Vinipedia D-L15 min read

Vinipedia dalla D alla L comprese

 

D’hoc

Tipologia di vini creati ad arte. In etichetta riportano la denominazione d’origine (controllata?), da cui probabilmente derivano i mosti, spesso mischiati con mosti concentrati rettificati di altre realtà, al limite della lealtà, e imbottigliati da produttori a mille chilometri di distanza, identificati, per modo di dire, da sigle appuntate o da caratteri alfanumerici indecifrabili. Vengono distribuiti da discount di proprietà straniera a prezzi da acqua minerale.

Autore Paolo Bargelloni

 

 

Da Vinci Leonardo.

Geniale bevitore di vino della piana dell’Arno. Durante le sue memorabili sbornie sognava cose fantastiche che puntualmente riportava su carta una volta sobrio. Ci sono rimasti di lui moltissimi disegni e scritti, nonché alcuni dipinti. Uno dei più famosi era la cosiddetta Monna Arabica, ritratto di giovane fanciulla  dal sorriso indecifrabile con un turbante in testa. Purtroppo le condizioni di conservazione del dipinto sono state per molto tempo disastrose. Nei primi tempi il Vinci stesso, come in preda ad un raptus, grattò via il turbante dal dipinto, usando perdipiù tecniche fortemente abrasive sia per i colori che per la tela . Il dipinto è giunto a noi in questa seconda versione, assumendo di conseguenza il nome di Monna Lisa.

 

 

Degourgement

Il terroir (vedi) aveva sottoposto i boia di Francia ad un surlavoro che rischiava di minare alle fondamenta il buon nome della categoria. I rischi di errori capitali erano all’ordine del giorno e la fama di precisione e di affidabilità dell’ordine cominciava seriamente a vacillare. IL Boia Mastro di Francia, messieur Charles-Henri Sanson, famoso per aver decapitato Luigi XVI, propose un rimedio risultato assolutamente salvifico. Ad ogni condannato a morte, specie se di nobili origini, veniva messa, prima dell’esecuzione, una gorgiera. Questo ampio colletto rigido pieghettato, in realtà passato di moda da tempo, svolgeva la pratica funzione sia di mirino, indirizzando l’occhio del boia e la correlata lama in maniera netta e sicura sul collo del condannato,sia di convogliatore di liquidi verso il davanti dell’azione. Ciò permetteva al condannato di giovarsi di una perfetta esecuzione e senza che fastidiosi schizzi rossastri venissero a macchiarne l’abito da cerimonia. Da allora il degourgement (letteralmente: staccare la gorgiera dal mento) sta a rappresentare la tecnica usata per staccare una cosa piccola da una più grande in maniera  netta senza, se contiene dei liquidi, disperderli. Per traslato si dice  degourgement l’arte staccare dal collo di una bottiglia un tappo a corona, in maniera precisa, inappuntabile e senza che il liquido all’interno vada a disperdersi ed a macchiare gli abiti degli astanti.

 
 
 
Degustazione.
 
L’etimo di questo termine  pare giunga a noi addirittura dal Basso Medioevo, coniato da Fra Dolcino da Novara. Conosciuto dai più come eretico e trattato come tale dalla Chiesa Cattolica, Dolcino si creò intorno un gruppo che da lui prese il nome: i dolciniani. I molti che accorsero e  cedettero alle lusinghe del frate erano soliti eseguire con ardore i suoi ordini, proposti tramite parole complesse con significati multipli. Il più famoso è sicuramente “Penitenziagite” a cui il fedele doveva pregare e pentirsi dei propri peccati mentre compiva le opere ed il lavori quotidiani. Meno conosciuto ma più deflagrante per la chiesa di allora fu il termine “Degustazionate” che prevedeva il godimento terreno associato ad azioni o lavori giornalieri. In altre parole il dolciniano poteva trombare di brutto salvo adempiere in contemporanea ad incombenze varie, come girare il sugo, rifare i letti (divertente ossimoro di fatto) e, nei casi di spinto virtuosismo, zappare l’orto.
Ad oggi per degustazione si intende un complesso rito enoico officiato da esperti in abiti pseudotalari a cui partecipano adepti sempre più numerosi, attirati dal criptico, arcano ed esoterico andamento dello stesso. La preparazione è particolarmente laboriosa. Da una parte il seguace deve effettuare una notte di preghiera e meditazione, dall’altra il sacerdote celebrante ha il compito di stappare le bottiglie anche molti giorni prima, travasarle in recipienti di vetro dal collo strozzato e lasciare il tutto a contatto con l’aere per molto tempo. Il passaggio del vino dal sacerdote decantante all’iniziato adorante è uno dei misteri più insolubili della storia. In quel momento anche  il peggior vino si trasforma,  per il noto principio della transustanziazione laica, in una liquida ambrosia che il degustante deve prima ammirare, poi annusare ed infine centellinare inframezzando mugolii di serioso piaciere. Non sono previsti sgarri al cerimoniale: chi si permette frasi del tipo “Ma questo vino fa schifo!” viene severamente squadrato ed invitato fermanente ad uscire e mai più tornare. In alcuni casi, come nell’Associazione Indefessi Sacerdoti, i miscredenti vengono sottoposti a pene corporali.
 
 

Di corpo
In degustazione, vino che ha effetti lassativi.
Autore: Paolo Bargelloni
 
 
Diradamento

La moderna viticoltura ha introdotto tale pratica che in realtà affonda radici ed etimologia nel Pleistocene. Infatti circa un milione di anni fa l’homo erectus,  mancante e per di più  inane all’uso di strumenti da taglio di precisione, era uso strapparsi con le villose mani i folti peli del mento per risultare più gradito alle femmine della sua specie.
Applicata ai grappoli d’uva questa scienza porta all’asportazione degli stessi dalla vite, in ragione di un miglioramento qualitativo del prodotto finale.
Purtroppo l’enologia moderna, in virtù di profonde conoscenze maturate (senza preventivo diradamento) in ambito universitario, sta tendendo sempre più a diradamenti drastici e pressoché definitivi. Esemplare in tal senso è il processo che porta all’introvabile “Ex pluribus unum” del grande Agostino Antinari de Freschiboldi. Del vino viene prodotta una sola bottiglia ed esclusivamente nelle migliori annate. Agostino, personaggio dal carattere ombroso ed ex latinista di grido, è solito farsi prendere la mano durante i diradamenti dei suoi 833 ettari vitati, che compie esclusivamente di persona. Al grido di “Quosque tandem abutere Catilina patienta nostra?” Interviene sui grappoli recidendoli uno dopo l’altro in un vero e proprio parossismo cesorio sino a che, esausto, esce di vigna lasciando un solo grappolo superstite. Questo, vinificato con le più grandi attenzioni, darà vita all’inimitabile bevanda.
Senza comunque arrivare a tali estremizzazioni il diradamento è effettuato dalla stragrande maggioranza dei produttori, anche se con tecniche diverse. Ve ne presentiamo alcune.
Rischiatutto: dopo una serie di domande di cultura generale vengono tolti i grappoli con punteggio inferiore alla media.
Analitico: evoluzione del precedente. Il grappolo è sottoposto a tre tipi di analisi: logica, grammaticale e del periodo. Al termine i più asini, riconoscibili anche dalle orecchie (recie) più sviluppate, vengono tagliati e rimandati al settembre successivo.
Roulette Russa: preferito per i vitigni autoctoni che autonomamente si passano, di rachide in rachide, un coltellaccio e cercano di autodiradarsi.
Hamelin: il contadino, dotato di flauto dolce passa nottetempo tra i filari, seguito da un fila sempre più lunga di grappoli, dei quali non si avranno più notizie.
Concorso Ministeriale: in vigna il contadino distribuisce finti moduli per un concorso da usciere-capo al Ministero dell’Agricoltura, le cui selezioni si svolgono sempre nei primi 15 giorni di agosto. I grappoli che ci cascano dimostrano chiaramente di non essere degni di vinificazione.
Ecumenica: adattissima per vitigni maschi, come il Nebbiolo o il primitivo, nonché fortemente credenti, tipo Sangiovese. Un gruppo di gesuiti viene liberato in vigna per confessare i grappoli. Le domande che pongono i padri sono stringenti  e pressanti, del tipo “A cosa pensi quando vedi della Passerina?” oppure “Hai mai sognato di essere follato?”. I grappoli che arrossendo, invaiano precocemente, vengono benedetti ed eliminati.
 
 

Diradamento
Ovvero "pietà l’è morta".
Il diradamento è una pratica adottata dalla moderna viticoltura per potenziare la carica dirompente delle uve.
Prima di affermarsi, tale pratica ha incontrato notevoli difficoltà.
La manodopera autoctona era riluttante e ostile, ritenendo che la grazia di dio non può essere rifiutata. Di fronte ai grappoli da amputare , non ce la facevano. Il grappolo spalancava occhi umidi di cerbiatto, mostrava la foto dei suoi bambini . Di fronte a questo, il rude villico dal cuore d’oro veniva preso dal magone e lasciava cadere la cesoia.
Gli enologi di origine piemontese o veneta, trapiantati in Toscana, tardarono a percepire l’ entità del problema. Arrivavano in vigna e davano disposizioni categoriche affinchè si procedesse al diradamento . Ricevevano risposte del tipo : “Subito !” – “ Come no !” – “ Ora gliela dirado io !”. Ripassavano dopo due settimane, e i grappoli erano ancora sulle piante.
Invece, gli enologi toscani e napoletani, più sensibili alle sfumature ironiche del linguaggio, capirono che bisognava applicare un provvedimento drastico : il ricorso alla manodopera straniera.
Occorrevano uomini spietati, abituati a uccidere senza emozioni.
Vengono forniti da agenzie specializzate.
I più ricercati (e anche i più cari ) sono i Gurka dal volto di pietra. Le loro daghe larghe come mannaie, tagliano con un sol colpo il collo di un bufalo, durante la festa del loro santo patrono.
I nigeriani agiscono solo di notte e sono del tutto invisibili. Se qualcuno li ha visti, non ha potuto raccontarlo. Al mattino i vigneti appaiono deserti e perfettamente diradati. Unico segno del loro passaggio, una zampa di leopardo inchiodata sulla testata di un filare .
I magrebini sono reclutati fra i membri della setta degli Hashishin , capeggiata dal Vecchio della Montagna. Vivono in alloggiamenti fiabeschi, avvolti nell’effluvio delle droghe, immersi in un torpore stuporoso, accuditi da splendide odalische. Vengono narcotizzati, fatti risvegliare nel vigneto e scatenati contro i grappoli superflui. Difficili da tenere sotto controllo, come i malesi in preda all’’Amok .

Autore: Pierlorenzo Tasselli
 
Dolcetto.

Vino da vitigno autoctono piemontese, secco e dal finale tendenzialmente amaro, da cui la classica domanda dei degustatori inesperti: Dolcetto o scherzetto?
autore: Maurizio Gily
 
 
Erbaluce

Vitigno bianco di pregio nativo del Canavese, tra le Province di Torino e Ivrea. Sull’origine del nome si sono fatte varie ipotesi con poco fondamento, finché la perduta sapienza degli antichi non è stata riportata alla luce da un dirigente licenziato dalla vicina Olivetti, che, dietro insegnamento di uno sciamano della Valle Sacra, si curò la depressione fumandone le foglie.
Autore: Maurizio Gily
 
 
Estratto secco
Giocata su un vino determinato per riuscire a riconoscerlo fra 90.
Autore: Paolo Bargelloni
 
 
Etichetta
 
Carta d’identità del vino. Ma per molti non basta. Ci sono quelli che per una maggiore chiarezza vorrebero leggerci l’elenco dei componenti, anche microscopici, contenuti nel vino. Come per l’acqua minerale. Anche se difficilmente capita di sentire nei supemercati frasi tra massaie come queste: “La mia acqua ha un contenuto di magnesio minore della tua di ben 0,2 mg”; “Sì, ma la mia, alla sorgente, ha la temperatura più fresca”, “Io, invece, penso alla sicurezza: l’acqua che scelgo io ha una minore conducibilità elettrica…”. Esiste poi il “fronte del NO”. E’ costituito da quelli che vedrebbero scritto volentieri sull’etichetta i componenti o le tecniche che non ci dovrebbero essere, anche se consentiti in altri Paesi, come: No O.G.M., No Chips, No Sugar Added, ecc. Più che una carta d’identità sembra un manifesto referendario!
 
Autore: Paolo Bargelloni
 
 
 
Etichetta, ovvero L’ Etichetta.
 

Si dice “etichetta” l’insieme di regole e divieti che definiscono la buona creanza, distinguono il gentiluomo bennato e la signora di classe .
Per restare nell’ ambito enoico  che ci compete, a titolo di esempio:
– rivela origini plebee colui che , mescendo all’ ospite da una bottiglia di Darmagi , aggiunge il commento “Questo è di quello bono, è fatto con l’ uva”.
– È malvisto nei circoli più esclusivi chi versa  Chateau Petrus in un bicchiere cilindrico, recante la scritta "Peroni" e vi aggiunge una dose di gazzosa.
– Zoccola da poco verrà considerata la signorina che, di fronte a uno champagne millesimato, estrae un bastoncino di plastica e lo rimesta per far spurgare le bollicine.
 
Autore: Pierlorenzo Tasselli

 

 

Festwinebar

Rassegna musicale dedicata alle canzoni, rivisitate in chiave enologica.Queste le hit più gettonate:

Tony Dallara – Tu sei aromatica. Elogio alla Malvasia
Renato Zero – I migliori anni della nostra vigna. Ricordi di un tempo migliore.
Lucio Dalla – Caluso. Omaggio ad una DOC quasi dimenticata.
Bobby Solo – Una lacrima sul riso. Storia di un infelice accostamento.
Vasco Rossi – Bollicine. Ode alla sua Emilia, vivace e briosa.
Iva Zanicchi – Bastarda io. Memorie di incroci divini.
Laura Pausini – Strani odori. Sensazioni deludenti.
Gino Paoli – Sapore di sale. Appunti di viaggio e di assaggio in Portogallo.
Tiziano Ferro – Rosso relativo. Dedicato alla purezza, senza tagli coloranti
Dolcenera – Com’è straordinaria la vite. Inno alla pianta per quello che ci sa dare.

Ospite "internazionale": Liza Minelli – Cabernet.

 

Autore: Paolo Bargelloni

 

 
 
Giornalista enogastronomico.
Varietà in rapida e preoccupante proliferazione, ottenuta generalmente tramite innesto di intenditore spocchioso su personalità infantile e psichicamente disturbata. Non rari però anche i casi ottenuti tramite selezione massale di giornalista riciclato. Da consumare previa sfecciatura e pesante solfitazione. Celebre la definizione di Oscar Wilde: “Per fare il giornalista enogastronomico non è indispensabile essere stupidi. Però aiuta”.
Autore: Francesco Annibali.

 
 
 
Giornalista scemogastronomico.
 

Secondo l’ultima anagrafe del dipartimento di coltivazioni arboree dell’università di Milano, è il clone di giornalista enogastronomico più diffuso in Italia. Evidenti e numerosi i tratti somatici tipici, tra i quali i più rappresentativi sono l’abbigliamento stile signorotto di campagna/cacciatore al relax/amaro Montenegro, intelligenza irrilevante e cultura arrabattata, eccellenti capacità leccaculistiche, ostentazione di piaggeria verso i potenti, erre moscia finta, barba incolta. Ma soprattutto: cappello da capostazione effetto delimitazione del territorio (come l’urina per i cani). Della serie: qui comando io. Terminologia preferita: salvaguardia delle biodiversità, recupero degli autoctoni, ristorante fascinoso. Tuttora sconosciuto il vaccino.
 
Autore: Francesco Annibali

 
 
Girato.

Alterazione del vino dovuta a batteri, influenza molto anche il consumatore. Girato (di palle) é colui che crede di aver comprato un vino d’annata, scoprendo poi di aver contribuito al 2 x 3 del supermercato dietro l’angolo.
Autrice: Malinda Sassu

 

 

Greco di Tufo

Statua di pietra vulcanica giallo paglierina raffigurante un colono proveniente della Magna Grecia che ha avuto il merito di piantare i primi vigneti in Irpinia dando origine a quella che oggi è considerata una delle più vocate zone viticole del meridione. L’opera è stata ripetuta con successo in Umbria dal suo diretto erede: il grechetto.

Autore: Paolo Bargelloni

 
 
Gonna arabica.

Tipico capo di vestiario usato da tutte le donne arabe. Viene fatta con una stoffa particolare, sensibilissima al contatto con le bevande alcoliche, in particolare con il vino. Non si limita infatti a rimanerne macchiata, ma ne viene letteralmente distrutta. Come si può ben capire questo ha provocato e provoca non pochi problemi nei paesi arabi, tanto da portarli alla proibizione assoluta di qualsiasi alcolico. Stranamente il vino in cui si è dissolta una gonna arabica diventa più rotondo e armonico.
 
 
Grillo 

Varietà di uva coltivata in Sicilia. Anche se allevata unitamente ad altre uve, si riconosce inconfondibilmente dal caratteristico suono provocato dallo sfregamento degli acini tra loro.
autore: Paolo Boldrini
 
 
 
Liberté, Egalité, Mineralité.
Massima coniata durante il sanguinoso periodo del Terroir (vedi), rappresenta i tre sacri principi deflagrati durante la Rivoluzione Enologica Francese. Successivamente è divenuto il motto della Compagnia de’ Magnaccioni, esecrato dall’attuale scuola enologica mondiale, nonché da tanta stampa di settore.
La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del bevitore del 1795 definiva così  la liberté “La libertà consiste nel potere di fare un vino che non nuoce al diritto altrui di bere bene”.
Mentre Egalité  vuole affermare che tutti hanno lo stesso diritto di bere bene e che le differenze per competenza, conoscenza enologica o degustativa vengono abolite. In altre parole nessuno può rompere i coglioni mettendosi a decantare profumi o caratteristiche che solo dei malati di mente possono andare a ricercare nel vino.  Ognuno inoltre ha il dovere di contribuire alle spese per il vino in proporzione a quanto possiede.
Il terzo termine, Mineralité, sembra in aperta contraddizione con Egalité, dando voce appunto a quei bizantinismi olfattivi cancellati dalla voce precedente. In realtà rappresenta la  prova del nove del sistema. Infatti tutti possono essere d’accordo sull’Egalité, salvo poi ricadere nella tentazione di esibirsi in riconoscimenti aromatici degni di un cane da tartufo. “Mineralità” è appunto uno dei termini più usati per darsi delle arie e dire tutto e niente. A quel punto si capisce la malafede del commensale e con voce ferma lo si manda a cagare.
 
 
Lieviti 

Sostanze che vengono spesso aggiunte ai mosti per migliorarne le caratteristiche durante la fermentazione, in termini di qualità ma soprattutto di quantità: la lievitazione del vino, infatti, è quel fenomeno per cui un produttore che possiede 3 ettari di vigna riesce a imbottigliare 500 ettolitri di vino.

Autore: Paolo Boldrini
 
 
 
Limpidezza.
Assenza di corpi non identificati nel vino. Si valuta annacquando il vino con acqua Lete: se la particella di sodio in essa contenuta si accoda ad una comitiva, il vino risulta velato ; se invece non trova nessuno, il vino è limpido.
Autore: Paolo Bargelloni
 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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