“A Montefalco” per un punto preciso non solo sul Sagrantino6 min read

Se dovessi definire con un aggettivo il tipo di turismo che c’è a Montefalco userei la parola “rispettoso” e aggiungerei anche che Montefalco rispetta i suoi turisti, tanto che, come mi hanno fatto notare e come posso constatare da anni, in paese non c’è praticamente un locale dove si mangi male.

Non c’è dubbio sia un vero record per questo borgo umbro, che sembra timidamente appoggiato su un colle che dialoga con altri colli, dove si trovano altri borghi altrettanto famosi se non di più (uno su tutti, Assisi). Però la timidezza si scioglie come neve al sole quando si parla del suo vitigno più famoso e quella che un tempo era chiamata Anteprima Sagrantino e ora invece “ A Montefalco” (12-13 giugno) è sempre lì a ricordarcelo.

Cambio del nome doveroso perché oramai non c’è solo la presentazione dell’ultima annata (2020) di Montefalco Sagrantino ma anche e soprattutto la proposta di tutta la produzione enoica locale, che va dal Montefalco Rosso, al Montefalco Bianco, Montefalco Grechetto e all’ormai irrinunciabile Trebbiano Spoletino. Stavo per scordarmi il vino sicuramente più antico di questa terra, il Sagrantino Passito, di cui però se ne producono dosi sempre più omeopatiche. Sempre meno omeopatico invece, anzi in forte crescita, è il numero delle cantine, e “A Montefalco” ha voluto dare giustamente molto spazio alle visite in azienda e non solo alle degustazioni.

Per quanto mi riguarda invece ho preferito incentrarmi sulle degustazioni: grazie al preciso elenco dei vini in degustazione, corredato anche di uvaggi per le DOC che lo prevedono e del numero di bottiglie prodotte di ogni vino, si può capire che se il vino più famoso è il Sagrantino, quello che fa i numeri è il Montefalco Rosso, mentre i bianchi stanno prendendo sempre più campo.

Calice di Montefalco Sagrantino

Montefalco Sagrantino

Ma lasciamo da parte le vendite e parliamo della nuova annata di Montefalco Sagrantino, la 2020. Ne ho assaggiati 25, cioè tutti quelli presenti e le sensazioni sono in parte quelle degli ultimi anni: i produttori stanno cercando di risolvere il dilemma di come snellire questo vino senza snaturarlo. La cosa non è certo semplice e la strada più semplice da seguire, quella di dosare meglio il legno, è stata compresa da molti ma non da tutti. Dosarlo meglio non vuol dire tanto passare dalla barrique alla botte (che se è nuova fa danni aromatici anche peggiori dei vasi piccoli) ma soprattutto consegnare un vino giovane meno “ringhiante” al suo affinamento in legno legno e evidenziare l’apporto fondamentale di una lunga permanenza in bottiglia prima di andare in commercio. Questa strada, come detto, è stata intrapresa da molti ma non da tutti. Chi poi propone più di un Sagrantino “alza e abbassa il piede dall’accelleratore” e così ci troviamo di fronte a vecchie strade tanniche (anche molto tanniche…) interpretate modernamente. Ci sono poi alcuni che godono naturalmente di tannicità quasi soavi (per un Sagrantino) e questi sono secondo me quelli da seguire con attenzione e da bere con gusto, sia adesso che fra X anni. L’annata 2020 si è mostrata comunque abbastanza pronta e con un frutto preciso, caldo ma non eccessivo: La presenza alcolica è ben equilibrata e quasi sempre molto meno invadente rispetto ad annate anche recenti come 2017 e 2018. Come mio solito non farò nomi, lasciando questa parte ai nostri assaggi autunnali.

Montefalco Bianco, Montefalco Grechetto e Trebbiano Spoletino

Saltiamo nell’altro campo, quello dei bianchi per constatare che il dover/voler spostare il tiro produttivo anche su questa tipologia e in tempi piuttosto brevi ha generato buona qualità ma un po’ di confusione. Infatti oltre ad esserci tre denominazioni sotto lo stesso cielo l’interpretazione data da ogni produttore del Trebbiano Spoletino rischia di creare una confusione stilistica che non farà certo bene al futuro commerciale di questo vino. Non capisco perché poi un vitigno semiaromatico debba, quando si punta anche ad un breve invecchiamento, essere imbrigliato dentro dosi più o meno pesanti di legno: inoltre anche tra quelli d’annata le componenti aromatiche variano sensibilmente, portando ad un sovrapporsi di stili che rendono difficile trovare una quadra varietale. A tutto questo aggiungiamoci che sul Trebbiano Spoletino, sia in purezza che in uvaggio  punta anche la denominazione Montefalco Bianco, per creare ancor più movimentazione stilistica. Intendiamoci, i vini sono in gran parte di buon livello ma non si riesce a capire quale possa essere il marker di riferimento del Trebbiano Spoletino. Personalmente ho apprezzato maggiormente alcune interpretazioni con uno/due anni sulle spalle che i nati nel 2023, adesso non molto incisivi al palato e con nasi ancora da affinare. Se veniamo invece ai Montefalco Grechetto la situazione è più lineare ma il vitigno, per adesso, si presta più a versioni piacevoli di pronta beva.

In conclusione sui bianchi potrei usare la definizione “ piacevole Torre di Babele” ma con la fondata convinzione che si arrivi ad una costruzione più duratura della versione mitologica.

Montefalco Rosso

Fuori dal mito e molto con i piedi per terra troviamo invece il Montefalco Rosso: vino quasi sempre di buon corpo, fruttato, piacevole e con interessanti prospettive d’invecchiamento. I vitigni principali che rientrano nell’uvaggio sono sangiovese e sagrantino, con l’innesto di percentuali anche importanti di merlot, montepulciano, barbera etc. Ne ho assaggiati diversi e ad un certo punto ho dovuto controllare le percentuali degli uvaggi, scoprendo che, al mio palato, dosi superiori al 10-15% di merlot o di montepulciano davano ai vini sensazioni troppo mature o troppo rustiche. Sicuramente il cambiamento climatico in atto sta rendendo meno adatti questi due vitigni  ad utilizzi importanti nell’uvaggio: se usate in dosi omeopatiche vanno bene, altrimenti (sempre per me) tolgono freschezza e profondità al risultato finale.

Un risultato finale che, sommando tutte le denominazione degustate, è più che positivo e crea un caleidoscopio enoico in un territorio che fino a pochi anni fa era visto solo come figlio di un unico vitigno. In chiusura bisogna ringraziare gli organizzatori, cioè i miei cari amici di Miriade&Parters e naturalmente il Consorzio Vini Montefalco per la perfetta organizzazione della manifestazione e delle degustazioni. Poter degustare con grande tranquillità e con sommelier bravi e sempre disponibili ti aiuta tanto nel comprendere al meglio i vini di un territorio.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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