A Christmas Tale (che col Natale ha poco a che fare) in Alto Piemonte11 min read

C’era una volta un territorio dove i produttori di vino dovevano guadare un fiume per andare nel vigneto, dove il più grande produttore di una denominazione ha poco più di un ettaro, dove molti non dico abbiano un insegna davanti alla cantina, ma nemmeno il campanello. Dove le cantine producono 1072 bottiglie di un tipo di vino e 987 di un altro. Dove i vigneti hanno davanti il Monte Rosa e lavorarci è forse più bello che da altre parti.  Questa zona un tempo era piena di vigneti ma oggi ci sono boschi, campi e ogni tanto anche qualche vigneto. In questa zona Babbo Natale (un aggancio col Natale ci vuole) per consegnare doni deve conoscere bene la strada perché di luci ce ne sono veramente poche e l’inquinamento luminoso è una parola sconosciuta.

Qui ci sono anche denominazioni conosciute, con densità abitative e di ettari vitati “quasi normali”, come Gattinara e Ghemme, ma nel nostro ultimo tour abbiamo cercato di visitare quasi esclusivamente piccoli o piccolissimi produttori di altre denominazioni altopiemontesi, molto più microscopiche ma con vini che niente hanno da invidiare al Gattinara, al Ghemme e all’universo mondo del nebbiolo.

Eccovi qualche nota sui vignaioli che abbiamo incontrato.

Non è una storia breve ma per Natale, oltre ad essere tutti più buoni, abbiamo tutti più tempo.

 

Le sorelle che per fare vino guadano il fiume.

Paola e Elena Conti probabilmente hanno batterie infinite! La loro verve, la loro passione per il vino, per la vigna ha connotati quasi i elettrici. Si muovono sempre, velocemente, sembrano bambine che non stanno mai ferme. Non stanno ferme nemmeno quando parlano in auto mentre ci portano…nel fiume. Perché la loro nuova vigna è su un cocuzzolo bellissimo, ma ha il “piccolo” problema che per arrivarci bisogna attraversare il letto di un fiume. Il fiume adesso è secco, ma non sempre lo è.

Guadiamo, saliamo, ci fermiamo e subito le due “sorelle elettriche” iniziano a camminare avanti e indietro per questa loro creatura: la presentano come se fosse la terza sorella (assente quel giorno) non la lodano perché sono ben educate e non sta bene farlo ma sprizzano gioia da tutti i pori per essere riuscite a piantare in un posto che i vecchi dicevano  era tra i  migliori della zona.

Ma con Elena e Paola non si può parlare di vigna senza entrare nel discorso Maggiorina, questa vecchissima forma di allevamento usata in zona che, per capirsi, sembra un polpo infilato a testa in giù con i tentacoli attaccati a 4-8 pali che le formano intorno  un quadrato. La “testa” in realtà sono 3-4 vini piantate vicinissime  e i tentacoli sono i loro tralci.

Mentre Elena mi spiega tutto: quanto lavoro manuale ci voglia, come le stanno recuperando lentamente da abbandono , sembra quasi che lei voglia abbracciare ma più che altro sembra che la maggiorina voglia abbracciare lei, per ringraziarla di quanto a fatto e di quanto farà. Voi adesso direte: con tutto questo lavoro manuale, con la maggiorina, le altre vigne, il guado da fare, come minimo in azienda saranno una decina nei campi. Invece sono in due-massimo tre e il bello è che i vini hanno prezzi bassissimi se si considera quanta fatica si portano appresso.

Dei loro vini che dire?  Fermo restando che i risultati dei nostri assaggi usciranno tra uno-due giorni la sensazione, dopo diversi assaggi dalla botte e qualcosa di imbottigliato è che “l’elettrica  freschezza”  delle sorelle rimanga come voce soprano nel coro, affiancata però da una baritonale saggezza, che porta i vini ad esprimersi con  una ponderata e apprezzata lentezza. Il loro Boca Castello Conti è vino lento da mani veloci, aiutate però da esperienza succosa e condivisa.

 

L’uomo che tiene “ambo le chiavi del cor” del Sizzano

Paride Chiovini sembra un ragazzo. Il bello è che è un ragazzo, almeno secondo i miei parametri. E’ indubbiamente un minimalista del vino, nel senso che tende a ridurre al minimo, anche dal punto di vista metrico decimale, tutto quello che serve per fare un gran prodotto. In primo luogo gli ettari vitati che nella DOC Sizzano non arrivano a due, rendendolo comunque il “maggior produttore mondiale” di questa denominazione stretta tra Ghemme e Fara, che basa la sua essenza su vini dove il nebbiolo si sposa a vespolina e uva rara, producendo vini corposi ma stuzzicanti, dotati di grande freschezza.

Anche la cantina è un piccolo quadrilatero pulitissimo (lo sottolineo perché qualche cantina locale ha  tendenze “borgognone”) in cui le poche vasche di acciaio e i pochissimi legni parlano di un numero di bottiglie, appunto, minimalista. Però Paride mi spiazza quando afferma che “Con 20-25.000 si tira avanti bene la famiglia”. Eè minimalista anche nel modo di impostare la vita, o forse è saggiamente un “non consumista”.

Sono invece vini estremamente consumisti (nel senso che si consumano velocemente) il Colline Novaresi Vespolina e il Colline Novaresi Uva Rara. Ti prendono subito “per il naso” e non ti mollano grazie a speziature di una naturale piacevolezza e a una equilibrata ma sonante freschezza.

Del Sizzano parleranno le degustazioni ma della sensazione di equilibrio che si percepisce in Paride e nei suoi vini bisogna dire. E’ equilibrato quando rifiuta con cognizione di causa  (è un chimico) di arrampicarsi su specchi “naturali”, è equilibrato quando cerca aiuto in altri produttori per condividere macchinari surdimensionati per una piccola azienda, è equilibrato quando vede oltre il tumultuoso mondo del vino dichiarando che si può vivere bene anche producendo poco e vendendo a prezzi giusti.

Grazie Paride per gli insegnamenti!

 

L’uomo che produce grandi vini con un gran faccia da meccanico

L’approccio è da Alto Piemonte : “L’indirizzo dice Via X, ma voi andate in Via Y: c’è una porta senza numero, entrate lì” Per noi però era troppo e se non incrociavamo Gilles Mazzoni, figlio di Tiziano, difficilmente saremmo entrati nella nuova cantina in “sistemazione” di questo baffuto e bravissimo interprete del Ghemme. Un interprete che, lo ammetto, ha la faccia da grande meccanico, di quelli che Battisti avrebbe definito  “Quel gran genio del mio amico, con le mani sporche d’olio”.

Ti viene spontaneo affidarti alle mani di Tiziano, anche e soprattutto se si parla di vino. I suoi Ghemme nascono a Cavaglio d’Agogna, un paesino piccolissimo e, fino a poco tempo fa, in una cantina microscopica dove se si respirava bisognava uscire  altrimenti si prendeva troppo spazio.

Con la microscopica ex cantina di Tiziano voglio affrontare un argomento che mi ha sempre sfrucugliato: se si riescono a fare grandi vini in spazi dove un essere umano normale non cuocerebbe un uovo, spazi più ampi servono solo per permettere al produttore di durare meno fatica? Non ho risposta ma credo che il detto “Nelle botti piccole si fa il vino buono” in Alto Piemonte si traduca in “Nelle cantine piccole si fa il vino buono”.

A proposito di vino buono, i Ghemme di Tiziano, continuando il paragone con la meccanica, sono vini che uniscono la precisione di un calibro alla potenza che si può sprigionare con una grossa chiave inglese. Fuor di metafora sono vini che hanno bisogno di tempo per esprimersi, dotati di “ferrea” durezza che col tempo diventa piacevole come un “calendario da meccanici”. Non ce ne voglia Tiziano se scherziamo sui suoi vini ma i Ghemme per noi sono sempre stati ostici, specie se giovani: i suoi riescono a piacerci subito perché vediamo il disegno che c’è dietro. Non promettono nulla, non ne hanno bisogno: si capisce che con vini del genere basta aspettare.

 

Se in vigna hai le palme vuol dire che sei in Alto Piemonte

Ancora una volta le indicazioni stradali altopiemontesi lasciano il segno e per trovare  Le Pianelle bisogna darsi appuntamento praticamente nel mezzo di strada, perché non c’è insegna e tantomeno numero civico, se non una microscopica scritta accanto al campanello.

Ma in vini non si fanno con i cartelli stradali e quindi il Bramaterra del “quadrilatero” Peter Dipoli, Dieter Heuskel,  Cristiano Garella e Andrea Zanetta è da anni uno dei miei riferimenti in zona. Lo sanno anche i sassi che l’Alto Piemonte è una zona fresca ma spesso  i sassi sbagliano, perché in certi vigneti le temperature che si raggiungono di giorno permettono addirittura la crescita delle palme.

E’ il caso della vigna di fronte alla cantina  delle Pianelle, dove facciamo una passeggiata per vedere anche come cambia il terreno in poche centinaia di metri. Ma nessuna paura, perché se di giorno fa caldo di notte l’escursione termica è notevole e permette al nebbiolo (in compagnia di croatina, vespolina e uva rara) di caricarsi di freschezza dopo aver fatto il pieno giornaliero di calore.

I risultati sono vini eleganti, tannici ma non aggressivi e con le classiche note aromatiche del nebbiolo, affiancate dalle speziature delle altre tre uve complementari. Le note aromatiche servono anche per  fare un ottimo rosato, assolutamente non basato sulle giovanissime sensazioni dei lieviti ma su complessità di cui il nebbiolo è vitigno principe.

 

Bramaterra, vecchie foto e moto da cross

L’abbiamo detto e ridetto che anche nella zona del Bramaterra in passato c’erano tanti vigneti e quindi non siamo sorpresi vedendo vecchie foto in bianco e nero nel museo del vino della frazione Casa del Bosco, a Sostegno.

Praticamente questo museo è composto in gran parte dai vecchissimi attrezzi degli Antoniotti, che babbo Odilio ha deciso di lasciare sotto gli occhi di tutti.

E’ invece per pochi occhi la sorpresa  che gli Antoniotti, il padre Odilio e il figlio Mattia mi riservano: per un vecchio appassionato di motocross poter toccare con mano la moto che il grande Ostorero usava per allenarsi nel campo di cross di Maggiora non ha prezzo.

Mentre il Bramaterra degli Antoniotti ha un prezzo ma non certo alto, specie per la qualità che esprime. Anche qui uvaggio classico del territorio, con nebbiolo unito alle uve complementari per un Bramaterra  però estremamente austero, molto racchiuso in se stesso, dotato di una verticalità ancora vivida, classica in un vino le cui uve crescono attorno ai 450 metri.

 

Il vigneto davanti alla montagna per il vino che non conosce età

Chi dice che un Colline Novaresi non può invecchiare dovrebbe assaggiare  le vecchie annate di Motziflon di Francesco Brigatti. E’ un vino che nasce con davanti le montagne e probabilmente respira un’aria fresca che tempra le uve.

La stessa aria fresca l’abbiamo respirata noi, con Francesco che ci ha scorrazzato per i suoi vigneti in una giornata fredda e soleggiata. Per questo dopo abbiamo apprezzato non poco il camino acceso e la sua vespolina in purezza, un vino che sprizza pepe e freschezza da tutti i pori.

Ve lo posso dire con cognizione di causa, perché l’ho comprata e la sto bevendo con gioia in questi giorni.

Visto che il vino più conosciuto di Francesco è un Colline Novaresi vorrei cercare di far capire come non si sia di fronte ad una denominazione che, specie nella versione  nebbiolo, vada bevuta giovane. Molti nebbiolo targati Colline Novaresi hanno tempra di grande vino e spesso risultato rigidi e spigolosi nei primi 3-4  anni di vita. Vanno saputi attendere e non hanno niente da invidiare ai grandi nebbiolo, sia prodotti in zona sia altrove.

 

Da Gattinara a Poggibonsi, passando dal sottopasso

Il titolo ve lo spiego dopo. La cantina di Paride Iaretti è l’ultima che visitiamo nel nostro tour e d è stupefacente perché  è…normale. Nel senso che è una palazzina ad un piano, nuova, posta fuori dal centro abitato: insomma, una cantina!

Qui però Paride, con i suoi soci, c’è arrivato da poco e prima vinificava nel classico posto da piccolo produttore in Alto Pemonte: spazi piccolissimi dentro la città, difficoltà incredibili e fatica immane per riuscire a produrre. Non crediamo quasi ai nostri occhi nel visitare una cantina interrata dove si arriva con un grande montacarichi e dove ci potranno entrare dieci volte  le botti e i tonneau  che ci sono adesso.

Paride Iaretti per gentile concessione di Lavinium.

Paride parla con orgoglio di questa nuova creatura, che gli permette di lavorare meglio e con meno fatica. Del resto la vecchia cantina in centro, con l’aumentare dei vigneti era ormai impossibile da gestire e così Paride è entrato in società con altri appassionati: lui ha messo i vini e le vigne, loro la nuova cantina.  Qui i suoi Gattinara imponenti, dotati di scorza giovanile, potranno essere vinificati e maturare con calma. A proposito di imponenza e corpo, provate il suo Gattinara Pietro e capirete cosa intendo.

Ai saluti ci scambiamo i biglietti da visita: Pietro vede che sono di Poggibonsi e esclama “Che città incasinata, dovevo fare una degustazione in un enoteca vicina al centro ma non trovavo la strada per superare la ferrovia che vi divide a metà”. In effetti Poggibonsi è divisa a metà dalla ferrovia e da qualche anno, al posto del vecchio passaggio a livello è stato costruito un sottopasso gigantesco, ma solo per i pedoni. Le auto devono fare un giro pesca incredibile. Ripasso la parola a Paride “Dopo due volte che non trovavo la strada sai cosa ho fatto? Sono sceso per le scale del sottopasso con la mia 4X4 e sono risalito dall’altra parte. In un attimo sono arrivato davanti all’enoteca”.

Un sistema drastico e sicuramente pericoloso (per lui, se lo beccavano i vigili), ma Paride ha incarnato il sogno quotidiano di tutti i poggibonsesi!

E così siamo arrivati alla fine di questa storia di Natale, dove il Natale c’entra poco. Nei prossimi giorni presenteremo i risultati degli assaggi e parleremo in maniera più precisa delle varie denominazioni. Per adesso tanti auguri di Buon Natale.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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