Vetro e non solo: ma quanto è sostenibile il sostenibile?3 min read

Il 29 marzo a Slow Wine Fair ho fatto il moderatore ad un dibattito dal titolo “Il viaggio del vetro e il packaging sostenibile”. Ho avuto così modo di ascoltare i responsabili di O-I, uno dei più grandi produttori di vetro con oltre 70 stabilimenti in tutto il mondo e  una decina solo in Italia. Chi ci segue da anni sa dell’impegno di Winesurf per diminuire il peso delle bottiglie e quindi immaginate con quanta attenzione abbia ascoltato e fatto domande su questo tema.

Però la discussione, anche grazie ad alcuni dati mi ha portato oltre, cioè a cercare di capire se il nostro sistema, anche quando opera in maniera etica, riuscirà veramente a salvarci da un disastro che, guerra a parte, mi sembra sempre più difficile da scongiurare.

Partiamo da un dato positivo, il riutilizzo del vetro: dai dati proposti da O-I riguardanti l’Europa, l’Italia non è messa male: infatti ricicliamo l’87% del vetro e siamo davanti a Francia, Spagna, Portogallo, Inghilterra, allo stesso livello dell’Olanda, superati solo da Germania, Belgio e paesi nordici.

Il riciclo del vetro, oltre a quanto dirò dopo, ha però un limite: la stragrande maggioranza del vetro riciclato è colorato, per precisione non esiste (almeno da noi)  un modo per riciclare il vetro bianco da solo. Per questo si può utilizzare il vetro riciclato, pulito e sbriciolato per fare bottiglie di vino colorate ma si può farlo solo in parte per quelle bianche.

In particolare in una bottiglia colorata possiamo trovare fino all’’85% di vetro riciclato, mentre in una bianca la percentuale può scendere fino al 20-25%. Naturalmente anche questo vetro deve essere fuso nuovamente per produrre la bottiglia, ma il punto di fusione è più basso rispetto al vetro creato ex novo e così si produce meno CO2.

Resta fermo il punto che più leggera è la bottiglia meno vetro e CO2 si produce e quindi, riciclato o non riciclato, l’utilizzo di bottiglie leggere è basilare.

Adesso voglio esprimere un concetto che forse sarà sbagliato ma credo dovremmo tenerne conto: a me il termine sostenibilità piace sempre meno.

Vi faccio un esempio per spiegarmi: se mi costringete a mettermi sule spalle 50 chili e a spostarli io posso riuscirci, anche se con grande sforzo. Se diminuite a 20 chili dicendomi che così il peso “sarà più sostenibile” sicuramente la mia fatica sarà minore ma sempre un peso sulle spalle devo portare.

Per questo dobbiamo stare attenti ad usare il termine “sostenibile”, che non vuol dire “pulito” ma “meno sporco”. Questo potrà sembrare un discorso semplicistico ma dobbiamo renderci conto che il sostenibile non è un modo per rendere pulito l’ambiente, ma solo meno sporco, per inquinare meno ma non per non inquinare.

A questo punto, pur sapendo che naturalmente non si può tornare indietro mi faccio e vi faccio una domanda: nessuno ha mai fatto un calcolo di quanto si inquini per raccogliere, stoccare, spostare sbriciolare, pulire, per rendere insomma utilizzabile il vetro per il riciclo? Non so se sono stati fatti studi e non crediate che io voglia, anche per chiari motivi etici, eliminare il riciclo: voglio solo far capire che non dobbiamo sentirci la coscienza a posto se ci riempiamo la bocca con il termine “sostenibile”, per il vetro o per altri materiali naturalmente.

Per me dovremmo sempre mettere davanti a quel termine almeno la parola “più” per far capire che si sta cercando di migliorare una situazione ma non di eliminarla. Questo, lo ripeto, vale per il vetro e per qualsiasi altro prodotto riciclato.

Tornando al vetro un metodo “ancor più sostenibile” potrebbe essere quello di riciclare la bottiglia intera (tipo quando il lattaio ci portava il latte la mattina e si portava indietro la bottiglia vuota) e questo viene fatto, in parte, già per l’acqua. Sarà possibile farlo per il vino?

Se, per esempio, tutti a Vinitaly si riportassero indietro le bottiglie vuote e le riciclassero “in casa propria” riutilizzandole, non sarebbe un bel segnale per essere più sostenibili possibile?

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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