Bianchi Alto Adige 2020: annata né buona né cattiva, particolare. SECONDA PARTE5 min read

Prima di proseguire nel nostro quadro sui banchi altoatesini dobbiamo parlare del fenomeno dell’enoturismo in Alto Adige. Pur vivendo da decine d’anni nel mondo del vino bisogna ammettere che  questo territorio è forse il luogo in Italia dove l’enoturismo è più evoluto, sia che si parli delle grosse cantine, cooperative o meno, che del piccolo o piccolissimo produttore. Più volte nella settimana in cui siamo stati ogni pomeriggio in giro per cantine siamo rimasti a bocca aperta di fronte all’enorme numero di persone che visitano le cantine altoatesine, assaggiano, chiedono e comprano. Saranno i prezzi umani, saranno i vini piacevoli, sarà soprattutto che da anni esiste un tessuto comunicativo che porta i turisti (e non solo) ad andare per cantine, sarà quel che sarà ma molte denominazioni italiane dovrebbero andare a scuola di enoturismo in Alto Adige perché alla fine dei salmi si parla di grossi numeri con soldi che entrano subito.

Visto che i compratori arrivano da soli in cantina non si capisce la necessità d utilizzare sempre più bottiglie inutilmente pesanti. Proprio quando i produttori altoatesini stanno cominciando i maniera seria a discutere su sostenibilità, biologico, salvaguardia reale dell’ambiente, l’utilizzo di bottiglie pesanti inficia alla base il ragionamento. Nel prossimo Alto Adige Wine Summit, che si terrà tra pochissimi giorni, questo dovrebbe essere uno dei temi importanti da trattare.

Chardonnay

E veniamo ai vini, partendo dal vitigno che per anni è stato il biglietto da visita dei bianchi altoatesini, lo Chardonnay. Bisogna premettere che il discorso su questo vitigno si divide giocoforza in due parti: da un lato i vini d’annata dall’altra quelli importanti, con alcuni anni di invecchiamento in legno.

Nel primo caso, anche se non abbiamo avuto dei picchi qualitativi importanti gli Chardonnay del 2020 ci sono sembrati molto meno monotoni e semplicioni rispetto al passato. Saranno i profumi che puntano più su note floreali e meno sul classico duo “mela-banana” saranno le strutture non certo importanti ma equilibrate e con una discreta freschezza, ma mediamente siamo rimasti molto più contenti che in passato. Forse la 2020, se verrà interpretata rispettando la sua non certo corposa conformazione, potrà dare degli Chardonnay da invecchiamento di bella eleganza e con buone possibilità di durata.

E veniamo alla “durata” cioè agli chardonnay di qualche anno affinati in legno piccolo o grande: capiamo che la tipologia è quella, che forse  il mercato o la voglia dell’enologo di produrre il “vinone” richiede un uso spesso ridondante del legno, ma alla fine si assaggiano vini immobilizzati al naso e imbalsamati in bocca. Speriamo che dopo alcuni anni in bottiglia la situazione cambi.

Voto all’annata 2020: 7+

Pinot Grigio

Per quanto riguarda i Pinot Grigio dell’annata 2020 potremmo fare un copia-incolla del discorso sugli Chardonnay della medesima annata: molto più movimentata la gamma aromatica con note floreali accanto al classico fruttino, molto più svasati ed equilibrati al corpo, con in qualche caso una freschezza dimenticata negli anni passati. Anche qui non ci sono grandi punte ma è l’annata piacevole e particolare che si impone all’attenzione.

Voto all’annata 2020: 7.5

Pinot Bianco

Se lo chardonnay è “il passato” il pinot bianco per l’Alto Adige è sicuramente il futuro, un futuro che nel 2020 si corona di ampi e precisi profumi florali e fruttati, di un corpo equilibrato e, in diversi casi, piuttosto dinamico. Come detto per altri vitigni non siamo di fronte ad un’annata eccezionale ma particolare, forse molto adatta alle caratteristiche di eleganza e piacevolezza del vitigno. Per quanto riguarda la longevità il discorso purtroppo sembra non essere nelle mani di madre natura ma di “padre produttore”. Da lui dipende il modo di indirizzare il vino verso il futuro e se prendiamo per buono il segnale che ci arriva dai Pinot Bianco 2019 e 2018 degustati adesso l’uso sbagliato ed eccessivo del legno rischia di tarpare le ali a tanti possibili ottimi vini. Quindi aspettiamo sperando che  piano piano i produttori altoatesini concedano, nell’invecchiamento dei vini, più spazio e possibilità alla materia prima. Questo anche nell’ottica delle UGA richieste al ministero, che dovrebbe mettere in primo piano il rapporto tra vitigno e territorio.

Voto all’annata 2020: 8+

Gewürztraminer

L’annata profumata e elegante non poteva non ripercuotersi positivamente su questo vitigno. Assaggiando i cugini prodotti in trentino avevamo notato uno snellimento della tipologia e anche tra i GW altoatesini abbiamo ritrovato, con piacere, la stessa indicazione. Vini meno imperiosi e grassi, più bevibili e più armonici sono le caratteristiche generali, che toccano per la verità anche diverse etichette del 2019 degustate adesso, tanto da far passare in secondo piano alcuni vini simbolo della tipologia ma purtroppo sempre ancorati a grassezze che trovano sempre meno riscontro. Quindi il messaggio che arriva da questo vino è che piano piano sta perdendo il ruolo di “vino che deve stupire” per assumere quello di “vino che deve accompagnare e piacere” allargandogli così la gamma d’utilizzo.

Voto all’annata 2020: 8.5

Moscato giallo secco

Potremmo risolvere la cosa con una battuta: “Pochi ma buoni!”. In realtà le caratteristiche dell’annata si sono sposate benissimo con questo vitigno e hanno portato a vini netti, chiari, intensi al naso e anche con un nerbo garbato ma sicuro di sé. Non se ne producono molti ma la vendemmia 2020 dimostra che quella del moscato giallo secco potrebbe essere una strada da seguire…GW permettendo.

Voto all’annata 2020: 9

Müller Thurgau

Uva sempre meno amata dai produttori e lo si capisce nella semplicità generale della proposta. Anche chi ci crede molto sta seguendo altre strade, non certo facili, per proporla al meglio. La disaffezione la si nota anche in un’annata come questa, dove il vitigno poteva dare di più.

Voto all’annata 2020: 6-

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE