo nel16.1% dei vini, mentre una piccola percentuale (attorno al 2%) ha nell’uvaggio col sangiovese sia uve autoctone che alloctone. Da tener ben presente che gli uvaggi col sangiovese solo in pochissimi casi arrivano al 20% ammesso dal disciplinare, fermandosi quasi sempre al 10% se non al 5%.

Tra le Riserva la situazione  è leggermente diversa perché il sangiovese in purezza è sempre e comunque attorno al 50% (48,7%) ma diminuisce la percentuale di vini che utilizzano anche uve autoctone (22.5%) a vantaggio delle alloctone (23,7%) e degli uvaggi tra autoctone e non che supera di pochissimo il 5%

Nella Gran Selezione, che fin dall’inizio puntava al sangiovese  la situazione è interessante: il 66.6% dei vini è sangiovese in purezza, mentre gli uvaggi con autoctoni sono al 16.6, quelli con alloctoni al 11.1 e quelli con “entrambi assieme” sono attorno al 5.5%.

Da questa trafila di numeri (che, ripetiamo,  sono naturalmente parziali) confrontandoli con quelli ottenuti 5-6 anni fa, cosa possiamo ricavare?

Fondamentalmente due cose: da una parte la tanto voluta, spinta e propugnata “sangiovesizzazione del Chianti” , dall’altra il corrispondente abbandono nei vini DOCG di merlot e cabernet sauvignon (anche a favore di altre uve alloctone come cabernet franc, syrah e addirittura alicante).

Molto interessante è comunque ancora il ruolo delle uva autoctone (canaiolo, colorino, malvasia nera, mammolo), importante nei vini d’annata ma diminuisce mano a mano che si passa alla Riserva e alla Gran Selezione.

Quindi in sintesi: in tempi brevi abbiamo assistito ad un cambiamento sintetizzabile in 2 punti

1 Sempre più sangiovese in purezza.

2 Sempre  meno merlot e cabernet sauvignon negli uvaggi, anche a vantaggio di uve autoctone.

Foto Apsana Macchi

Dove potrebbe essere il problema?

Oramai la strada è segnata e non vogliamo fare per forza i bastian contrari , ma vorremmo introdurre alcuni elementi di discussione.

Anche se oramai è diventata quasi una parola d’ordine, il voler arrivare in tempi più o meno brevi all’equazione “Chianti Classico = sangiovese” (non sapete quante aziende, anche storiche utilizzatrici di uve alloctone, abbiano cambiato i loro uvaggi passando al sangiovese 100%) porta con se una serie di rischi, anche legati all’aumento delle temperature che, nelle zone chiantigiane più basse, possono rendere più complessa  la vita e la maturazione al sangiovese.

Inoltre produrre un sangiovese in purezza non è così semplice come può sembrare, specie per chi arriva da un uvaggio e si può correre il rischio di creare vini più duri e difficili del normale, che hanno quindi bisogno di più tempo per esprimersi. Per questo vedo bene e auspico un utilizzo sempre ampio degli storici autoctoni chiantigiani, un vero e proprio paracadute enologico per il Chianti Classico.

Inoltre il sangiovese che si coltiva e si coltiverà in Chianti Classico è e sarà sempre più un “vitigno Formula Uno” cioè uve importanti che avranno bisogno sempre più di tempo per esprimersi nel bicchiere. Questo contrasta e contrasterà sempre più con le uscite in commercio sempre più anticipate.

Sangiovese

In altri termini: il sangiovese è un vitigno difficile di natura e sarà sempre più difficile coltivarlo con i cambi climatici o con la semplice instabilità metereologica a cui andiamo incontro. Inoltre è chiaro che si punta sempre più su Sangiovese di strutture importanti, che avranno bisogno di tempi sempre più lunghi per smussare spigoli e durezze classiche del vitigno.

Questa caratteristica cozza con la giusta voglia dei produttori di entrare sul mercato e con il mercato stesso, che magari vuole il vino ma poi lo ritiene troppo duro e spigoloso. Insomma, fermo restando il basilare aiuto degli altri autoctoni chiantigiani la strada imboccata dalla denominazione dovrebbe portare ad allungare i tempi dell’entrata in commercio, mentre mi sembra proprio che si punti (almeno per la gran massa del prodotto) all’esatto contrario.

Riflettere su questi punti non crediamo sia tempo perso.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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