Un sogno tra le barriques: sarà La Regola?3 min read

Entrando nella nuova barriccaia dell’azienda vinicola La Regola di Riparbella, al confine tra le province di Pisa e Livorno e a pochi chilometri da Bolgheri, ci si rende conto di aver trovato un luogo dell’anima, dove sì l’arte incontra il vino, ma si fa presto a rendersi conto che qui si va decisamente oltre.

Tutto ruota intorno ai vini dell’azienda e a Stefano Tonelli, artista che ha esposto le sue opere in mezza Europa pur mantenendo solide radici a Montescudaio (ovvero a una decina di chilometri da La Regola). Ed è alla Regola che ha realizzato il suo ultimo somnium, tra un centinaio di barriques borgorgnone dove riposano e maturano i vini più prestigiosi dell’azienda.

Tonelli è sempre stato un sognatore, e lo è ora più che mai. Pochi anni fa ha realizzato in diversi luoghi e città d’Italia un’installazione, che è anche un disperato appello al mondo, dal titolo Restiamo umani. Come ammette a malincuore lo stesso Tonelli, l’appello è rimasto inascoltato, un sogno appunto, l’installazione è stata abbandonata, la cruda realtà ha avuto la meglio.

Si rifugia allora in una dimensione onirica più intima qual è per l’appunto la barriccaia de La Regola, uno spazio rettangolare di circa 500 metri quadrati dove nelle pareti più lunghe è raffigurata una danza cosmica con sei figure disegnate come costellazioni immaginarie, che custodiscono amorevolmente le barriques dormienti. Tutt’intorno si muovono piccoli esseri laboriosi che navigano spazi senza confini, unità indivisibili in perenne transito tra una vita e l’altra.

“E’ un omaggio – spiega Tonelli – al popolo etrusco che ha abitato questi luoghi, questa valle, questa pace del paesaggio. Un  popolo che ci ha raccontato molto della vita e della morte e della vita oltre la morte, così come queste figure continuano la vita negando il finito.”

Inevitabilmente l’occhio cade poi sulla parete centrale dove si impone un’enorme sfera luminosa, lì a rappresentare il grande pianeta della nostra umanità, colmo di volti immobili, freddi e ad occhi chiusi.

E poi la musica (se tale la si può chiamare). Tonelli aveva bisogno di un tema sonoro che dialogasse con la sua opera, ma non poteva essere un “pezzo” scritto, con un inizio e una fine.

E vagando tra il rovere, aleggia un dubbio: ma il suono delle campane tibetane elaborato da un musicista giapponese, con le sue dolci vibrazioni, penetrerà il legno? Avrà influenze benefiche sul vino? Lasciamo in sospeso nell’aria la risposta, la dimensione è ancora aulica anche se presto – inevitabilmente – si affaccerà quella enoica. Ovvero quella che ci riporta con i piedi per terra alla scoperta dei tre vini che riposano nelle botti.

Lo Strido, un potente merlot in purezza che dopo 18 mesi di barrique e 12 di bottiglia si presenta ricco di spezie al naso, tannino fine, sapido e un bel finale. Poi la Regola, che si è evoluto da Sangiovese agli inizi del 2000 all’uvaggio bordolese di oggi con prevalenza di cabernet franc e aggiunta di merlot e petit verdot, colore intenso, vaniglia che in bocca scompare, frutto nero, tannino fine. Infine il Vallino, prevalenza cabernet sauvignon con sangiovese e syrah, un vino fresco di buona beva, con decisi frutti rossi.

Il somnium è anche quello di Flavio e Luca Nuti, titolari de La Regola, che insieme raccontano con grande orgoglio la nuova cantina e il loro ambizioso progetto che va oltre la produzione di vino di qualità.

Con Tonelli La Regola inizia un percorso che vede il vino come messaggero di pace. La porta d’ingresso all’azienda vinicola è stata dipinta come a voler rappresentare concettualmente la necessità dell’essere umano di spalancare la porta della propria mente ed entrare libero superando ogni ostacolo… L’idea è quella di creare un “parco dell’umanità” dentro e fuori la cantina, unendo simbolicamente tutte le forme di pensiero laico e religioso verso quella pace universale già auspicata nel preambolo dell’atto costitutivo dell’Unesco.

Già, il vino messaggero di pace. Il sogno continua. E se funzionasse? Provar non nuoce, anzi…

Fabrizio Calastri

Nomen omen: mi occupo di vino per rispetto delle tradizioni di famiglia. La calastra è infatti la trave di sostegno per la fila delle botti o anche il tavolone che si mette sopra la vinaccia nel torchio o nella pressa e su cui preme la vite. E per mantener fede al nome che si sono guadagnato i miei antenati, nei miei oltre sessant’anni di vita più di quaranta (salvo qualche intervallo per far respirare il fegato) li ho passati prestando particolare attenzione al mondo del vino e dell’enogastronomia, anche se dal punto di vista professionale mi occupo di tutt’altro. Dopo qualche sodalizio enoico post-adolescenziale, nel 1988 ho dato vita alla Condotta Arcigola Slow Food di Volterra della quale sono stato il fiduciario per circa vent’anni. L’approdo a winesurf è stato assolutamente indolore.


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