I sette piccoli giganti di Carema6 min read

Dal punto di vista del numero di bottiglie prodotte sono indubbiamente sette nani, ma se valutiamo il loro impegno, la mole di lavoro che gli serve per produrre vino e i risultati che ottengono, si trasformano senza dubbio in sette giganti.

Questi sette giganti fanno vino in uno dei luoghi enoicamente più incredibili che esistano, Carema , e che io amo da quando, circa due anni, venni a visitarla.

Non si può stare lontani dal proprio amore e l’innamorato vero non vede l’ora di far conoscere la sua amata agli amici. Così una ventina di giorni fa I sette piccoli giganti aspettavano me e altri 16 appassionati per farci conoscere Le vigne, la storia e i vini di Carema.

Per me e per  tutti gli altri è stato un momento  importantissimo, anche perché avere a disposizione il 100% dei produttori e imbottigliatori di un territorio non capita spesso e può accadere solo in luoghi piccoli e particolari come Carema, dove la realtà quotidiana non è solo difficile da spiegare a parole, è impossibile.

Infatti  tutti e sedici i partecipanti al tour di Winesurf, di fronte alle vigne di Carema che si arrampicano sul Monte Maletto e creano strutture architettoniche a cui credo si siano ispirati i creatori del Bosco Verticale a Milano, hanno detto la stessa cosa: “Te la possono spiegare, mostrare foto e filmati, ma devi vederla con i tuoi occhi per capire o almeno provare a capire l’unicità del posto e rendersi conto di essere di fronte all’impossibile reso possibile”.

In effetti capire i perché della viticoltura follemente eroica di Carema è molto difficile: possiamo riassumerla in pochi punti.

  • 1600 ore ettaro di lavorazione quando per una vigna in pianura, meccanizzata, ne bastano 250 e un vigneto di alto profilo a Barolo arriva a 750/800.
  • Adesso nemmeno 25 ettari vitati (ma eravamo scesi a 12 circa), dove il più grande produttore è la cantina Sociale, chi possiede un ettaro (suddiviso fra varie terrazze) è quasi un latifondista e gli ampliamenti dei vigneti si misurano in decine di metri all’anno.
  • Le vigne, a parte le poche che si trovano vicino al paese e quindi su terreni quasi pianeggianti, sono su delle specie di terrazze “rubate” alla montagna e poi riempite di terra portata dalla valle per permettere alle viti di avere materiale su cui attecchire.
  • Il vitigno principalmente coltivato è il nebbiolo, chiamato picotendro, ma che qui ha caratteristiche di finezza e eleganza uniche: vini dal corpo molto più leggero di un barolo, ma con una freschezza e una naturale, suadente eleganza che non può non colpire. Chi ha bevuto un Carema non può non ricordarlo.

Ma accennavo prima a sette giganti, adesso ve li presento: Roberto Ferrando (Ferrando), Matteo Ravera Chion (Chiussuma), Gianmarco Viano (Monte Maletto) Federico Santini (Muraje), Matteo Bosonetto (Presidente Cantina Produttori di Carema) Riccardo Mecco (Cellagrande), e Vittorio Garda (Sorpasso) che ha organizzato il tutto. Questi sette produttori  ci hanno portato nei vigneti, spiegata il metodo antico di coltivazione, e poi organizzato una degustazione dove hanno presentato i loro vini. Insomma, ci hanno fatto conoscere e vivere, per una giornata, la realtà di Carema.

IL momento della degustazione è stato anch’esso particolare, perché non capita spesso di assaggiare vini prodotti in poche centinaia di bottiglie, impossibili o quasi da acquistare proprio perché le poche bottiglie sono già state vendute da tempo. “Al limite se mi porti una bottiglia facciamo uno scambio” Questo mi ha detto Gianmarco Viano e ha chiuso il discorso sui possibili acquisti.

La degustazione, un vino per cantina (solo quella sociale ne aveva portati due) ha evidenziato che anche in fazzoletti di terra come quelli di Carema si possono avere grandi diversità dovute al microclima, al terreno, all’esposizione e al produttore.

Non voglio mettermi a farvi un “pippone” su ogni vino ma, proseguendo nel discorso dei nani e dei giganti mi permetto, scherzando,  di avvicinare (considerando il numero delle bottiglie prodotte)  i sette vini presentati ai sette nani della favola, perché comunque a Carema si fanno vini da favola.

Chiussuma 2020 è Mammolo. molto floreale, fresco, lineare, con buon tannino ancora da ammorbidire ma già godibile: suadente e delicato.

Monte Maletto 2020 è Gongolo. Un vino che gongola della sua rotondità, dei suoi profumi di frutta imponenti e suadenti, della sua elegante pienezza.

Muraje 2020 adesso è Brontolo: ancora giovanissimo, quasi recalcitrante, ha forza e una verve acida importante. Aspettate “che si calmi” prima di berlo.

Il Carema Riserva 2018 della Cantina Produttori Nebbiolo di Carema è Cucciolo, anche se nasce nella cantina più grande del territorio. Ha finezza commovente, verrebbe voglia di coccolarlo invece di berlo. Una seta di grande pregio.

Il Carema 2019 di Ferrando è Eolo, perché un Carema così potente, fresco, dinamico, profondo non può non ricordare la forza del vento.

Il Carema 2019 di Cellagrande è Pisolo, fra tutti il vino che deve ancora svegliarsi. Ancora non molto espresso al naso e con alcune ritrosie al palato. Si farà.

Il Carema Sorpasso 2018 è Dotto, che racchiude e modella le caratteristiche, anche storiche, di questo territorio con la sua nervosa finezza, i suoi aromi floreali, la sua ampia veduta sul futuro.

Ma, aldilà degli scherzi i vini di Carema vanno assaggiati e soprattutto è quasi obbligatorio per gli amanti del vino camminare, anzi arrampicarsi su queste vigne, che rappresentano il massimo di quello che in campo enologico il genio e l’impegno umano possano fare.

Ciao Carema, alla prossima.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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