Abbiamo perso le parole3 min read

Ho perso le parole, eppure ce le avevo qua un attimo fa” – così cominciava un brano di Ligabue, il cantautore, di alcuni anni or sono ed è da lì che partiremo.

Utilizziamo le parole per fare in modo che i nostri ragionamenti possano essere maggiormente argomentati, le utilizziamo per formare i pensieri (non il contrario) ma l’aridità che il paradosso social porta con se, dove maggiori mezzi di comunicazione ci fanno comunicare meno, porta una sorta di potatura costante delle stesse parole.

Diversi sono i dibattiti che nascono in seno al mondo del vino, dibattiti che possono essere più o meno profondi e che passano, appunto, attraverso le parole che utilizziamo. Ma che cosa hanno dentro di loro, tali dibattiti?

Partiamo dal dibattito legato alla terminologia “vino naturale”. Già molto è stato scritto e molto è stato detto e chi ancora si ostina a “tradurre” la locuzione “vino naturale” con “naturalmente prodotto” allora può già smettere di leggere. Nella recente lettera di Sangiorgi e Vodopivec già tutto è stato detto e basta leggere ciò che da loro è stato detto per arrivare al punto. Vini naturali significa trovare una certa espressione prima in campagna e poi in cantina con delle regole precise ed un pensiero profondo portato a far trovare vini corretti, stabili, buoni e capaci di tradurre (appunto) il proprio terroir. Non è il caso di soffermarsi su qualsiasi cosa riguardi poi il “come”, tale terroir si traduca; rimaniamo alle parole.

Forse dunque il problema sta nella parola “naturale” che a molti suona appunto male. Proviamo allora ad usarne altre, per descrivere quei vini con difetti, evidenti, che mostrano più un tentativo di inseguire una moda invece di fare qualcosa di buono e corretto. Chiamiamoli “Vini selvaggi” o “Vini avventurosi” oppure “Vini tentati” per distinguerli.

Se ci pensiamo, poi, gli esempi al di fuori del mondo del vino ci sono già. Quante volte abbiamo sentito dire qualcuno, davanti ad opere d’arte contemporanea (che sia il taglio di una tela o il Dripping di Pollock) di poter affermare di essere “capace anch’io” privando l’opera della sua profondità filosofica. E pensiamo anche ai tentativi di imitazione di musiche cacofoniche che diventano rumore casuale, sperando di imitare tentativi riusciti perché supportati da una base filosofica di fondo da improvvisati.

Le mode, va da se, portano sempre con loro le imitazioni e ogni copia è una brutta copia (ce lo dice Platone).

La colpa è anche di chi le parole le dovrebbe utilizzare per mestiere e per comunicare correttamente le informazioni invece di soffiare sul fuoco della confusione. Le informazioni corrette ci sono e si trovano facilmente. Esistono strutture (e ne abbiamo menzione e prova) che si chiamano Consorzi, che hanno al loro interno professionisti che portano avanti progetti profondi e che raccolgono al proprio interno le informazioni corrette dei singoli territori. Nascono, i Consorzi, con scopo di tutela e di promozione, ma non è giunto forse il momento di trasformarli ulteriormente in “custodi” delle parole corrette da divulgare sul mondo del vino? In questo modo anche tutti i giornalisti potrebbero riferirsi direttamente a loro (cosa che avviene, certo, ma che dovrebbe essere ancora più precisa) andando nella direzione di voler raccontare davvero qualcosa e non trasformarsi in clickbait.

Riprendere in mano le parole corrette, le informazioni corrette, le maniere corrette di divulgarle ci potrà permettere di preservare la grande ricchezza della nostra terra mettendo ordine alla confusione e salvandone le micro particolarità.

Riprendiamoci le parole corrette e lasciamo che la retorica venga messa da parte dalle informazioni buone, giuste e naturali.

Matteo Bellotto
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