Chianti Classico Collection alla Leopolda: annata 2020 figlia di un percorso virtuoso4 min read

Il ritorno alla normalità che questa Chianti Classico Collection 2022 vuole, in sicurezza, celebrare,  l’ho toccato con mano mentre stavo arrivando alla Leopolda in auto, perché un ingorgo del genere a Firenze non l’avevo mai trovato.

All’interno della Leopolda invece nessun ingorgo: tutto è filato liscio (a parte la solita incomprensibile app per richiedere gli assaggi) e così ci siamo potuti fare un quadro sui vini e sulle annate in degustazione. La cosa che ci premeva di più era fare un primo punto, ma approfondito,  sulla vendemmia 2020, di cui molto si è parlato con pareri anche discordanti.

Dopo aver degustato quasi una cinquantina di Chianti Classico 2020 è chiaro che siamo di fronte ad un’annata per cui, senza che venga preso in senso negativo, si può e si deve  usare il termine “beverina”. Attenzione, non è certo la potenza infatti l’arma principale dei 2020 ma freschezza  e una dinamica armonia che porta già in dote tannicità di buon livello, non certo arcigne o eccessivamente spigolose, tantomeno acuite da alcolicità surdimensionate.

Le gamme aromatiche sono veramente ampie e spesso giocate molto anche su toni floreali, che si affiancano a note fruttate giustamente mature. Fanno parte del portafoglio aromatico anche soffusi profumi di erbe aromatiche e macchia mediterranea.

Per completare un primo quadro troviamo molto ben dimensionato l’uso del legno, praticamente mai fuori dalle righe nei quasi 50 vini degustati.

A questo punto credo sia opportuno alzare un po’ lo sguardo e proiettarlo sul recente passato per capire meglio i reali cambiamenti che stanno avvenendo in Chianti Classico.

Se c’è una cosa che accomuna le vendemmie dal 2014/2015 alla 2020 è quello che potrei definire come “una ritrovata centralità della piacevolezza del sangiovese”. Infatti sia la più potente e ampia 2019 che la 2020 hanno in comune una chiarezza espressiva che in passato spesso latitava e che ha cominciato a delinearsi meglio forse a partire dalla sfortunata ma importante 2014. In questo ventaglio di vendemmie molto diverse tra loro una cosa ci è sembrata chiara, nel Chianti Classico d’annata  specialmente: una ritrovata libertà espressiva che ha traslato vini in diversi casi un po’ imbalsamati in prodotti molto più godibili senza per questo rinunciare a corpo e complessità.

 

Si potrebbe dare il merito di tutto ad un uso migliore e più giudizioso del legno ma credo  occorra andare indietro e ricercare proprio in vigna questo cambio di passo.

Non voglio liquidare il tutto con il concetto di migliore maturità fenolica, perché questo, usando il modus operandi del (anche recente) passato, ci avrebbe portato a vini più opulenti, più rotondi, più potenti, mentre oggi anche e soprattutto con la 2020 siamo di fronte a Chianti Classico leggiadri, freschi, profumati, ma comunque di buon corpo.

Forse mi sbaglierò ma credo che accanto ad una possibile migliore maturazione fenolica la cosa che sta cambiando la faccia del Chianti Classico sia una conoscenza molto più approfondita del vigneto, che porta con sé una conoscenza reale del territorio e quindi ad una possibilità di espressioni che non vanno nell’unica direzione dell’imbalsamata potenza, ma verso una vera presa di coscienza, spero definitiva, che quella vigna “è giusto” si esprima a quel modo.

Quindi non solo uve migliori e più mature (stando attenti all’alcol, che nei vini d’annata si percepisce sempre meno) ma più adatte ad un vino più territoriale e quindi diverso da vigna a vigna, da cantina a cantina, da annata a annata.

Inoltre con uve del genere il lavoro in cantina risulta più facile e meno invasivo, l’esperienza porta a dosare la “frizione” del legno e a non eccedere nelle estrazioni, l’oramai consolidata riscoperta delle vasche in cemento permette ai vini maturazioni meno “ossessive”.  Il tutto porta ai 2020 degustati oggi:  vini “beverini  e affascinanti” perché con caratteristiche  di complessità nel solco della storia di un vino  piacevole,  dinamico e godibile sin da subito ma con i giusti e doverosi “attributi”.

Se non ci fossero stati miglioramenti in vigna e logici adattamenti in cantina oggi credo avremmo vini diversi, più difficili, più duri e non penso più longevi.

Qui si potrebbe entrare in un ragionamento già fatto e cioè che i cambiamenti climatici stanno portando a mutazioni “filosofiche” del fare vino. Lo si vede bene in denominazioni vicine e lontane , come nel Brunello di Montalcino o nel Barolo, che stanno mutando piano piano verso diagrammi tannici meno eccessivi, verso (quando è possibile) alcolicità trattenute, verso “sottrazioni ben congegnate”.

Nei Chianti Classico 2020 non troviamo leggerezza o pochezza, ma sincerità espressiva, freschezza e anche giusta ruvidità tannica perché sempre di vini che possono maturare 7-10  anni (mediamente) si tratta.

Ancora tutta questa espressività non si ritrova nelle Riserva 2019, anche se è chiaro che siamo di fronte a vini molto meno ingessati e pieni di legno che in passato. Le Gran Selezione 2019 erano troppo poche per farsi un quadro abbastanza chiaro.

Quindi i 2020, figli di un percorso virtuoso, ci sono piaciuti e non poco!

Volete sapere i nomi dei migliori? Come al solito non ve li daremo adesso ma dopo i nostri assaggi di settembre. Quindi portate pazienza, anche perchè ci sono delle novità in arrivo per quanto riguarda la nostra guida vini.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE