Bianchi Friulani, seconda parte: buoni segnali da Sauvignon e Pinot Grigio6 min read

Questo secondo articolo sui nostri assaggi dei bianchi friulani, incentrato su Pinot Grigio, Sauvignon, Chardonnay, Ribolla gialla e uvaggi non parte da considerazioni tecniche ma economiche. Ormai dati alla mano i bianchi friulani sono (assieme ai Verdicchio marchigiani) indubbiamente quelli con il miglior rapporto qualità-prezzo. Questo è certo un pregio ma non possiamo nasconderci il problema che questi vini dai prezzi indubbiamente molto abbordabili sono anche quelli che 20 anni avevano prezzi indubbiamente superiori alla stragrande maggioranza delle denominazioni italiane. Qui non sto parlando dei vini delle Grave o in genere delle pianure verso il Veneto, ma delle denominazioni di collina e di pianura più blasonate, cioè Collio, Colli Orientali e Isonzo.

Assaggiamo questi vini da molti anni e abbiamo visto (nonostante situazioni giudiziarie al limite del grottesco) una crescita qualitativa importante che coinvolge in primis la vigna e poi la cantina. I vini sono sempre più centrati, ben fatti, invecchiano (nella media) molto meglio di 20 anni fa, in molti casi hanno abbandonato visioni iperlegnose e quasi caricaturali eppure andiamo a vedere i prezzi di cantina e li troviamo allo stesso livello e spesso più bassi di denominazioni che in passato costavano molto, ma molto meno dei bianchi friulani. Non abbiamo proposte (oddio, qualcuna l’avremmo ma si andrebbe troppo per le lunghe) ma sicuramente la Regione Friuli Venezia Giulia dovrebbe intervenire con piani importanti e seri di promozione e i produttori dovrebbero mostrare una coesione e una spavalderia che fino ad oggi è mancata. Torneremo sull’argomento ma adesso parliamo dei nostri assaggi.

Pinot grigio

L’annata 2022 ha visto una raccolta ancora più precoce (inizio alla fine di luglio) per questo che è il vitigno più piantato in regione. Sicuramente la maturazione delle uve  è stata non certo perfetta e ha risentito dei blocchi dovuti al grande caldo: in sostanza non siamo certo di fronte ad un’annata viticola da ricordare. Questo è quello che è successo in vigna mentre in cantina i produttori, forse consci di avere uve da trattare con grande attenzione, hanno evitato in gran parte quei pinot grigi “da estero”, rotondi, troppo morbidi, magari con legno in eccesso, che negli scorsi anni avevamo segnalato, certo non facendoci amare da tanti pur bravi produttori. Nelle denominazioni di collina le cose sono andate nettamente meglio che in pianura, dove forse la raccolta anticipata ha portato a Pinot Grigio a cui manca spinta e corpo, mentre in Collio e nei Colli Orientali abbiamo trovato vini di buon equilibrio e anche con note sapide che bilanciano l’acidità non certo altissima. Un’ annata giocata in difesa ma con una “tattica all’italiana” che ha permesso (scusate il paragone calcistico) di effettuare ottimi contropiedi coronati da successo. Per esempio nei sempre più presenti Pinot Grigio ramati, dove il colore diverso porta con sé anche concentrazioni e pienezze maggiori, ma senza eccedere. Un’annata che mette in mostra indicazioni da seguire in futuro per dei Pinot Grigio più armonici e meno piacioni.

Sauvignon

Anche il sauvignon ha risentito del gran caldo e della siccità e la cosa si è vista sia nella componente aromatica che nell’acidità,  diversa dal solito la prima e più bassa rispetto ad altre annate la seconda. Per fortuna dal punto di vista aromatico alcune componenti “verdi” sono state sostituite da frutta agrumata e note floreali, mentre in bocca il pH un po’ più basso rispetto agli altri anni ha permesso una sapidità che bilancia bene la minore freschezza. Siamo di fronte ad un’annata non eccezionale ma eccezionalmente pronta da bere. Forse non avrà grandi possibilità di invecchiamento ma intanto i sauvignon sia di collina che di pianura hanno sicuramente una piacevolezza che in altri anni arrivava solo dopo 12-14 mesi dalla vendemmia. Non per niente ci sono sei Vini Top e tanti altri vini che hanno “rischiato” di diventarlo. Un risultato quindi più che apprezzabile, frutto indubbio di una viticoltura che sta prendendo bene le misure al cambio climatico.

Chardonnay

Sono lontani i tempi in cui uno chardonnay delle zone più vocate del Friuli era da considerarsi sempre e comunque un grande prodotto. Oggi c’è meglio voglia di questo vitigno, sia tra i consumatori che tra i produttori e questo lo si capisce anche dal sempre decrescente numero di campioni che arrivano in degustazione. Ma lo si capisce anche dai risultati degli assaggi, in cui, specie per la 2022, troviamo un po’ troppa semplicità aromatica e scarsa importanza al palato. Vini corretti ma niente più e molto probabilmente la rinnovata verve spumantistica friulana troverà in tanti chardonnay di non altissimo profilo una fonte a cui “abbeverarsi”.

Ribolla Gialla

Parlando di Ribolla Gialla ci viene in mente la vecchia barzelletta dove si deve dare una notizia buona e una cattiva, ma la prima è forse peggio della seconda. La media qualitativa delle Ribolla di collina forse non è mai stata così alta (anche se mancano i picchi) ma mai come quest’anno ci siamo domandati cosa stia diventando la Ribolla Gialla. Infatti abbiamo assaggiato un buon numero di buoni vini che in diversi casi  hanno una cosa in più e una in meno: la cosa in più sono aromi derivanti da piccole aggiunte di altre uve semiaromatiche, la cosa in meno è l’acidità, la freschezza. Siamo d’accordo che l’annata è stata calda ma quando la ribolla manca di freschezza non si capisce bene cosa sia, specie se “aiutata” al naso per renderla più piacevole. Facendo così si rischia di perdere l’identità di un vitigno importantissimo per Collio e Colli Orientali e dare ragione a chi, in pianura, produce il triplo per ettaro e guadagna il doppio.

Uvaggi

L’anno scorso non li avevamo pubblicati per evitare di passare per quelli che si divertono a stroncare i vini, quest’anno invece siamo felici di ritornare alla normalità. Pur senza aver trovato punte importanti i vari uvaggi (dal classico friulano-ribolla-malvasia a quelli con i vari vitigni non autoctoni), di annate che vanno dal 2018 al 2022 ci sono sembrati molto meno “vorrei ma non posso” rispetto al passato. C’è più equilibrio, maggiore freschezza, meno legno dato a vanvera e una piacevolezza che è forse il filo conduttore degli assaggi di quest’anno.

In chiusura, oltre a ringraziare ancora il Consorzio delle DOC Friuli e quello dei Colli Orientali per l’organizzazione e l’ospitalità ci sentiamo di dire nuovamente due parole sul livello della ristorazione tra Collio e Colli Orientali. Pur con le dovute eccezioni e considerando i passi avanti fatti in questi ultimi anni sembra che la ristorazione friulana pensi più ai “locali” che non hai turisti, specie quelli del vino. Orari, ferie in periodi di alta stagione, menù poco accattivanti, carte dei vini spesso telegrafiche, non aiutano sia il settore che quello “satellite” delle cantine. Basta vedere come si è sviluppata la ristorazione sul Collio sloveno per rendersi conto che si stanno perdendo treni importanti. Ci sono poi grandi nomi e grandi cucine, ma qualche rondine non fa primavera.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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