Concorso Nazionale sul pinot nero: una porta aperta sul vitigno4 min read

Il 16° Concorso nazionale del pinot nero, che si è svolto giovedì 6 e venerdì 7 aprile 2017 a Montagna ha avuto anche me tra i giudici. Come sempre si valutavano pinot nero di una sola annata, in particolare quest’anno il focus era sulla non certo eccezionale vendemmia 2014. Iscritti sessanta vini da tutta Italia, con l’Alto Adige che faceva la parte de leone

Non partecipavo da almeno dieci anni, da quando si degustava da soli; adesso invece ogni commissione è composta da due persone, un giornalista ed un enologo, e il voto finale  di ogni singolo vino è la media matematica dei punteggi dati dai due giudici.

In questi dieci anni  di cose ne sono cambiate parecchie, ma una è rimasta immutata, la voglia di discutere e confrontarsi su un vitigno particolarmente importante come il pinot nero.

Talmente importante che ogni enologo che si rispetti ha come sogno quello di riuscire a creare un grandissimo pinot nero, magari il migliore di tutti.

Un sogno condiviso naturalmente da tantissimi produttori, che farebbero carte false per farsi dire da un buon produttore borgognone “Ma che buono questo pinot nero”.

Il problema del pinot nero è che puoi essere il più bravo produttore del mondo o il miglior enologo in circolazione, ma se non hai una vigna adatta in un posto adatto, potrai produrre un ottimo vino, ma non un grande pinot nero.

In Alto Adige e più generalmente in Italia qualche posto adatto c’è ma non è certo che abbondino. Ne parlammo a suo tempo qui con Peter Dipoli e non nego che la mia partecipazione a questo importante concorso abbia avuto come scopo quello di capire qualcosa di più su quello che bolle in pentola nella regione italiana sicuramente più importante per il pinot nero.

Mazzon e Gleno

Oltre ad aver parlato con vari enologi e produttori, aver visitato quasi palmo per palmo la bellissima zona di Mazzon e l’emergente territorio di Gleno, un momento importantissimo per capire il modo di intendere e fare il pinot nero in Alto Adige l’ho avuto proprio  durante una delle due degustazioni del concorso, quella finale, dove si valutavano i migliori vini della prima tornata.

Prima della degustazione, naturalmente con vini bendati e organizzata con una metodologia particolare  che permette di valutare non solo i vini ma anche i degustatori, si assaggiano tre “vini campione” (anch’essi bendati e iscritti al concorso) che servono per parametrare i degustatori. Di solito vengono serviti tre vini d qualità e caratteristiche diverse e la discussione generale che ne segue puntualizza  le differenze tra i campioni.

Tre vini diversi per modi di vedere diversi

Nella degustazione preliminare del secondo giorno invece sono stati inseriti tre vini tutti  di alta qualità ma con caratteristiche molto diverse  tra loro.

Il primo era un pinot nero aromaticamente intenso e complesso, senza nessuna marca di legno e con una bocca elegante solcata da tannini giustamente accennati e da una freschezza equilibrata. Uno di quei vini di cui berrei una bottiglia! Sicuramente non era un vino potente, era il più “esile” dei tre e  giocava tutte le sue carte su un profonda eleganza ed una intensità e complessità aromatica da urlo.

Il secondo era un vino con un naso molto intenso, in cui si percepiva chiaramente il legno accanto ad un frutto rosso di ottima qualità. In bocca aveva una struttura tannica più marcata rispetto al precedente, mancando leggermente di freschezza nel finale.

Il terzo mostrava un frutto rosso intenso e giovanile  accanto ad un legno importante e di grande qualità. In bocca colpiva soprattutto la freschezza e l’austera potenza del vino, che presentava una giovinezza assoluta e notevoli possibilità di invecchiamento.

Tutti gli enologi interpellati per un giudizio (anche quello che degustava con me, un giovane molto in gamba da qualche mese responsabile della cantina di Elena Walch) hanno messo ai primi due posti il secondo e il terzo vino, quelli più potenti, più maschi e con più legno, definendo “buono ma esile” il primo e liquidandolo velocemente.

Credo che questo sia il quadro riassuntivo perfetto del “momento pinot nero” in Alto Adige.

Vino grosso o vino grande?

Anche se, magari in buona fede, si crede il contrario, in realtà si punta a pinot nero che abbiano una buona struttura tannica, affiancata e supportata da legni più o meno invadenti da giovani, pensando più ad un ipotetico e lontano futuro che a un chiaro e netto presente. Si punta quindi al “grosso” pinot nero pensando di mirare al grande pinot nero.

In questa  situazione, che comunque porta a produrre ottimi vini, quello che ci rimette forse è l’espressione del territorio, coperta  da una neanche tanto velata voglia di stupire più che di rispettare veramente  quello che un bel vigneto  consegna all’uomo.

Per questo sono importanti manifestazioni come il concorso nazionale del pinot nero, perché aprono porte su un mondo che ha bisogno di discussione per continuare a crescere.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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