ColFondo Agricolo un modo antico ma modernissimo per svincolarsi dal Prosecco5 min read

Quando iniziai a sentir parlare di Colfondo Agricolo la cosa mi fece quasi sorridere e nello stesso tempo mi riportò indietro nel tempo. Il sorriso era per il termine “agricolo”, che sembrava quasi velleitario in un mondo dove milioni e milioni di bottiglie di prosecco, in diversi casi prodotte con costi agricoli e tempi enologici molto ristretti, dettano legge. Il ricordo era quello di mio suocero che imbottigliava la sua poca glera dalle colline di Tarzo, sopra a Conegliano, ottenendo bottiglie col fondo una diversa dall’altra ma quasi tutte molto buone.

Per lui, nato a Conegliano e diplomato alla Scuola Enologica, fare il rifermentato in bottiglia (non lo chiamava ColFondo) era una tradizione. E come lui la pensavano e la pensano in tanti, anche adesso che il termine prosecco è conosciuto dal Tibet alla Terra del Fuoco.

Naturalmente la pensano così anche i giovani produttori del trevigiano che nel 2016 iniziano a dar forma all’idea per dare importanza ad un vino che non è certamente al primo posto tra gli scopi dei tre grandi consorzi di tutela che regolano il nome Prosecco. Così viene creata un’associazione e registrato un marchio e piano piano prende piede un disciplinare interno in dieci punti a cui tutti gli aderenti devono attenersi.

Ma che tipo di vino è il Colfondo Agricolo? Da un punto di vista tecnico è un vino frizzante, cioè sotto alle 2.5 atmosfere, prodotto con Glera e altre uve autoctone del trevigiano (Perera, Verdiso, Bianchetta, Boschera, Rabbiosa) fino a un massimo del 30%.

Forse la cosa più importante è che, al contrario del  Prosecco, non ha praticamente zuccheri residui, perché la fermentazione in bottiglia li azzera.

In epoca di vini cosiddetti naturali vedere un Colfondo Agricolo servito torbido può far pensare a vini imperfetti tecnicamente, ma le sospensioni sono solo il logico risultato della fermentazione in bottiglia.  Invece è proprio l’opposto: una delle regole base è infatti che i vini devono essere in primo luogo netti, ben fatti e solo dopo si passa alle caratteristiche:  più o meno eleganti, freschi o strutturati ma comunque ognuno VERAMENTE diverso dall’altro. 

Altra regola importante è che sono vini non da bersi subito. Non per niente il loro disciplinare recita “Imbottiglia da marzo a giugno dell’anno successivo alla vendemmia e mettilo nel mercato l’anno successivo all’imbottigliamento.”. Considerate che i vini che ci hanno dato per la degustazione per la nostra guida, che pubblicheremo tra qualche giorno, sono del 2021, 2020 e 2019.

Come capite sono tutte regole che nel mondo del moderno Prosecco DOC o DOCG sono spiazzanti ma in realtà mostrano un grande coraggio e una voglia di distinguersi. La dimostrazione che sono ragazzi coraggiosi è che per fare il Colfondo Agricolo devono declassare uve atte a vini DOC o DOCG a Colli Trevigiani IGT.

Ultime regole importanti sono l’uso del tappo corona e una fascetta sopra il tappo che cambia d colore ogni anno, con su scritta l’annata

Insomma come si poteva resistere al richiamo di un vino così particolare, antico ma moderno, che gira le spalle alla DOCG e si incammina verso una strada seguita nel passato ma oggi da riaprire? Così ho concordato una visita in zona e due degustazioni, una per capire realmente la tipologia e una per valutarli e confrontarli uno per uno, in degustazione bendata.

Ho potuto così incontrare una parte dei giovani produttori del Colfondo Agricolo (tutti FIVI) e capire che la loro non è una voglia di distinguersi dal punto di vista commerciale (tutti producono altri vini del territorio come Prosecco DOCG, Asolo o Conegliano Valdobbiadene) ma il modo per dare una valenza alla glera che si stava stemperando e perdendo. C’è rispetto del passato e voglia di un futuro diverso per questo territorio nelle bottiglie di Colfondo Agricolo. 

Vi faccio un esempio terra terra, girando per i locali del  trevigiano ho visto che le persone anziane non bevono Prosecco ma vini frizzanti, magari Colfondo, perché la minor pressione del vino lo rende più digeribile. Questo è solo un esempio per far capire quanto questa tipologia di vino sia radicata in questo territorio. Un territorio che, specie sulle colline di Valdobbiadene ti lascia a bocca aperta.

Ma adesso la bocca la devo chiudere perché si entra in degustazione: ne ho degustati 17 dell’ultima annata in commercio, la 2021, ma se volete nomi e cognomi ve li farò dopo l’assaggio più completo di quasi 40 etichette spalmate su tre anni. Per adesso posso dirvi che sono vini molto diversi tra loro, un range di degustazione complesso e profondo che varia in verticale e in orizzontale, nel senso che varia per zona, annata, azienda. Al naso si passa dai classici aromi di frutta bianca ai fiori, a note più profonde e terrose, fino ai lieviti e alla crosta di pane, classica degli champenois maturi, per arrivare anche a note che ricordano le birre weiss. In bocca c’è freschezza accompagnata in molti vini da sapidità e anche da un lunghezza e grassezza importante.

Il fatto che siano secchi non li rende scomposti e solo in pochissimi casi ho trovato qualche durezza o spigolo. La media qualitativa è comunque alta ma le quantità prodotte sono indubbiamente basse e non potranno che crescere: con 17 produttori di Colfondo Agricolo non arriviamo nemmeno a 200.000 bottiglie totali.

Se fossi in voi una di queste 200.000 l’assaggerei. Ci risentiamo comunque tra qualche giorno per le valutazioni dei singoli vini.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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