Dal mare alla terra (cotta)4 min read

Il secolo scorso i curiosi del vino visitavano con reverenza le tonnelleries, pronti a cogliere le sottigliezze del legno che potessero impartire sfumature diverse al succo d’uva fermentato – o in fermentazione.

Adesso è la volta delle fornaci che si sono specializzate nel produrre anfore vinarie come Artenova di Impruneta, dove siamo andati il 23 novembre per la presentazione di Nesos ed  altre etichette dell’elbano Arrighi.

Si trattava anche di una celebrazione, per il decennale della collaborazione fra le due aziende. Così ci siamo seduti nel  capannone dove la terracotta viene lavorata, ambientazione insolita e a suo modo affascinante. Oltre a queli di Arrighi abbiamo assaggiato anche vini di altre regioni e nazioni, accomunati dall’affinamento in orci.

Della prima edizione del Nesos, la 2018, ha parlato qui su Winesurf il nostro Bruno Caverni, stavolta eravamo a provare il ’19. L’impressione è stata ottima, al di là del fatto che si tratta di un vino-culto accompagnato da uno storytelling magico: la selezione di grappoli di Ansonica,  l’acqua di mare per tenerceli immersi e i lieviti autoctoni sono tutti elbani; imprunetina è la terracotta dove per sei mesi il vino ha soggiornato con le sue bucce.

L’ispirazione generale è venuta dall’isola greca di Chio, un’ispirazione lunga duemila anni e in più interpretata con l’aiuto del professor Attilio Scienza.

Similmente al 2018 il nuovo arrivato si è presentato con un ambrato non troppo carico, dalla limpidezza variabile man mano che il servizio procedeva essendo prodotto non filtrato, con una densità appena sopra la media percepibile muovendo il bicchiere. Il profumo si è espresso con vivacità, appena pungente e sottilmente balsamico all’esordio per poi ricordare la paglia bagnata, la frutta secca e – sarà stato per la suggestione del racconto – i sentori della macchia mediterranea. In bocca si è disteso con giusta freschezza, sapidità e una giusta asciuttezza finale. L’impressione generale è stata di dinamicità senza strappi, elegante.

Arrighi, presente tra le anfore in fabbricazione, ci ha poi fatto assaggiare altre sue creature. Il Valerius 2020, anch’esso da uve Ansonica ma senza tuffo nel mare, è maturato in terracotta dopo la fermentazione. Qui emergeva un certo fruttato nonostante la semplicità aromatica del vitigno. In bocca di nuovo grande equilibrio e piacevolezza anche se con minore persistenza.

Sono seguiti due Viognier in purezza, dove l’assaggio del primo “tutto anfora” e del secondo “acciaio & barrique” è risultato un po’ sconcertante per chi si aspettava un confronto esemplare. Il primo, l’Hermia, dal nome di uno schiavo-cantiniere che lavorò in una villa romana sull’isola un paio di millenni fa, era decisamente erbaceo e verduroso negli aromi, fresco anche al gusto e coerentemente verdolino alla vista: piacevole, anche se non esattamente il profilo varietale che ci si potrebbe aspettare. L’altra versione, etichettata come V.I.P. era (ancora?) sufficientemente legnosa da togliere senso al paragone. Magari da riassaggiare tutti e due fra un po’.

Di buon carattere franco invece il vino seguente, l’Alberata 2019 di tenuta Fontana, un Asprinio di Aversa che ci ha ben impressionato e di cui avremo coccasione di riparlare in seguito. Il presentatore in questo caso è stato l’enologo Francesco Bartoletti, che lavora per Tenuta Fontana come per Arrighi.

Poi è stata la volta del rosso Tresse ancora di Arrighi, un 2018 da Sangiovese, Syrah e Sagrantino (donde le “tre esse”) che ha dormito in anfora per diciotto mesi. Prodotto a tiratura limitata da un singolo vigneto, ci ha offerto profumi intensi di frutta matura, spezie e fiori secchi; in bocca si è rivelato  asciutto e di buona struttura, mancando forse in po’ di slancio in direzione del finale.

Di seguito abbiamo assaggiato un bordolese particolare: non solo biologico e in anfora ma da sole uve Malbec. Peccato che il Cuvèe Jarre Malbec dello Château de Piote del 2015 ci abbia messo un bel po’ a liberarsi dei sentori di riduzione. Alla fine è risultato piuttosto austero al naso e in bocca, decisamente asciutto. Di tutt’altra pasta l’ultimo degli ospiti, il portoghese Amphora 2020, di Herdade Do Rocim. Da un mix di quattro vitigni tradizionali dell’Alentejo è uscito un gran bel fruttato fragrante di ciliegia, in un corpo di tutto rispetto che offriva comunque piacevole scorrevolezza.

Nel complesso l’intrattenimento di assaggio e narrativa ha funzionato, evidenziando in particolare le numerose variabili che, al di là della scelta delle anfore, possono influenzare il risultato nel bicchiere. Non mancheranno occasioni di approfondimento: Leonardo Parisi, il titolare di Artenova con il ruolo di ospitante, ci ha indicato il 4 e 5 giugno prossimi come le date per la sperabile ripresa della manifestazione “La terracotta e il vino”, alla Certosa di Firenze. Ma intanto abbiamo giocato agli abbinamenti con le preparazioni dello “spezzadigiuno elbano” a cura di Gabriele Messina di Elba Magna, produttore di squisitezze isolane che si è ben destreggiato in un ambiente impegnativo, mettendoci la voglia di andare a trovarlo.

 

La foto di copertina è di Artenova, che ringraziamo.

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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