Vinipedia R-Z19 min read

Vinipedia dalla R alla Z comprese

 

 

Retroetichetta
 
Bugiardino senza controindicazioni ove c’è sempre scritto, rispettivamente:
nei vini rossi: aroma intenso e complesso, sapore asciutto, rotondo, robusto, con tannini accennati;
nei vini bianchi e rosati: profumo delicato e fine, sapore fresco e giustamente sapido;
in ogni caso: equilibrato, armonico e persistente.
Autore: Paolo Bargelloni

 

 

Riduzione Estrema

Nuova tecnica enologica che viene applicata ai vini bianchi.  Consiste nel ridurre le uve previste dal disciplinare fino a farle sparire, sostituendole con Sauvignon.

Autore Pierlorenzo Tasselli

 
 
Riforma O.C.M.
 
 Il giorno tanto atteso dai viticoltori e dagli enologi è arrivato. Erano lì, tutti fuori ad aspettare chissà quale rivoluzione. Uno sparuto gruppo di puristi mostrava cartelli con la scritta “NO O.G.M.”, subito abbassati quando si è capito il qui pro quo. L’attesa è stata disattesa. Per i produttori classici una delusione, un espianto collettivo. Doveva essere il “giro di vite” rivolto verso la qualità, invece la vite è stata presa in giro. In giro per l’Europa, anche dove il sole non batte mai. Già, perché al mosto d’uva si può aggiungere liberamente zucchero da qualsiasi altra pianta, per aumentare la gradazione alcolica del vino. Ciò per favorire i paesi del Nord Europa. Di questo passo, in futuro, per favorire altre aree della Comunità si potranno aggiungere acidi prelevati dalla polpa di arancia, tannini dalle bucce del caffè, antociani dalle ciliegie, minerali dai residui degli ortaggi, terpeni dai petali di rose e gerani… Oltre alle sostanze sintetiche già in uso. L’importante è che quel prodotto non dovrà chiamarsi vino, solo perché è presente una certa quantità di mosto d’uva. Qualcuno ha mai chiamato l’aranciata succo d’arancia, pur essendocene una percentuale nella bibita?
 Autore: Paolo Bargelloni.
 
 
Rimontaggio a mano.

Il rimontaggio a mano è una pratica ampiamente diffusa sottobanco, nonostante venga osteggiata dalla dottrina . Il divieto viene motivato sia con argomenti razionali, sia con suggestioni paranoidi del tutto infondate, come la diceria che faccia diventare ciechi. Un punto di vista più obiettivo, non condizionato da pregiudizi ideologici, riconosce a questa pratica qualche utilità, quando si tratta di ridare equilibrio a una materia prima stressata .Comunque è sempre meglio, se possibile, farsi qualche buona follatura.
Autore: Pierlorenzo Tasselli
 
Riserva 

Appellativo riferito a vini DOC o DOCG con caratteristiche particolari e di maggior pregio rispetto alla denominazione base. Di solito esistono in quantità limitate, e per questo motivo sono protetti e mantenuti in una riserva; pertanto non è possibile avvicinarli e tantomeno aprire qualunque bottiglia abbia questa tutela.
Autore: Paolo Boldrini
 
 
 
Rosato  
 
Tipologia di vino che da essere snobbato sta pian piano tornando di moda, tanto da dedicarci una mostra di pittura, come questa sotto riportata.
Tema dell’evento: Note Rosa. In apertura, le tele dei tramonti sul lago di Groppello, artista noto con lo pseudonimo Chiaretto del Garda, già più importante del fratello Maggiore, in competizione con i quadri, esposti nell’altra sponda, di Bardolino, il quale spesso si sente Superiore.  Poco più in là, fuori tema, le opere di Garganega dallo stile Classico e dal tratto Soave.
Procedendo troviamo il Sud-Tirolese Kalterer, con il suo dipinto "la Schiava Gentile", ispirato dalla sua musa preferita, una nobildonna che lo asseconda nei desideri erotici di sado-masochismo, ove a volte vi partecipa con la sorella Grossa. Via via si potevano ammirare quadri di vari stili, come quello "Noir" di Pinot, il trasformismo di Brachetto, il surrealismo di Cirò. Molto apprezzati anche i dipinti naturalistici raffiguranti particolari di animali, come "Occhio di Pernice" e "Coda di Volpe". La serata è stata allietata dalla musica dei Negramaro; un componente dei quali ha esibito il celeberrimo dipinto floreale "Five Roses". In chiusura, la premiazione: al siciliano Frappato, col suo Cerasuolo, la Vittoria.

Autore: Paolo Bargelloni
 
 
Rotazione del calice.
 
 Gesto tipico del degustatore professionista, serviva a questi per valutare, nell’esame visivo, la consistenza del vino e, nell’esame olfattivo, l’intensità e la complessità degli aromi.Ripreso dagli autentici appassionati della bevanda di bacco, il gesto è poi diventato la linea di demarcazione che, alle varie manifestazioni enogastronomiche, distingueva l’esperto, che ne faceva uso maniacale e ossessivo, ed il neofita che invece ingurgitava direttamente ciò che gli veniva riempito nel calice.Divenuto ormai una moda bere e sapere di vino, non è difficile imbattersi in giovani esibizionisti, dai quali meglio starsene alla larga per salvaguardarsi i propri vestiti, che ripetono il gesto per ogni tipo di bevanda gli venga servita, compresa l’acqua minerale. Spinti dallo spirito di emulazione nei confronti dei “giornalisti enogastronomici televisivi”, che roteano il calice in bella evidenza al ritmo di tre parole pronunciate per tutta la durata del loro servizio.
 
Autore: Paolo Bargelloni
 
 

Sagrantone di Montegheppio
 
Dalla notte dei tempi fino a pochi anni fa, il vitigno Sagrantone Grosso non era destinato al consumo umano e veniva utilizzato per la concia del cuoio di cavallo. Solo di recente le sue eccezionali caratteristiche sono state riconosciute e valorizzate , facendone la punta di diamante dell’ enologia umbra . Questo grande vino da grande invecchiamento acquista le sue grandi caratteristiche innanzitutto in vigna. Viene impiantato su lastre di roccia viva e allevato con la tecnica dell’ alberello bonsai, mantenendo le rese a un ettogrammo per ceppo. Dopo la raccolta tardiva, le uve vengono sottoposte alla vinificazione in nero : una spremitura dolce consente di separare il mosto e di allontanarlo immediatamente. Le bucce  e i raspi fermentano in tini di rovere per 60 giorni . La particolare flora batterica endemica di Montegheppio innesca la fermentazione latto-malica , che conferisce nerbo al prodotto . Il vino evolve per 48 mesi in barriques  da 10 litri , di noce massello . L’ ambito riconoscimento dei sei bicchieri della Guidona dei Vinoni Italioni  ha premiato largamente la memorabile annata 2003 , che è stata messa in commercio nel 2002 . Spicca, in particolare, l’eccezionale potenza dei vini provenienti dal cru “Fuorimano”, cosiddetto perché le vigne sono situare a Lampedusa, dove godono di una perfetta insolazione per 12 mesi all’ anno.
Autore: Pierlorenzo Tasselli.
 
 
Sauternes

Termine dialettale sardo. Dal punto di vista morfologico “Sa u Ternes” significa “Sai che terno!”e viene usato con tono derisorio per inficiare, fortemente sminuire e denigrare un’azione di terzi  o un qualcosa che viene offerto. Nella lingua comune le tre parole si sono oramai unite formandone una sola. “Sauternes!” dirà l’occhiuto e navigato pastore sardo dopo aver assaggiato un vino presentatogli come fenomenale, ma che in realtà aveva uno strano odore di muffa.
 
 

 
Spremitura e Pigiatura

La  spremitura delle uve, previa diraspatura , viene eseguita nelle aziende moderne mediante potenti mezzi meccanici.
Questo procedimento si confà alle grandi produzioni , di stile internazionale .
Per le piccole produzioni da vitigni autoctoni, è preferibile la tradizionale pigiatura con i piedi, da eseguire con le cautele che scienza e coscienza consigliano.
Poiché nella fase culminante gli operatori della pigiatura sprofondano nel mosto fino al bellico , è consigliabile utilizzare esclusivamente personale femminile.
Infatti, quando la pigiatura viene eseguita dai garzoni, il mosto sviluppa un aroma primario di formaggio leggermente fermentato, che viene apprezzato solo da un pubblico di nicchia .Invece, quando si impiegano le fanciulle, il vino acquista una nota di acciughina, che conferisce grazia a certi sangiovesi .

Autore: Pierlorenzo Tasselli
 

 
Taglio
 
Operazione enologica resa possibile grazie all’apporto di donatori, spesso meridionali, sempre pronti, mossi da uno spirito di corpo, ad aiutare i “mosti sacri” del Nord.
 
 Autore: Paolo Bargelloni
 
 
Tappo, sapore di.

Difetto presente nei vini di… bassa statura.
Autore: Paolo Bargelloni

 
 
Tavernello.

Luogo sotteraneo solitamente scavato nella roccia molto buio,umido e freddo dove  andrebbero rinchiusi per lunghissimi periodi tutti i sostenitori dell’ardita teoria secondo la quale il vino nel cartone si conserva come nella bottiglia di vetro… ANZI MEGLIO!!!
Autore: Paolo Zordan
 
 

Terroir

La Rivoluzione era in gravi difficoltà.
Le armate della coalizione internazionale avevano varcato i confini senza incontrare resistenza.
Occorreva una condotta della guerra molto più energica .
A questo scopo venne costituito il Comitato di Salute Pubblica, furono emanate leggi eccezionali ed ebbe inizio il periodo passato alla storia come “Terroir”.
Strumento fondamentale del Terroir fu la Legge dei Sospetti, in base alla quale il semplice sospetto di un contatto con i vitigni internazionali comportava l’ eliminazione dalle degustazioni, la confisca delle bottiglie e la damnatio memoriae.
Nelle piazze vennero eretti i Pergolati della Libertà e si insediarono le Commissioni di Assaggio Popolari .
Le teste mozze degli enologi vanagloriosi, infisse in cima alle picche, ondeggiavano sopra la folla inferocita, che assaltava le cantine e dava alle fiamme le barriques.
Gli altezzosi autori di guide e riviste enogastronomiche, venivano trascinati al patibolo sulla carretta.
Le tricoteuses sferruzzavano ai piedi della ghigliottina e lanciavano grida di giubilo quando la lama si abbatteva e si udiva il tonfo della testa nel canestro .
La Religione dei padri venne abolita e sostituita dal culto del Terroir .
Queste misure draconiane ebbero un effetto galvanizzante sull’ esercito rivoluzionario, indisciplinato e male armato, ma entusiasta e temerario che travolse le armate della coalizione internazionale e le respinse fuori dei confini.
Ma l’ intransigenza spietata del Terroir  destò anche malumori e dissensi . Gli interessi colpiti, l’ establishment spodestato e gli elementi compromessi con il passato regime si coalizzarono.
Un colpo di stato portò all’ arresto del Comitato di Salute Pubblica e all’ immediata esecuzione dei suoi membri.
Robespierre, l’ Incorruttibile, cadde per mano dei suoi infidi collaboratori , che proprio incorruttibili non erano.
In breve tempo la coalizione internazionale ebbe il sopravvento.
Così finì l’ epopea sanguinosa del Terroir .
 
Autore: Pierlorenzo Tasselli
 
 
 
Torchio alla genovese
Atroce strumento di tortura inventato per estorcere confessioni ai nemici della Serenissima Repubblica di Genova. Introdotto nelle carceri liguri a metà del XVII secolo, venne in seguito utilizzato per spremere al massimo le fecce solide residuate dalla spremitura delle olive e delle uve, in sostituzione del “torchio alla calabrese” ritenuto troppo tenero. L’episodio sta a dimostrare, ancora una volta,  che in fatto di spremitura, i genovesi erano e rimangono secondi a nessuno.
Autore: Carlo Ravanello
 
 

Truffa nobile.
 
I Sauternes serviti al bicchiere in molti bistrot di Parigi.
Autore: Maurizio Gily
 

 

 
Vignobles

Equivoca dicitura francese, che campeggia a grandi caratteri su molti vigneti di quella terra felice.
Si suppone che voglia dire “vigne nobili”.
I nostri cugini d’ oltralpe, prodighi di ironia verso chi non è francese, ne sono del tutto sprovvisti nei confronti di se stessi. Per cui, probabilmente, non si sono resi conto della invitante lettura alternativa : “vini ignobili”.
Lo spostamento semantico diviene pressochè irresistibile quando la scritta  si erge su vigne di fondovalle, mai raggiunte dal sole, o, viceversa, su pianure irrigue, dove, a perdita d’occhio, si stendono filari lussureggianti.
Di lì provengono gli sgraziati gigonda, gli screditati chateauneuf  du pape, gli scadenti beaujolais , gli ottusi cabernet village … che , per un moto di umana pietà, ci vengono serviti “diacci marmati” ( come si dice a Firenze ), in modo da neutralizzare la loro pochezza enoica e farne una bevanda .
Autore: Pierlorenzo Tasselli

 

 
Vino Novello
 
Frutto della macerazione carbonica, del velleitario desiderio di fare le scarpe ai soliti Cugini d’Oltralpe e delle ordinazioni in prevendita, il Vino Novello italiano ha rappresentato per un paio di decenni la indimenticabile “goccia nel mare del vino italiano” tanto cantata da Pino il Vecchio.
Del Novello italiano piace ricordare nell’ordine: le mirabolanti statistiche sui particolari geografici della sua produzione, la mai abbastanza compianta conferenza stampa di presentazione dell’annata, le puzzette dei primi anni ’90, gli immancabili marroni del deblocage ufficiale a mezzanotte e un minuto, i borborigmi stereofonici e le piogge acide causate dalla cattiva digestione delle sue instabili sostanze.
Allontanato dal canale horeca perché adottato dalla grande distribuzione, sfrattato dalla sua vetrina di Vicenza per far posto alla nuova base militare americana, il Vino Novello si sta perdendo in questi ultimi anni “come lacrime nella pioggia” senza lasciare un segno forte del suo passaggio.
Autore: dr. San Giovese
 
 

 

Vin santo
 
 
Caratteristico vino toscano ottenuto da uve appassite, che per tradizione si vinificavano intorno alla Settimana Santa. Oggi non si aspetta neanche il Natale, a fronte di una sempre più corale e insistita richiesta: Vin Santo Subito!
Autore: Paolo Bargelloni.

 

 
 
Viticoltura: il futuro.
 
1. Aprile 2107. Mentre in Toscana sono stati consolidati i disciplinari della DOCG Nerello di Montalcino, che prevede il Calabrese Grosso in purezza, e della DOCG Chianti Neoclassico, dove concorrono in percentuale variabile NegroAmaro e Aglianico, nella nostra Puglia si sta assistendo all’espianto degli ultimi vigneti, eccetto a Manduria, dove si spera di ottenere la DOCG Honoris causa del suo Primitivo. Ora si sta dibattendo alla Commissione dell’Unione Euroasiatica per l’assegnazione delle DOP “Canna da zucchero gialla del Tavoliere”, Ananas puntinata dolce di Gallipoli e Olio Extravergine di Palma della Murgia Barese. I promotori dell’iniziativa, esperti del settore, sostengono che siano tutti prodotti autoctoni e che il tacco d’Italia sia il territorio più vocato per queste colture…>>.
 
2. Nel mese di aprile al “Weindanmark”, la più importante manifestazione enogastronomica d’Europa, si confronteranno i vini del vecchio mondo con quelli del nuovo mondo vitivinicolo (Scandinavia, Canada, Alaska, Siberia), e si discuterà della pratica di introdurre i “coriandoli” di carta riciclata nel vino, i quali darebbero risultati quasi migliori dell’affinamento in tetrapack… Anche se c’è ancora qualcuno che, sottobanco, produce vini invecchiati in legno, materiale che è stato bandito dalla convenzione di Kyoto per salvaguardare gli ultimi alberi del pianeta.
Autore: Paolo Bargelloni
 

 

 
Vitigni Aborigeni
 
Risalendo alle origini più arcaiche della viticoltura,a monte dei vitigni autoctoni, si trovano i vitigni aborigeni, appartenenti alla più vasta stirpe dei vitigni selvaggi.
Sopravvivono in remote enclaves, dove, fin da tempi remotissimi, l’ ignoranza e la superstizione ne hanno tramandato il culto.
L’ arrivo della filossera venne accolto con sollievo dai viticultori coatti : una speranza di liberazione dal  giogo oscurantista .
Invano : i vitigni aborigeni sopravvissero e, anzi, parvero diventare più arcigni e tenaci .
I vitigni aborigeni presentano caratteristiche estreme e bizzarre, alle quali si sovrappongono pratiche discutibili, in vigna e in cantina . Come, ad esempio : l’ innesto su piede di gramigna, la correzione dei mosti con olio di fegato di merluzzo, la transumanza delle botti mediante rotolamento, prima di esporle al solleone .
I vini ottenuti da vitigni aborigeni richiedono particolari cautele, nella vendita e nel consumo.
Il Calabrone di Pietramala , fortemente urticante, viene messo in commercio con la scritta “nuoce gravemente alla salute “.
Invece il Bitorzolo della val Starnazza reca la dicitura “inidoneo all’ alimentazione umana”. In effetti, gli abitanti della val Starnazza non sono considerati umani.
Il porto d’arme è necessario per l’ acquisto della Vernaccia Molotov di Serrapetrona.
I gavettoni a base di Asprognolo di Atripalda sono vietati dalla convenzione di Ginevra.
Gli antociani antropofagi del Sagrantone di Montegheppio vengono abbattuti con il fucile da bisonti.
I tannini da pelliccia del Pignolo di val Cismon vengono storditi a colpi di mazza e scuoiati ancor vivi.
Il taglio con lo Zolfanello di Pozzuoli sostiuisce la solfitazione in agricoltura biologica.
Nel Pinot maculato dell’ Izoard viene favorita l’ infestazione da peste bubbonica per concentrarne gli aromi .
Lo Slavato dell’ Adamello , nelle annate migliori, raggiunge i 2 gradi alcolici e 57 g/l di acidità. Viene esportato a Corleone per dissolvere i cadaveri.
Il recente revival dei vitigni aborigeni costituisce un interessante fenomeno etnografico.
Le plaghe remote e inaccessibili in cui sopravvivono i vitigni aborigeni , sono  afflitte dalla miseria più nera, che induce gli abitanti all’ emigrazione.
Lontani dal suolo natio, ne sentono nostalgia e rimpiangono gli usi, i costumi e i sapori dell’ infanzia. Quando, arricchiti e prosperi, ancorchè ignoranti come capre, fanno ritorno al paesello avito, si commuovono fino alle lacrime di fronte ai bottiglioni di vino aborigeno e ne fanno incetta a prezzi di affezione.
Per tutti i vitigni aborigeni si invoca l’ intervento dell’ Ingegneria Genetica per apportare le modifiche che li rendano sensibili ai più comuni parassiti, e ne consentano l’ estinzione.
Per ulteriori notizie potete consultare la mitica (esauritissima) “ Guida dei Vini Aborigeni” di Bronislaw Macchi e Carl Malinowski
Autore: Pierlorenzo Tasselli
 
 

 

Vitigni selvaggi.

Molti ancora perseverano nell’errata opinione che i vitigni selvaggi siano pressoché identificabili con gli aborigeni. Pur concedendo che con questi condividano un che di selvatico, i selvaggi vanno considerati come il frutto di una filosofica attenzione in vigna. Sotto il giogo delle inique ed ingannatrici teorie civilizzanti, che mettono in riga tutti gli altri vitigni in un solo tipo d’impianto uniformandoli a dare un solo vino, il selvaggio mostra un’istintiva naturalità che lo porta a rifiutare l’irreggimentazione in sesti d’impianto di qualunque densità e forma e a negarsi alla produzione di vini che non siano se non la libera espressione del suo stato di natura.
A lungo considerati nell’opinione comune come vitigni senz’anima e di natura in tutto simile alle bestie, i selvaggi dovettero aspettare un teo-enologo spagnolo del XVI secolo, il domenicano Bartolomé de las Casas, per una loro piena riabilitazione. Il Las Casas, che per questo fu duramente censurato dall’Assoteo-enologi del tempo, li definì miti di natura e ricchi d’immaginazione e, adattando a loro un detto evangelico, li disse: “innocenti come colombe e prudenti come serpenti”.
Venendo ad epoche a noi più vicine, il primo ad occuparsi in maniera specialistica del vitigno selvaggio fu un enologo ginevrino della metà del XVIII secolo, Gian Giacomo Rousseau. In pieno fervore illuminista, il Rousseau aggiornò il concetto già espresso da Las Casas, affermando che lo sviluppo delle scienze agronomiche, delle conoscenze ampelografiche e delle affinate pratiche enologiche, avevano di fatto asservito i vitigni a generare una vitivinicoltura di massa, soffocando quell’originaria libertà, appunto, a cui ciascun vitigno era destinato dalla nascita.
La visione del ginevrino, che risentiva fortemente della sua educazione calvinista, lo condusse ad esaltare la condizione selvaggia come buona tout court. Di qui s’originò un vero e proprio mito, in seguito detto “mito del buon selvaggio”.
Nel secolo successivo videro la luce tutta una serie di pubblicazioni sulla vinificazione selvaggia che, per una deriva giudicata anarcoide ed insurrezionalista, dettero vini inadatti all’invecchiamento e all’esportazione. Qua segnaliamo solo due grandi vendemmie, quella parigina del 1871 e quella russa del 1917. Di quest’ultima, in verità, si registrarono alcune forme d’imitazione all’estero. Dopo da allora i vitigni selvaggi sono stati quasi dovunque abbandonati a favore dei più adattabili vitigni riformati.
Autore: Giulio Piccini
 
 

 

Vitigno Autoctono
 
Incerta e discussa è l’etimologia di questo termine. In passato La scuola di pensiero che si rifaceva a radici umanistiche, in particolare al pensiero del grande Abate Faria, lo faceva derivare dalla radice “ctonio” che rappresenta il profondo, lo scavare in profondità. Il Faria, nella sua monumentale opera “Porca troia che fatica scavare per anni solo per far uscire quel coglione del Conte che poi il merito è andato tutto a lui”  ( Calambrone 1778, Ehi, Naudi.) affermava: “In più momenti, durante lo scavo, imbattemmi in radici di piante. Riconobbi in particulare quelle esili ma cocciutamente ostili allo strappo delle viti locali. Esse ramificavasi in profondità, verso il mondo ctonio, dal quale la fede salveràmmi: comunque nel compimento della travagliata opera mia furono semper un grande rompimento di coglioni”.
La scuola scientifico-materialista invece indicava come matrice del termine alcuni fenomeni naturali come il fulmine ed in particolare il tuono. Isaac Newton, nel suo graffiante libello “Che par di coglioni stare a sedere sotto un melo per diventare famosi” ((“Which pair of balls to stay under a apple three to became famous”.Ostenda 1658, Van der Coylen) tratteggiava perfettamente la nascita dal popolino di termini divenuti poi di uso nelle classi colte: “During a temporal, while I was under the same apple three, arrived on course my stupid cousin that, with obstacled words, say: “P-p-p-p-p-p-pay  at-t-t-t-t-ttention. It-t-t-t-t-‘s ar-r-r-r-r-r-r-iving  light-t-t-t-t-nings and  t-t-t-t-ct-ct-ct-ctones.”  Dal seguito si evince che il Newton, per far sentire a suo agio il cugino scemo, usasse sempre il temine “ctone” (latinizzato poi in “ctonio”) riferendosi a quel rumore improvviso e forte.
Sul suffisso “Auto” vi sono invece forti convergenze di vedute. La maggioranza infatti ha sempre  preso come faro il pensiero di Gianbattista Vico che in “Cursus et ricursus storicum, obvero: quam creditur uscito est de casinibus inverum sit in medio” (Corsi e ricorsi storici, ovvero: quando pensi di essere uscito dai casini ed invece ti ci ritrovi più invischiato di prima) 1518, Torre Annunziata)  enuncia:
“Come lo sputo che, inavvertitamente lanciato contro vento, ritorna immanente in faccia allo sputatore, così la vite spinge verso il basso le radici che , a loro volta, mandano “de auto” (autonomamente n.d.r.) la linfa verso l’alto, puntando a li sospirosi grappoli”.
Al giorno d’oggi, seguendo i dettami del nichilismo enologico espresso con perfezione semantica dallo Pseudo Lenin nel suo “Che fare? So’ una sega!” (1996, Terme Euganee, Bemporad),   per vitigno autoctono si intende qualcosa di incerto ai più ma ben chiaro a chi ne utilizza il dettato semiotico a scopo meramente commerciale. Per questo al cameriere che motiva la scelta di un vino, solo affermando questi essere “autoctono” l’occhiuto bevitore potrà autorevolmente rispondere: “Allora se è autoctono portaci anche il budello di tu’ madre!”

 

 

Zinfandel

 
Lo zio d’America, discendente di una famiglia di emigrati pugliesi. Questi, con mezzi primitivi, avevano attraversato l’Oceano in cerca di fortuna, trovandola in California ove si erano stabiliti. Altri erano partiti per l’Australia, con discreto successo. I parenti italiani attendono ancora oggi un segno di palese riconoscimento.
 

Autore: Paolo Bargelloni

 

 

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Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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