Degustazione Pinot Nero dell’Alto Adige: belli con l’anima!3 min read

Da diversi anni gira una battuta piuttosto cattiva sui Pinot Nero dell’Alto Adige che li definisce come “vini cappuccino”, riferendosi ad un uso del legno omologante, con  tostature che spesso coprono le caratteristiche del vitigno nella speranza di raggiungere complessità importanti con il tempo.

In diversi casi questa speranza risulta vana e comunque si perdono caratteristiche di freschezza e rispondenza alle gamme aromatiche del vitigno, che dovrebbero essere  un punto fermo per i pinot nero prodotti in Alto Adige (e non solo).

Tutto sta nel riuscire a capire quale è l’immagine che i produttori vogliono dare del pinot Nero altoatesino: se di prodotto da grande invecchiamento o di vino giovane e fresco che può invecchiare anche qualche anno.

Se vi interessa il nostro parere noi crediamo che il Pinot Nero dell’Alto Adige debba assomigliare a… se stesso, in altre parole non possa derogare dall’essere in una zona “di montagna” che però spesso ha un clima estivo molto simile a zone molte più a sud nel nostro stivale, con temperature che (anche quest’anno l’abbiamo toccato con mano) possono sfiorare anche i 40°.

Chiesa Mazzon

Per spie garci meglio cerchiamo di approfondire: la storia del pinot nero in questa zona, anche se non è iniziata ieri (come ci dice il bel libro di Peter dipoli e Michela Carlotto) non affonda certo nella notte dei tempi. Di conseguenza la ricerca dei terreni migliori è si iniziata da tempo, culminando con il riconoscimento “universale” dell’areale di Mazzon , ma il cambiamento climatico  ha reso in pochi anni quel bell’altipiano forse troppo basso e ha spostato come minimo verso i 500-600 metri la ricerca di nuovi areali interessanti. Tutto questo non depone certo a favore di una  reale e comprovata vocazione di tanti terreni dove il pinot nero adesso è piantato, perché avere una vigna da 10-15 anni in un determinato posto non è certo garanzia eterna di essere in un Premier Cru di pinot nero.

Quindi in Alto Adige è in corso una ricerca che riguarda da una parte i migliori terreni (altezze, esposizioni, composizione  del suolo)  e dall’altra il modo più consono  per esprimere le caratteristiche di questo difficilissimo vitigno. I risultati sono stati senza dubbio buoni ma in alcuni casi l’inesperienza e la  “tentazione borgognona”, quella cioè di voler produrre un grande Pinor Nero da invecchiamento infinito,  che fa dire ad un carissimo amico altoatesino di voler produrre il “miglior Pinot Nero del mondo”, ha preso campo, portando spesso a vini sicuramente buoni ma, tanto per parafrasare una vecchia canzone di Riccardo Cocciante “Belli senz’anima”.

Per fortuna i nostri assaggi di quest’anno hanno constatato che, finalmente, “l’anima” è ritornata in questi vini. Non solo abbiamo trovato quasi sempre usi di legni equilibrati e non invasivi, ma sia prendendo vini del 2016, 2017 che del 2018 ci siamo sempre imbattuti in giuste freschezze e  aggraziate dinamicità al palato, nonché eleganti e complesse gamme aromatiche che venivano elevate dal legno e non coperte.

In poche parole siamo stati molto contenti dei nostri assaggi e lo potrete capire anche voi dal fatto che quasi l’80% dei vini degustati ha ottenuto almeno 3 stelle.

Quindi, stando alle nostre degustazioni di quest’anno sembra proprio si possa dichiarare finita “’l’era dei vino cappuccino” e salutare con piacere un nuovo e affascinante corso per il pinot nero di questa regione.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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