Degustazione Carema e rossi del Canavese: soprese positive e belle conferme5 min read

Ci sono luoghi enoici belli, bellissimi e poi, ancora più in alto, c’è Carema. Specie in autunno quella che a suo tempo definii “viticoltura artistico-architettonica” è sicuramente nel suo momento più  scenografico, con le viti che cambiando colore, mostrano al mondo rettangoli cangianti di foglie che vanno dal verde al ruggine passando per il giallo e per il rosso e che non possono non attirare il tuo sguardo e i tuoi passi.

Non mi ricordo chi disse “Godersi il paesaggio è un’emozione” ma è certo che davanti alle vigne di Carema mi emoziono come un bambino di fronte ai doni di Babbo Natale.

A proposito di doni, un giovanissimo “Babbo Natale”, che risponde al nome di Vittorio Garda e in realtà è enologo e produttore a Carema, è riuscito a donarci, cioè ad organizzarci una degustazione non solo dei vini di Carema ma anche dei rossi del Canavese. Questo grazie anche all’associazione dei Giovani Produttori Canavesani, un gruppo di piccoli e piccolissimi produttori che meriterebbero di essere conosciuti e apprezzati ovunque, anche se il numero di bottiglie che producono spesso è inferiore al migliaio.

Se dovessimo riassumere in una frase i risultati della degustazione diremmo che “Eravamo pronti a stupirci per Carema e siamo rimasti sorpresi anche dal Canavese”.

Lasciando un attimo da parte Carema, il Canavese è un territorio morenico con importanti componenti sabbiose e in alcune zone anche limose. Quindi terreno povero, adatto alla viticoltura, che naturalmente porta finezza e eleganza ma non grande corpo ai vini rossi.

Partendo da questo dato di base i rossi del Canavese, soprattutto da nebbiolo (ma troviamo anche freisa, barbera e croatina) non hanno certamente come arma principale grande corpo ma finezza e profumi ampi e intensi che partono dal floreale e arrivano al fruttato. Quello che ci ha colpito nei rossi  di questi giovani produttori è la non-voglia di strafare, cioè di cercare concentrazione e potenza puntando magari a surmaturazioni o a vinificazioni con estrazioni maggiori, magari usando legni nuovi per l’invecchiamento.

Forse un loro grosso “vantaggio”  è avere ben pochi mezzi economici e quindi puntare solo a vinificare nella maniera più semplice possibile buone uve e poi maturarle in acciaio, cemento o, al limite barrique o botti usate. I risultati, grazie anche a pH del vino molto bassi, sono vini puliti, netti, piacevoli, gastronomici. Alcuni hanno anche prezzi quasi da realizzo, considerando anche il fatto che tante vigne sono lavorate come a Carema e non possono godere nemmeno della “fama” di quella DOC.

E veniamo a Carema che come sempre ci ha proposto vini che semplicemente fanno innamorare: se uno dal nebbiolo (che qui è picotendro) vuole potenza, corpo, tannini grossi come cavalli deve andare da un’altra parte: Carema punta sulla finezza, sul nerbo, sulla verticalità non cercata ma naturlamente presente, sulla setosità dei vini, su un eleganza che può variare di anno in anno ma che non lascia mai spazio alla semplicità.


Per quanto è difficile e dispendioso lavorare le vigne a Carema (e nei comuni del Canavese leggermente più a sud ma fuori dalla DOC) non si dovrebbero dare voti alti ma medaglie al valore, perché questa è una viticoltura quasi arcaica ma fatta con mente moderna e puntando al futuro. Abbiamo parlato ampiamente di Carema qui e qui e allora andiamo a parlare dei vini che per la prima volta entrano ufficialmente nella nostra guida e lo fanno proprio come speravamo, presentando cioè una qualità media altissima, sia che si parli dei vini della Cantina Sociale, che di storici produttori che dei tanti giovani che da qualche anno stanno risollevando le sorti di questo luogo dove, tanto per citare un piemontese famoso “Lavorare stanca” e lo fa pure parecchio, visto che per un ettaro si rasentano le 2000 ore annue di lavoro. Se andrete a dare un’occhiata ai risultati della degustazione noterete che nessun Carema ha preso meno di 80 punti (che per noi, lo ripetiamo sempre, non sono pochi) segno che la qualità è il punto da cui si parte per poter avere la possibilità di ampliare la quantità e permettere a chi ci mette l’anima di avere un normale ritorno finanziario.

Voglio precisare che l’amore che mi lega a questa terra quando siamo in degustazione bendata, fatta non da solo, viene messo da parte e la valutazione dei vini è uguale a qualsiasi altro assaggio durante l’anno. Nessun vantaggio o favoritismo, questi ragazzi non ne hanno bisogno.

In conclusione, tra Carema e Canavese abbiamo trovato sorprese positive e conferme, a dimostrazione di un territorio che cresce ma con la calma di chi avanza a piccoli passi perché non può fare sia grandi investimenti che passi falsi.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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