Cristian Calatroni. “Oggi un enologo deve fare di tutto per non fare niente”11 min read

Abbiamo intervistato Cristian Calatroni, che assieme al fratello Stefano hanno creato il miglior vino spumante metodo classico dell’anno, l’Oltrepò Pavese Pinot Nero Metodo Classico Rosé Pas Dosè 2017. Ne è venuta fuori un’intervista che parla di Calatroni e dei suoi vini , ma punta anche a presentare l’attuale situazione in Oltrepò Pavese. Un consiglio prima di leggerla, assaggiate quello spumante!

Winesurf: “Siete nati come produttori di bollicine o di vini fermi?”

Cristian Calatroni. “Siamo un’azienda che rispecchia la storia dell’Oltrepò Pavese dal punto di vista agricolo: il nonno era mezzadro, il papà si è messo a fare le damigiane e io e mio fratello siamo arrivati a fare il vino imbottigliato. Lo abbiamo fatto semplicemente per cercare di stare a galla. I primi anni solo vini  frizzanti: bonarda, riesling, pinot grigio, barbera, tutti erano frizzanti. Poi abbiamo iniziano a puntare sulle varietà più territoriali come pinot nero e riesling e la prima bollicina metodo classico nasce nel 2008. Avevamo fatto delle prove nel 2002 ma probabilmente non eravamo capaci di venderle e così abbiamo aspettato ancora sei anni per provarci di nuovo e da allora l’ abbiamo sempre prodotte.”

W. “Che scuole hai fatto?”

C.C. “Mi sono diplomato come enotecnico alla scuola di Alba nel 2000 e poi mi sono laureato a Milano, ma per motivi di comodità.”

W. “Quindi sei laureato in enologia.”

C.C. “Si, ma non ho fatto la laurea magistrale perché volevo iniziare a lavorare.”

W. “Una famiglia dedicata al vino o qualcuno ha seguito altre strade?”

C.C. “In realtà mio padre e mio zio portavano avanti l’azienda agricola facendo altri lavori: mio padre lavorava in banca e mio zio faceva l’autista, ma entrambi hanno aiutato il nonno per molti anni. Poi siamo arrivati io e mio fratello e entrambi lavoriamo in azienda.”

A QUESTO PUNTO IL TESTO DELL’INTERVISTA VENIVA RISERVATO AI SOLI SOCI DEL CLUB WINESURF MA QUESTA VOLTA LO LASCIAMO IN LIBERA LETTURA. MA PERCHE NON VI ISCRIVETE AL CLUB WINESURF?

W. “Quali sono i maggiori pregi dell’Oltrepò Pavese?”

C.C. “Sicuramente una territorialità unica: collina, e clima fresco, abbiamo argilla ma anche calcare, abbiamo l’acqua. Abbiamo caratteristiche che ogni produttore invidierebbe singolarmente e noi in Oltrepò ce l’abbiamo tutte assieme. Ci sono esposizioni particolari, un territorio a macchia di leopardo che bisogna solo essere bravi ad interpretare:  non devi inventarti niente ma solo mettere il vigneto giusto nel posto giusto e poi il vino viene praticamente da solo. Anche se non sei tanto bravo il vino ti viene discretamente lo stesso.”

W. “E’ una terra che perdona.”

C.C. “Perdona tantissimo perché, ribadisco, l’acqua ce l’abbiamo, i terreni sono variegati, non abbiamo fortissime pendenza ma è una zona collinare,  sfrutta la parte fresca dell’appenino ma non è ripida come la montagna. Ha uno scheletro sassoso ma si parla di calce,  quindi di una sostanza che nel tempo può essere lavorata: ha tanti incastri meravigliosi.”

W. “Invece il peggiore difetto dell’Oltrepo?”

C.C. “C’è stato un passaggio storico che ha ucciso l’Oltrepò Pavese, il benessere degli anni ’60-70. Mentre nelle attuali grandi zone di produzione, come Montalcino o la Langa per fare degli esempi, in quegli anni lì si pativa la fame, noi abbiamo avuto un momento di grande splendore. Gli oltrepadani correvano ogni giorno a Milano con le damigiane piene anche senza gli ordini perché tanto erano sicuri di vendere. In quel momento il territorio si è un po’ seduto e negli anni successivi c’è stata una mancanza di imprenditorialità che ha impedito ai soldi che si guadagnano di essere spesi, ma per il cambiamento. Gli oltrepadani non hanno capito di investire nel cambiamento quindi si sono trovati ad avere oggi delle aziende obsolete, che costerebbe troppo cambiare e rendere moderne portandole ad un trend positivo, perché questa cosa oltre a costare non può essere fatta dalla mattina alla sera.”

W. “A questo proposito: cosa sta accadendo nel consorzio? Mi pare ci sia guerra da anni. Tu come la vedi?”

C.C. “Per me, dal punto di vista di produttore, è la prima volta, in tutta la storia oltrepadana, che il viticoltore ce l’ha fatta a trovare un equilibrio sociale con le grandi cooperative, perché quest’ultime hanno capito, anche se in ritardo, che non sono più sostenibili.  Quindi se non si mettono a fare della bottiglia non possono sostenersi perché il prezzo medio di un vino con una denominazione non importante è basso, il prezzo dell’uva è basso e i conferenti non ci stanno più dentro, non riescono neanche a pagare i costi vivi. Dati alla mano: la Bonarda DOC può fare 125 quintali per ettaro e riuscendo a coprire tutta la produzione la rendita è tra il 6500 e i 7500 euro all’ettaro. Con i costi che ci sono adesso, anche solo del carburante, non ci stai dentro.”

Cristian e Stefano Calatroni

W. “Però dicevi che qualcosa è cambiato o sta cambiando.”

C.C. “Questo legame che potremmo definire di interessi tra le aziende vitivinicole e le cooperative sta iniziando a fare un po’ di muro contro le grandi aziende che hanno sempre preso dal territorio del vino perché era a basso costo e che per anni sono stati nelle poltrone del consorzio  cercando di sfruttare le opportunità commerciali e le dinamiche consortili al fine di promuovere prodotti che non davano reddito. Purtroppo, pur volendo bene ai produttori di bonarda, non guadagna sia chi la vende sia chi la produce. Forse sarà un discorso becero ma fare il commerciante è facile perché compro a 1 e rivendo a 2,  per un agricoltore purtroppo 1+ 1 fa X.”

W. “Pinot nero: in Oltrepò è diverso da quello di altre zone e se si in cosa?”

C.C. “L’Oltrepò Pavese ha una grande facilità nella gestione del pinot nero, in entrambe le versioni , cioè in rosso e spumante. Probabilmente la vinificazione per spumante è quella con più vocazione. Il pinot nero è una varietà un po’ carogna ma in Oltrepò c’è questa ventosità costante che arriva dall’appenino tutto l’anno  e in quanto a esposizioni, anche se toccano tutti i versanti, negli ultimi anni ci siamo concentrati verso esposizioni nord/nord-est. Questo ci permette di lavorare al meglio il vitigno avendo caldo di mattina che asciuga la pianta e di pomeriggio  raggi solari che non sono diretti.”

W. “A proposito: Oltrepò Pavese Pinot Nero Metodo Classico DOCG poi magari Rosé DOCG Pas Dosé, non ti sembra che più del nome di una denominazione sia lo svolgimento di un tema?”

C.C. “Infatti… Adesso non posso svelarti tutti i segreti ma sappi che tra poco dovrebbe arrivarti una comunicazione che un nome nuovo è stato trovato. Ha una storicità confermata e quindi tutto fa pensare che nell’arco di poche settimane ci sarà un annuncio in merito.”

W. “Quindi cambierete il nome della denominazione?”

C.C. “Diciamo che presenteremo, grazie anche al lavoro fatto negli ultimi 7-8, anni una sorta di nuovo nome della denominazione. Stiamo aspettando la prossima assemblea dei soci, che dovrebbe esserci a fine febbraio, per rendere ufficiale quanto proposto.”

W. “Noi di Winesurf siamo famosi per le domande strane e questa ne fa sicuramente parte. Dovessi invitare Miss Italia fuori a cena, in un bel locale, che bollicina sceglieresti?”

C.C. “Hai ragione, è una domanda molto strana. Posso dirti che per Natale ho aperto un Annamaria Clementi del 1980, cioè del mio anno e quella è la tipologia di bollicine che prediligo. Nell’immaginario del classico bevitore però c’è sempre lo Champagne, ma dovendo uscire a cena con Miss Italia sicuramente non ordinerei uno Champagne delle grandi maison ma un grande cru italiano, magari rosato.”

W. “Invece se dovessi andare a cena con Trump (povero te) e potessi portare solo tre vini per fargli conoscere il vino italiano , cosa porteresti?

C.C. “Mamma mia, con Trump sarebbe un incubo. Queste domande mi mettono sempre in difficoltà perché non ho una grande fantasia. Gli porterei una bollicina della mia terra, poi magari un grande piemontese e come terzo vino un bianco dell’Etna, perché quei vini mi entusiasmano.”

W. “Veniamo a cose più serie. Nei vini spumanti è più importante la vigna o la cantina?”

C.C. “Nasco, tecnicamente parlando, come un enologo che vive la cantina. Qui da me faccio l’opposto: siamo partiti dalla ricerca della vigna, abbiamo cambiato la disposizione dei vigneti, cambiato i cloni, creando quella che per noi è la vigna perfetta. In cantina siamo “millimetrici”, certosini ma per me oggi la differenza, anche negli spumanti,  la fa il terroir. Non per niente abbiamo piantato in una zona scomodissima, cambiato i trattori e altre cose. Questo Perché lo spumante di livello, con personalità, si ottiene solo da un terroir e da una vigna giusta.”

W. “Entriamo in cantina: quale di queste operazioni è più importante per un metodo classico? Pressatura, fermentazione, permanenza sui lieviti, sboccatura, periodo di affinamento dopo la sboccatura.”

C.C. “Pressatura, punto. Tutti gli altri sono rimedi. Quelle quattro ore in cui ti arriva l’uva in cantina e la pressi fanno la differenza. Puoi metterci poi quello che vuoi ma se sbagli quelle quattro ore lì hai sbagliato tutto.”

W. “Spiegami come hai fatto il miglior vino spumante d’Italia.”

C.C. “Come faccio tutti gli altri. Non ho una ricetta particolare. Una resa molto bassa in pressa e magari un grappolo di più in pianta.”

W. “Ma quando parli di rese basse in pressa a cosa pensi?”

C.C. “In realtà noi arriviamo all’esaurimento dell’uva ma lo dividiamo in quattro frazioni: con la prima arrivo al 33%, con la seconda al 48-50%, con la terza al 60% e poi la esaurisco e alla fine prendo quello che mi serve.”

W. “Quindi, all’occorrenza, anche vino della quarta pressatura?”

C.C. “L’ultima di solito la utilizzo per i rossi o magari ne uso un quantitativo bassissimo per ritoccare il colore di un rosato. Magari, anche nei migliori prodotti, una lacrima di terza scelta ce la metto.”

W. “Quindi non è che hai fatto qualcosa di diverso?”

C.C. “La 2017 per noi è stata una grandissima annata. Per molti è stata molto calda ma i nostri vigneti alti siamo andati a vendemmiarli a fine agosto-primi di settembre. La differenza l’ha fatta l’annata.”

W. “A proposito di annata, non credi che utilizzare del vin de reserve, sia una strada obbligatoria da seguire per tanti produttori di metodo classico?”

C.C. “Sono anni che teniamo in azienda del vin de reserve, ma in fase prefermentativa, cioè come vino fermo e qualche “goccia”, a seconda delle necessità, viene utilizzata. Però è un aiuto microscopico non è come nelle grandi Maison di Champagne che quasi partono con percentuali fisse e già assegnate  per mantenere uno standard.”

W. “Dove pensi di poter migliorare?”

C.C. “Sicuramente dappertutto, sia in vigna perché cambiano le condizioni climatiche che in cantina. In cantina dovremo cambiare soprattutto punto di vista: noi tecnici siamo stati formati nel periodo in cui la conoscenza della chimica serviva per essere padroni del prodotto, oggi invece bisogna “far di tutto per non far niente”.”

W. “Alta langa, Franciacorta, Trento Doc: su quale di queste tre zone punteresti in futuro?”

C.C. “Conosco meglio di tutti l’Alta Langa e mi piace. Anche se oggi il Trento Doc mi piace abbastanza e la Franciacorta è tutt’ora leader di mercato. La differenza vera è che Franciacorta e Trento Doc lavorano soprattutto chardonnay mentre noi siamo quasi completamente sul pinot nero e l’Alta Langa ne ha una grande percentuale. Per questo mi ritrovo un po’ di più nell’Alta Langa.”

W. “Domanda finale: cosa deve fare l’Oltrepò Pavese per crescere? Su cosa deve puntare?”

C.C. “Deve puntare sull’andare d’accordo, cosa che non si è mai vista! Dobbiamo parlarci, magari discutere ma crescere, essere coesi e soprattutto  fare vini buoni perché l’Oltrepò Pavese negli ultimi dieci anni ha cambiato faccia. Dieci anni se c’erano 10 spumanti 2 erano cattivi, 6 discreti e 2 buoni, oggi non ce n’è praticamente uno cattivo, 4/5 sono discreti e 5 sono buoni. Dobbiamo continuare a lavorare così. Visto che ci sono zone più conosciute e che fanno tanta più comunicazione di noi, dobbiamo lavorare sulla qualità, solo sulla qualità.”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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