Mentre degustavamo i Montefalco Sagrantino dopo una trentina di Montefalco Rosso mi è venuta in mente una regola che messieur de La Palice avrebbe sicuramente approvato: “I Sagrantino andrebbero degustati a molta distanza di tempo l’uno dall’altro.”
Questa regola, utilizzata da tutti tranne da noi degustatori seriali, vale praticamente per tutti i vini ma per il Sagrantino avrebbe maggiore ragion d’essere perché degustandone uno dopo l’altro, con la velocità che impone una guida vini, si rischia di perdere il pregio maggiore del lavoro svolto dai produttori negli ultimi anni , quello di essere riusciti a rendere rotonda e armonica una tannicità che solo qualche anno era burbera, pungente e sgraziata.
Non sono riusciti nell’impresa rendendo meno tannici i vini ma arrotondando i tannini senza perdere potenza e concentrazione. In altre parole sono riusciti ad addomesticare la belva!
Questa caratteristica generale è quasi più importante della incredibile qualità media, attestata su livelli altissimi con oltre il 75% dei vini con almeno 3 stelle.
Naturalmente le due cose sono collegate, perché in passato oltre a tannicità quasi animalesche, i difetti enologici erano ogni tanto presenti. Quest’anno invece la trentina di vini degustati ha mostrato sempre e comunque una pulizia enologica di alto profilo.
Questa strada ha portato anche a migliorare uno degli storici problemi del Sagrantino, quello della terziarizzazione difficile, con scarsità di gamme aromatiche che vanno a sostituire le primarie e che non riescono a dare nel tempo maggiore complessità ai vini. Abbiamo assaggiato alcuni campioni del 2010, notando come un giusto uso del legno (quindi né tanto né poco, giusto) riesca nel tempo a rendere aromaticamente complesso un vino che, per propria struttura, deve essere bevuto e goduto dopo diversi anni.
A latere di tutto questo ci piace constatare come oramai il Sagrantino Montefalco sia un vino con caratterizzazioni precise, quindi chi apre una bottiglia sa cosa aspettarsi. Visto che quello che puoi aspettarti è nettamente meglio di 5-10 anni fa, la situazioneè abbastanza rosea.
Insomma una degustazione sicuramente positiva, mentre la stessa cosa non possiamo dirla per i Montefalco Rosso, un vino ancora alla ricerca di una identità, che sembra difficile da trovare nonostante gli sforzi anche a livello di disciplinare. Oltre all’identità manca in diversi casi anche una nettezza aromatica, con vini che faticano ad esprimersi.
Per carità, quelli buoni ci sono ma non riusciamo a vedere un quadro e un futuro preciso in questo vino, dove il sagrantino è vitigno importante ma secondario e dove invece il sangiovese gioca il ruolo principale. Sembra quasi che la mano precisa che lavora il sagrantino non abbia la stessa chiarezza e fermezza quando scende in campo il sangiovese.
Speriamo che, col tempo, le cose possano cambiare e si possa arrivare ad avere dei Montefalco Rosso che non spaziano dal vino facile a quello concentrato ed importante, con tannicità degne del fratello maggiore.