A Cori tra Bellone, Nero Buono e… futuro5 min read

Se guardi verso nord vedi i colli dei Castelli Romani, se ti giri verso ovest neanche tanto in lontananza hai la striscia azzurra del tirreno che si allontana verso sud. Ti giri verso est e sei sovrastato dalla collina dove Cori è abbarbicata da sempre, quasi dimentica di essere in un luogo meraviglioso, a poca distanza da luoghi meravigliosi.

Forse questo era anche il destino enoico della zona, essere dimenticati, rimanere un tutt’uno viticolo adatto ad essere venduto sfuso a cantine di altri territori più blasonati oppure direttamente come “Vino dei Castelli”, sempre sfuso, sul mercato romano.

Cori in lontananza e vigneti di bellone

Ma, come recita anche il titolo di un bel film, le cose cambiano, e così questo territorio dimentico di se stesso si è reso conto di avere diverse frecce al proprio arco, in primis il bellone  (che diventa cacchione a pochi chilometri verso il mare) e il nero buono di Cori.

Un’uva bianca e una rossa prettamente locali che si dividono in parti non uguali il compito di dare sviluppo qualitativo ad un territorio dove il vino c’è sempre stato e dove oggi si trovano (oltre ad altre uve come malvasia, greco etc)  circa 400 ettari di bellone e non più di 80 di nero buono di Cori.

Il bellone/cacchione ( qualcuno dice che si tratti di due biotipi diversi) a Cori viene chiamato anche arciprete, forse perché veniva usato come vino da messa. Di certo è che siamo di fronte a un vino dove le componenti aromatiche, non certo marcate, ricordano note floreali e di frutto bianco maturo e che esprime il meglio di sé in bocca, con una acidità educata e una sua sapida linearità che non sfocia praticamente mai in note amare. Un vino che sicuramente potrebbe avere buone possibilità di invecchiamento per 3-5 anni e che ha tutte le carte in regola per crearsi una nicchia di mercato tra chi vuole bere bene a prezzi molto interessanti. La degustazione organizzata presso la Cantina Sociale Cincinnato, che ringraziamo per la disponibilità, ci ha presentato un panorama di oltre 20 vini di una quindicina di produttori, suddivisi tra due annate, 2020 e 2019.

I risultati sono stati interessanti ma un problema, che non dipende dal vitigno, va subito evidenziato: diverse aziende si fidano di questo vitigno “a metà” e quindi utilizzano (legalmente) altre uve aromatiche o semiaromatiche in uvaggio, che però snaturano le fini caratteristiche aromatiche del vitigno. Questo è un bel problema perché tra i non esperti e quelli che credono alle “chimere armatiche” è molto difficile dire quali siano le caratteristiche del vitigno e riconoscerle con precisione. Alla fine si premia chi nel vitigno crede meno e questo potrebbe portare seri problemi a chi ci crede veramente.

Se i nasi hanno gamme diverse in bocca però il Bellone dice la sua, grazie appunto ad una freschezza pulita e netta, il che rende diversi vini molto piacevoli e gastronomici. Questo è il punto di forza del vitigno, una verticalità calibrata che non deve essere modificata da grammi di zucchero residuo perché il vitigno ha in sé anche un corpo adeguato. Queste caratteristiche, oltre a essere molto gastronomiche sono anche molto adatte per il mercato attuale, che vuole vini facili ma non semplici, dotati di un buon carattere ma sempre e comunque accomodante e, last but not least, di un prezzo interessante. Il prezzo è uno dei punti forti del Bellone, visto che mediamente esce di cantina tra i 4  e i 6 euro a bottiglia.

Se il Bellone è un vino/vitigno che sta trovando la sua collocazione logica all’interno del mercato dei vini di qualità il Nero Buono di Cori probabilmente stenterà e non poco. A parte i pochissimi ettari coltivati, il problema di questo vino/vitigno è che non ha caratteristiche particolari per emergere con chiarezza aromatica ed in più ha una tannicità estremamente importante che ne rende difficile l’evoluzione e il posizionamento in un mercato come quello odierno, dove  la rotondità e la piacevolezza contano, specie tra vini che devono farsi conoscere.

In gioventù  presenta note di frutta rossa al naso e un caratterino irruento al palato, dove il tannino comanda le danze. Ancora non si hanno dati (alias bottiglie di diverse aziende in diverse annate) per capire la sua evoluzione nel tempo e quel poco che abbiamo degustato non può essere considerato probante . Una caratteristica del vitigno, cioè la notevole presenza di tannini nelle bucce, deve portare a maggiori studi relativi alla vinificazioni, rendendo  possibile “estrarre bene senza estrarre tutto” in modo da arrivare a vini con componenti tanniche importanti ma non squilibrate. Alcuni dei vini degustati stanno a dimostrare che è possibile.

Eccovi una selezione dei nostri assaggi: complessivamente abbiamo degustato 30 vini, 20 bianchi e 10 rossi.

Bianchi

Lazio IGT Bellone 2020 Capolemole,  Marco Carpineti.

Naso giustamente accennato, bella rotondità e piacevolmente lungo in bocca, con sapidità  importante e marcata.

Lazio IGT bellone  2020 Anthium, Casale del Giglio.  

Naso non intenso ma classico, bocca con  acidità viva, corposo e persistente .

Lazio IGT Bellone 2020 Castore,  Cincinnato.

Giallo paglierino,  frutto bianco maturo al naso agrumi. Bocca con acidità viva e croccante sapidità, buona persistenza al palato.

Cori DOC Collesanti 2020 Marco Carpineti.

Frutto bianco classico, note mentolate, sapido, acidità giusta, sapido con lunga  chiusura rotonda .

Lazio IGT Bellone 2019 Enjo,  Cincinnato.

Note di pietra focaia e frutta bianca matura al naso bocca di buona lunghezza, sapido,  fresco ed equilibrato.

Rossi

Lazio IGT Nero Buono 2020 Enea, Filippi

Porpora vivo, naso speziato con frutto rosso (ciliegia). In bocca mostra un corpo di buon livello, equiibrato, con tannini fini e abbastanza dolci

Lazio IGP 2019 Baccarossa, Poggio le volpi.

Porpora, note balsamiche e speziate, bocca  tannica con tannini importanti ma anche con freschezza. Buona lunghezza.

Lazio IGT Nero Buono 2019 Pietra Pinta.

Rubino, intenso, naso con note di tabacco dolce, frutta matura candita e spezie. Bocca calda con tannini fitti ma morbidi. Chiusura equilibrata.

 

Un grazie a Rosanna Ferraro e Andrea Donà che mi hanno affiancato nei due giorni di degustazioni.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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