Chianti Classico 2016: annata inaspettatamente complicata4 min read

Ci stiamo riflettendo da almeno un mese e ancora non siamo riusciti a darci una risposta chiara sul perché l’annata 2016 di Chianti Classico ci abbia soddisfatto molto meno del previsto.

Siamo andati indietro nel tempo ad una vendemmia abbastanza irregolare e magari complicata, con un andamento altalenante   ma con abbondanti periodi caldi. Allora addirittura qualcuno parlava di grande vendemmia e il solo ricordo negativo era la voce diffusa che in diverse cantine le fermentazioni tardavano a partire e avevano anche problemi a portare a secco i vini.

Foto Apsana Macchi

Però niente di allarmante, specie dopo due vendemmie veramente difficili come la 2013 e la 2014. Se ci avessero chiesto un parere prima dei nostri assaggi avremmo paragonato la 2016 alla 2015, una delle migliori vendemmie degli ultimi 10 anni, e anche durante l’anteprima di febbraio i vini degustati ci erano sembrati abbastanza in linea con un’ annata tra il discreto e il buono.

Invece degli oltre settanta Chianti Classico 2016  degustati solo una parte ci hanno soddisfatto in pieno: in diversi casi abbiamo trovato una certa mancanza di corpo, in altri di freschezza, con nasi raramente ampi e  variegati. Questo, come accennato, ci ha sorpreso  perché non ce lo aspettavano e il buon numero di Chianti Classico 2016 armonici, profumati, giustamente tannici e dotati di buona eleganza riescono a malapena  a portare l’ago della bilancia  sulla sufficienza.

Foto Apsana Macchi

E qui voglio affrontare un discorso difficile, che sono sicuro mi porterà addosso delle critiche. Premetto che sono quello che in anni assolutamente non sospetti creò una guida sui vini da vitigni  autoctoni e  quando sente un Chianti Classico che “bordoleggia” perde la pazienza, però.

Il però riguarda da una parte la difficoltà di fare ogni anno dei buoni sangiovese in purezza, specie se si parla di un vino che non può costare molto,  dall’altra le virtù “medicamentose” degli altri  vitigni  consentiti dal disciplinare, autoctoni o alloctoni che siano. A questo voglio aggiungere che diversi merlot e qualche cabernet piantati in Chianti Classico oramai “chianteggiano che è un piacere”,  cioè hanno in buona parte assunto tonalità molto più compatibili col sangiovese, specie quando c’è da aiutare il vitigno in annate (per vari motivi) non facili.

Da quando la parola d’ordine è giustamente diventata “Sangiovese!” è logico che ogni produttore chiantigiano si misuri soprattutto con questo vitigno. Però una cosa è farlo con uve forzatamente di alto livello,  selezionate per un vino come la Gran Selezione che viene venduto a25-30 e più euro,  un conto è farlo per il chianti classico che spesso esce di cantina a meno di 10 euro.

Bisogna mettere in campo che le ritrosie o i naturali spigoli del vitigno non possono essere ammorbiditi dal tempo , da botti o barrique di livello o da un uva sicuramente di altissima qualità, ma all’opposto possono essere amplificate dal poco tempo a disposizione prima di entrare in commercio, dai ridotti margini di manovra che un chianti classico a 6-7 euro  può giustificare e soprattutto da sangiovese che, in annate non eccezionali, non sono certo facili da trattare all’interno di questi parametri.

Per questo in annate come il 2016, si arriva a degustare chianti classico  con squilibri, magari rigidi, poco profumati o senza grande corpo, mentre chi ha “il paracadute” di altre uve riesce a rimettere prima  in carreggiata il vino d’annata. Magari tra 3-4 anni i sangiovese in purezza avranno più finezza di quelli con altre uve, ma adesso rischiano spesso di pagare dazio.

Infatti ci ha colpito il fatto che,  all’opposto per esempio del 2015,  in generali sono andati meglio  vini di grandi marchi e  imbottigliatori rispetto a quelli di piccole cantine, posizionate in varie zone del territorio. Questo per noi vuol dire che chi ha potuto prendere vini e uve da varie parti è stato avvantaggiato in una vendemmia “arlecchino”, dove  non era assolutamente scontata, specie per il sangiovese  una giusta maturazione in ogni parte del Chianti.

Quindi vedo come giusto obiettivo l’utilizzare il Sangiovese in purezza soprattutto nelle grandi espressioni territoriali (Riserva e Gran Selezione) ma reputo altrettanto giusto riuscire a creare una giusta amalgama tra la stragrande maggioranza del sangiovese chiantigiano che viene venduto e consumato piuttosto giovane e quei vitigni, alloctoni o meno, che possono permettergli maggiore prontezza e dinamicità, senza rinnegare  assolutamente la riconoscibilità territoriale.

I nostri assaggi hanno visto, come sempre, in degustazione anche un buon numero di vini dell’annata precedente ma entrati in commercio nel 2018. I 2015 degustati ci hanno confermato quanto detto lo scorso hanno: siamo di fronte ad un bel mix di freschezza, buon corpo, equilibrio e bevibilità e siamo convinti che i 2015 abbiamo “le stimmate” per poter maturare bene per un discreto numero di anni.

Per quanto riguarda i 2016 è invece   difficile dare indicazioni sulle possibilità di invecchiamento, proprio perché i risultati  non permettono una valutazione omogenea. Per i migliori comunque ci sentiamo sicuri di una tenuta nel tempo non inferiore ai 5-8 anni.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE