A modest proposal : “E se tutti i vini italiani si chiamassero Prosecco?”3 min read

Oramai è chiaro! Per decine di migliaia di locali approssimativi, bar abborracciati e attenti al fatturato, ristoranti per turisti italiani e pure esteri, ristoranti e basta, trattorie di ogni ordine e grado alcolico, supermercati, rivendite di vino, buttiamoci anche qualche enoteca da sbaraglio, nonché per il 94,32% degli italiani e per il 90.02% dei bevitori esteri (fonte Winesurf) ogni vino italico che ha bollicine in quantitativi non omeopatici (tipo residuo di carbonica) viene definito “PROSECCO”.

Questa distorta certezza, nonché certificazione “ad minchiam” è oramai una granitica e sconclusionata sicurezza.

  • Sei a Firenze? Ti propongono un prosecco locale!
  • Sei a Conegliano o a Valdobbiadene? Se chiedi un Superiore sgranano gli occhi!
  • Sei in Franciacorta? Ti propongono un Prosecco franciacortino!
  • Sei straniero e vuoi una bollicina italiana? Basta dire la parola magica “Prosecco” e sei a posto.
  • Sei negli Stati Uniti? Chiedi un Prosecco e ti porteranno di tutto.
  • Sei su Marte? Il Prosecco verde spopola!
  • Sei in qualsiasi punto della galassia? Tranquillo che un prosecchino lo trovi sempre.

Tutto questo spesso a prescindere dalla tipologia di vino richiesta o percepita, perché tanto “tutti i gatti di notte son neri” e tutte le bollicine italiane (giorno o notte) son Prosecco.

Detto e non metabolizzato questo, occorre notare che oramai il mondo del vino si divide in due parti: quelli che odiano ogni accenno al Prosecco e addirittura a parti della parola (tipo tifare a Busto Arsizio per la Patria, senza Pro) e che gufano per una colossale débacle commerciale che, come un dilu-vino universale, azzeri la produzione, dall’altra quelli che sperano che il marchio Prosecco serva da traino commerciale al vino italico e al loro in particolare, anche se producono Nero d’Avola.

Per venire incontro a questa seconda categoria (la prima, composta da radical enochic, non conta se non davanti ad un tavolo dove si degusta Champagne) propongo di mettere davanti ad ogni nome di DOC o DOCG italiana la parola “Prosecco”. Così, per esempio, quando uno a La Morra vorrà un Barolo, basta che dica Prosecco e sarà servito.

Se in un mercato con tanti marchi/denominazioni che amano-odiano il Prosecco, tale termine diventa divisivo (politichese docet) e foriero di prese di posizione “a prescindere”, attribuendo ad ogni vino italiano lo stesso, ben conosciuto nome, si risolverebbe alla base la confusione.

Oramai l’Italia, “popolo di poeti, santi e prosecchisti” deve decidere il proprio futuro: o divisi tra migliaia di denominazioni o uniti sotto l’unico simbolo che ci accomuna e ci permetterà di vendere Prosecco di Barolo, Prosecco Brunello, Prosecco di Manduria, Greco di Prosecco etc. finalmente in quantitativi industriali.

Un solo problema all’orizzonte: la DOCG Prosecco Superiore di Conegliano e Valdobbiadene dovrà cambiare nome: troppo lungo, “fastidiosamente logorroico” e inutile aggiungere tutti quei nomi al Prosecco. Dovrebbe decidere:  o chiamarsi Prosecco “Di lì”, semplice e intuitivo, oppure cambiare (unica in Italia, notate…) totalmente il suo nome e scegliersene uno agli antipodi, tipo “Prosciutto”. In questo nome si ritrova il tanto l’amato suffisso “Pro” e il resto della parola richiama la sapida vena asciutta e beverina del vino.

Cosa? Dite che potrebbe creare problemi con i prosciutti veri, tipo il Prosciutto di San Daniele?

Basta cambiare nome al Prosciutto, chiamandolo, per esempio, Barolo, e il gioco è fatto.

Naturalmente queste mie riflessioni sono scherzose boutades, mere provocazioni, dovute all’uso spesso improprio e ignorante (nel senso di ignorare cosa sia una denominazione) del termine Prosecco. Se mi perdonerete lo sfogo vi offrirò un prosecchino.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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