Abrigo Giovanni, Dolcetto da urlo e non solo3 min read

Il Dolcetto è un’ uva/vino che deve aver fatto qualcosa agli dei. Non si capisce infatti il perché la sua incredibile Bontà (e lo scrivo con la B maiuscola) non venga presa in considerazione se non come vino di ripiego, come terza scelta nella produzione di Langa.

Lo pensavo mentre Guido Abrigo, giovane rampollo che assieme alla famiglia guida (scusate il gioco di parole) La cantina Abrigo Giovanni a Diano d’Alba, mi stava mettendo nel bicchiere i suoi due Dolcetto di Diano: il Sorì dei Crava 2021 e il Superiore Garabei 2020.

Pochi secondi di godurioso assaggio per stabilire che i due rappresentano la quintessenza di questo vino: cioè profumi intensi, freschezza, equilibrio piacevolezza.

Guido Abrigo si “nasconde” dietro i suoi Barolo

In particolare il Sorì dei Crava è un’esplosione di profumi fruttati, speziati e floreali,  affiancati in bocca da equilibrio e freschezza, mentre il Garabei ha qualcosa in più nel corpo e nella pienezza, cangiando leggermente in complessità  la gamma aromatica. Due vini dove fermarsi ad un bicchiere è impossibile, anche in una degustazione dove occorre fare le persone serie.

Anche se la degustazione comprendeva la loro Barbera Superiore Rocche dei Frisu 2018 e ben  tre annate del loro Barolo Ravera (2018,2017,2016) voglio soffermarmi ancora sui Dolcetto perché non riesco veramente a capire come vini del genere (che costano anche poco!) non “facciano il fumo” come si dice noi in Toscana.

Tra le tante risposte incerte che mi sono dato una mi è venuta in mente grazie al vecchio detto toscano “Mogli e buoi dei paesi tuoi”: forse saranno vini che si abbinano bene solo a piatti piemontesi e quindi con il  classico crostino nero toscano, che stavo per mettere in bocca, seguito a ruota dai salumi tipici della mia terra, si dovrebbero abbinare male.

Ma chi l’ha detto???? Erano entrambi perfetti, tanto che ho dovuto versarmeli tre volte perché riuscivano a completare perfettamente le succose gamme aromatiche sia del crostino che dei salumi. Ma dirò di più: come secondo Burde (quando si parla di toscanità Da Burde è sempre in pista) aveva preparato due sontuose bistecche e anche su queste, nonostante la doverosa prova della barbera e dei tre Barolo, alla fine sono tornato sul Garabei 2020, che ha continuato a fare un figurone.

Ma allora, perché vini ottimi, fatti bene, con criterio (senza nemmeno pensare a dei passaggi in legno…), che si abbinano perfettamente a centinaia di piatti, che costano poco, che ti danno veramente il piacere del bere, non vengono contesi da appassionati e non? Se avete una risposta datemela.

Nel frattempo passo ai tre Ravera degustati, che avevano il notevole pregio di rappresentare in tutto e per tutto la loro annata: il 2016 era potente ma ancora un po’ compresso in bocca, il 2017 mostrava misurata  maturità al naso e una grana tannica più ruvida e pungente, il 2018 aveva la sagace rotondità e freschezza di un’annata che quelli bravi hanno giocato in sottrazione.

Insomma, tutti vini centrati, conferma che Abrigo Giovanni è una cantina non solo da tenere in considerazione  ma da alzare la cornetta del telefono (dio, come mi dimostro vecchio con frasi del genere: chi ancora ha il telefono con la cornetta??) telefonare e ordinare, ALMENO il Dolcetto.

Non meditate gente, non meditate, telefonate!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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