Bianchi siciliani (Etna esclusa): belli senz’anima! Ovvero buoni ma poco riconoscibili2 min read

Quest’anno le nostre degustazioni siciliane hanno spaziato su diversi fronti, che abbiamo voluto scientemente tenere separati.

A parte la logica divisione tra bianchi e rossi, all’interno delle due tipologie daremo uno spazio a parte ai vini prodotti sull’Etna. Per questo usciranno in rapida successione quest’articolo sui bianchi siciliani e poi quello sui bianchi e i rosati etnei, che verranno seguiti a settembre dai rossi siciliani e poi dai rossi etnei. Chiuderà la nostra panoramica la degustazione degli spumanti siciliani, questa volta con gli etnei (soprattutto perché erano molto pochi) all’interno.

Questa divisione è dovuta al fatto che la strada seguita dal “pianeta Etna” sia abbastanza diversa da quella del  resto dell’isola. Non è solo un discorso qualitativo anzi, è invece il modo con cui si concepiscono i vini (in particolar modo i bianchi) che crea un solco tra chi interpreta in maniera abbastanza univoca e precisa Carricante e Catarratto e chi invece si trova a gestire molti più vitigni con metodi di approccio che difficilmente puntano decisamente sulla loro riconoscibilità e rispondenza.

Bisogna anche dire che fuori dall’Etna abbiamo ricevuto vini soprattutto da aziende importanti e affermate, che mirano molto sulla piacevolezza del vino e non tanto su una tipicità, peraltro latitante da tempo. Si passa da un Grillo che profuma di frutta della passione ad un altro che è soprattutto floreale, ad un terzo che ha toni minerali etc. Questo accade anche con altre uve autoctone come inzolia e catarratto e se poi il discorso si allarga a chardonnay e compagnia alloctona si rischia di perdere un minimo di filo conduttore.

Una terra così tanto riconoscibile, così tanto incastonata nelle memoria di tutti per panorami, gusti, sapori purtroppo stenta ad avere una riconoscibilità chiara nei suoi (peraltro buoni) vini bianchi. Questo è un vero peccato perché, come detto, i vini sono piacevoli e profumati ma mancano di un minimo comun denominatore, di un anima condivisa, di un pulsare comune che forse non servirà adesso per vendere una bottiglia in più ma sicuramente in futuro potrebbe fare la differenza. Certo è che quando si propongono vini con prezzi medio bassi il pericolo è sempre quello di confrontarsi con mercati basati sul prezzo e non sulla qualità, con quest’ultima che rischia poi di perdersi per strada.

A proposito di prezzi: anche se sull’Etna oramai stiamo arrivando a prezzi d’affezione,  mediamente i bianchi del resto della Sicilia sono proposti a quasi la metà dei cugini sul vulcano e questo è un segnale da tenere molto in considerazione, perché dimostra che il territorio e la riconoscibilità alla fine pagano.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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