Alto Adige bianchi 2017: comunque un passo avanti… verso nord6 min read

Quest’anno i nostri assaggi altoatesini si sono svolti in due fasi. La prima, grazie all’Associazione Vignaioli dell’Alto Adige e ai Produttori della Valle Isarco (EisacktalWein)  ci ha visto loro ospiti  con a disposizione  la bellissima sala di degustazione della Cantina Valle isarco. La seconda invece si è svolta nei nostri uffici grazie ai vini raccolti e inviatici dalla Camera di Commercio di Bolzano.

Alla fine  ben 7 giorni di assaggi (e riassaggi) di oltre 350 vini tra banchi e rossi  hanno permesso di farci un quadro abbastanza preciso sull’annata 2017 (ma abbiamo degustato anche diversi vini di annate precedenti e ve li presentiamo assieme agli altri ) e sul momento del vino altoatesino.

La nostra speranza è che l’anno prossimo si possa degustare tutto  in Alto Adige, dedicando quindi una settimana intera alla conoscenza dei vini e soprattutto del territorio e dei produttori.

Come detto abbiamo degustato sia bianchi che rossi: i primi li presentiamo adesso seguiti a breve dalle Schiave, mentre Pinot Nero e Lagrein (dei quali dobbiamo fare ancora dei riassaggi) saranno pubblicati più avanti.

In particolare oggi presentiamo i risultati dei vini dalle uve bianche più piantate in regione, quindi Sauvignon, Gewürztraminer, Pinot Bianco, Pinot Grigio, Chardonnay. Domani invece sarà la volta dei vini da uve più “nordiche”, cioè  Kerner, Sylvaner, Gruner Veltliner, Riesling a cui aggiungiamo i Müller Thurgau e gli uvaggi

Se dovessimo prendere in considerazione  solo un punto di vista numerico dovremmo dire che oramai tra i vini bianchi di alta qualità in Alto Adige sono due i vitigni che la fanno da padrone: pinot bianco e sauvignon.

Questo, lo precisiamo ancora,  solo dal punto di vista del numero dei campioni degustati, perché come si passa a parlare di qualità e di 2017 trai due vini c’è un abisso: I Sauvignon (un po’ come i cugini trentini) si sono mostrati crudi e  poco complessi al naso, non certo con un corpo ed una freschezza importante in bocca.  Forse avranno bisogno di tempo per essere più equilibrati, ma la 2017 non è stata certo una grande annata per questo vitigno.

l Pinot Bianco invece ci hanno quasi fatto saltare sulla seggiola: lineare finezza olfattiva, eleganti, equilibrati, con un corpo più che accettabile e una freschezza presente ma assolutamente non marcata e possibilità evolutive molto interessanti. Amando il pinot bianco siamo felici di questo risultato e speriamo che i produttori altoatesini ci credano sempre più e continuino a produrlo sempre meglio, anche e soprattutto in versioni che non hanno paura del tempo che passa.

Comunque pinot bianco e sauvignon sono due vitigni del “sud” dell’Alto Adige, perché mano a mano che saliamo in Valle Isarco o in Val Venosta questi due vitigni lasciano spazio ad altre uve, in particolare a kerner, sylvaner, veltliner, riesling.

Parlando di queste zone e di queste uve occorre immaginare di essere in un altro mondo e non a mezz’ora d’auto da Bolzano e dal sud della provincia: qui si inizia a vendemmiare quando  a Caldaro si è già finito da tempo; qui siamo spostati avanti di almeno 20-25 giorni e tutto diventa forse più difficile ma spesso molto soddisfacente. Nel 2017 ci hanno soddisfatto soprattutto Kerner e Sylvaner, i primi per un oramai quasi proverbiale consistenza gustativa, i secondi per una freschezza disinibita ed un’ampiezza aromatica condivisa e caratteristica.

Leggermente sottotono Veltliner e Riesling, però bisogna stare attenti, perché qui vale più che altrove la regola che un bianco comincia a diventare buono quando ormai è finito. In altre parole sarebbe meglio degustare questi vini eleganti e garbatamente profumati, dotati sempre almeno di essenziale freschezza, più spesso di austera presenza, come minimo ad un anno dalla vendemmia.

Non mi sono scordato del müller thurgau, un’uva che si trova in molte parti dell’Alto Adige, comunque a quote sempre più alte. Per quanto riguarda il 2017 dobbiamo ripetere più o meno quanto detto per quelli trentini: li abbiamo trovati poco incisivi al naso e piuttosto scarichi al palato, senza quella potenza aromatica e quella vitale freschezza che spesso li contraddistingue.

Veniamo al gewürztraminer, vitigno quanto mai di moda, almeno nel nostro bello stivale. E’ talmente di moda che oramai lo stanno piantando in maniera consistente  in Friuli, in Trentino e anche (purtroppo?) in altre zone più a sud. Quelli altoatesini sono indubbiamente l’esempio a cui tutti si ispirano ma un esempio che rischia di rimanere imbalsamato dal suo successo. Mentre infatti nelle due regioni suddette molti puntano su un vino più elastico, meno sostenuto dal tenore zuccherino, in Alto Adige “squadra che vince non si cambia” e così quelli che un tempo erano “rotondi” nel 2017 (complice l’annata)  sono maggiormente ammorbiditi e piacioni. I nasi non discutono ma spesso non si riesce ad andare oltre il primo sorso.

Chardonnay e pinot grigio si dividono le briciole del nostro articolo perché, almeno per quanto riguarda le versioni fresche e immediate targate 2017, non ci hanno certo fatto impazzire. Sul fronte Chardonnay però si sta muovendo qualcosa, con qualche produttore giovane che non vuol “miracol mostrare” (come certe versioni palestrate che da anni vengono considerate di altissimo livello) ma semplicemente declinare la proverbiale eleganza del vitigno in vini complessi e piuttosto armonici. Almeno ci stanno provando!

In generale, tipologia per tipologia, non ci hanno convinto i vini  che a suo tempo chiamammo “SuperTirol”, prodotti di nicchia creati da varie cantine per cercare, creando una punta di altissimo profilo, di innalzare anche il prezzo medio degli altri vini. Per fare però vini del genere occorrono tempo e perizia, altrimenti si rischia di produrre solo un “vinone”  monolitico  dal prezzo spesso esorbitante e, per peggiorare ancora le cose, metterlo in commercio troppo presto.

La sensazione riportata dalla vendemmia 2017 dei bianchi  è che “l’esercito” del vino altoatesino sia comunque in marcia: le avanguardie oramai sono spesso posizionate verso nord  mentre, complice anche il famigerato riscaldamento globale, si assiste anche ad un miglioramento tecnico per cercare di rimediare a situazioni estreme, dove si passa da un caldo torrido a piogge brevi e torrenziali  nell’arco di poche ore.

A questo proposito credo sia importante provare a sfondare la classica porta aperta: dal punto di vista dell’immaginario collettivo l’Alto Adige è una regione pulita, verde, immacolata,  mentre se andiamo a contare i trattamenti sia in viticoltura che (soprattutto)  in frutticoltura si rimane stupiti.

Se la regione è in marcia verso una qualità sempre più alta deve cercare di ottenerla con impatti ambientali sempre più bassi: se il biologico è difficile e con esiti controversi e i vitigni piwi possono essere una risorsa ma non una panacea generale, occorrerà comunque trovare una via per puntare  seriamente al detto di Carlin Petrini e di Slow Food  “ Buono, pulito e giusto”.

 

 

Hanno partecipato alle degustazioni:

Gianpaolo Giacomelli

Jessica Poier

Pasquale Porcelli

Fabrizio Calastri

Carlo Macchi

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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