Vino senza alcol: e se fosse il minore dei mali?4 min read

Parlare di vini senza alcol rischia già adesso di essere, come si dice oggi, divisivo. Da una parte infatti della critica e dei produttori di vino il tema “Zero alcol” non viene preso in considerazione, sperando quasi che così “passi ‘a nuttata”, dall’altra invece c’è un fiorire di prese di posizioni a prescindere, quasi di barricate, contro un prodotto che snatura l’idea stessa di vino, specie se “spacciato” per essere vino, quello dove l’alcol deve avere un suo ruolo preciso.

Cercherò di trattare questo non facile tema, con tutto quello che comporta non solo a livello economico ma anche storico e culturale da due punti di vista.

Il primo lo potrei chiamare “punto di vista europeo”. Da anni i paesi del nord Europa (e non solo) stanno cercando di far capire, anche usando metodi quasi ricattatori e in qualche caso addirittura apocalittici, che il problema dell’alcolismo è sempre più grave dalle loro parti e da tempo mi sto domandando quando diventerà un motivo politico importantissimo e magari pure divisivo nell’agenda e nella vita della Unione Europea. A quel punto i paesi produttori di vino potranno sbandierare a destra e a manca il giusto e consapevole consumo, la dieta mediterranea, i millenni di storia e quant’altro ma si dovrà comunque arrivare a dei compromessi che probabilmente faranno impallidire la tanto discussa etichettatura minacciosa adottata da poco. Forse un modo per puntare, in futuro, ad un accordo con chi non vuole ascoltare le nostre ragioni non potrebbe essere quello di dare spazio ai vini ad alcol zero, che a questo punto servirebbero da Cavallo di Troia per poter continuare ad esportare (e a produrre) gli altri. Non possiamo pensare che tutto possa andare avanti come adesso, senza nessun aggiustamento sociale, solo perché produciamo vino e vogliamo continuare a farlo.

Il secondo motivo  potrebbe essere definito “analitico”. Quante decine di prodotti e di processi sono ammessi dalla Unione Europea per produrre vino con alcol? Un vino può essere deacidificato o, all’opposto gli si può aggiungere acido tartarico, può essere “migliorato” con MCR per fargli alzare la gradazione alcolica e si possono usare prodotti e processi che, se li elencassi tutti,  vi annoiereste a leggerli: tutto questo si può fare e viene fatto giornalmente ma togliere l’alcol dal vino assolutamente no?

Capisco che molti la possono vedere come la procedura per rendere eunuco un uomo, togliergli cioè la cosa che lo caratterizza, ma in un mondo dove i consumi stanno cambiando e dove praticamente il bere bene ma bere meno porterà inevitabilmente alla diminuzione dei consumi, forse tanti produttori potrebbero mantenere gli attuali alti livelli qualitativi producendo e vendendo vino senza alcol.

Anche perché, pur essendo basilare l’alcol non dobbiamo pensare che senza quello finisca il mondo del vino ma semplicemente si potrebbe aprire un altro mondo, un altro mercato che magari permetterebbe anche di vivere bene e senza problemi a quello del vino attuale.

Certo che sarebbe una grande rivoluzione ma noi sappiamo che dopo ogni rivoluzione c’è sempre una restaurazione e alla fin fine, magari tra 50 anni, il mondo del vino tradizionale perderà qualche quota di mercato ma sopravviverà  alla grande. Un po’ come è successo per sigari, pipe e addirittura tabacco da fiutare, soppiantati dalle sigarette ma sempre di tabacco si parla.

Quindi da innamorato cronico del vino (come è stato fatto fino ad ora) non mi sento di strapparmi le vesti per un prodotto che potrebbe servire al mondo del vino per trovare anche nuovi sbocchi di mercato. Chiudo con una nota ironica: pensate che, per assurdo, magari tra 50 o 100 anni e con buona pace dei biodinamici e compagnia, il vino con l’alcol, per differenziarlo da quello senza, potrebbe essere chiamato ufficialmente “vino naturale”.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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