Tutto quello che c’è da sapere sulle ultime 170 (!) vendemmie in Borgogna-seconda parte9 min read

La Golden Era del vino borgognone cominciò però alla fine della guerra, negli anni ’20, premiati da due millesimi eccezionali (1923 e 1929),  e il decennio successivo, che precedette il secondo conflitto mondiale, fu anche quello in cui si gettarono i semi della Borgogna moderna.

Mentre proseguiva l’eterno scontro tra négociants e proprietari, con la legge del 1919 avevano inizio  i primi tentativi di regolazione normativa delle denominazioni vinicole,che avrebbero portato alla istituzione delle AOC poco più di 15 anni dopo,mentre  il miglioramento delle condizioni economiche generali derivanti dalla forte svalutazione del franco francese del ’26 apriva  la strada delle esportazioni.

La graduale sostituzione del provignage (metodo di riproduzione della vite interrando un lungo tralcio ancora attaccato alla vite madre n.d.r)  nei nuovi impianti permise l’ingresso dei cavalli nelle vigne, prima assai più raro. Cominciavano intanto ad essere introdotti i primi fertilizzanti e si assisté agli  esordi della meccanizzazione, con le prime macchine imbottigliatrici.

L’introduzione del sistema delle appellations, alla metà degli anni ’30, favorì , pur tra grandi difficoltà, anche  il processo di autonomizzazione dai négociants di numerosi vignerons  (tra questi molti  grandi nomi di oggi) che cominciarono a produrre e commercializzare in proprio i loro vini. Prima della guerra  solo la vendemmia del 1934 (in quello stesso anno nasceva la Confrérie des Chaveliers du Tastevin), abbastanza isolata tra altre complessivamente mediocri, raggiunse la massima valutazione, ma la qualità dei vini cominciava lentamente a salire.

Gli anni ’40 furono quelli delle privazioni di guerra, dell’occupazione, e poi della nuova ricostruzione. Due splendide annate (1945 e 1949), celebrarono nel modo migliore la liberazione dall’invasore e il ritorno della pace.

I decenni ’50-‘60 furono anni di grandi cambiamenti,  con l’impiego dei trattori, di presse e pompe elettriche, delle prime  forme di  controllo delle temperature e altre innovazioni che modificarono profondamente il modo di fare vino. Non tutti però positivi: quegli anni furono segnati infatti dall’ingresso massiccio della chimica nel mondo del vino.

Il processo innovativo   crebbe in profondità ed estensione nel decennio successivo, nel corso del quale  vi furono anche numerosi cambiamenti nella proprietà derivanti dalle  acquisizioni di vigne anche al di fuori dei territori del proprio comune.  Gli anni ’70 sono definiti dai due autori come quelli nei quali la Borgogna perse la propria strada. L’impiego massiccio dei fertilizzanti, l’affermarsi di metodi produttivistici,la disonestà di molti négociants che importavano vini algerini per colorare e rafforzare vini anemici ed eccessivamente diluiti, provocarono l’inevitabile decadimento qualitativo dei vini e la sfiducia dei mercati: nel 1974 la tradizionale Asta degli Hospices di Beaune vide crollare le proprie vendite del 25-30% rispetto all’anno precedente.

La pressione finanziaria  spinse un sempre maggior numero di produttori a svincolarsi dal pesante abbraccio dei négociants e a vinificare ed elevare i  propri vini direttamente, ma questo processo non fu privo di difficoltà, per la cronica mancanza di capitali , spazi e tecnologie , e il processo di cambiamento richiese un certo tempo.

Gli anni ’80 segnarono una decisa inversione di tendenza e  il ritorno alla tradizione : una  nuova generazione di giovani  e più preparati vignerons, molti dei quali avevano frequentato il Lycée Viticole di Beaune,  come Christophe Roumier e Dominique Lafon, colpiti dal decadimento qualitativo dei vini degli anni ’70  rispetto a quelli dei periodi precedenti, impressero un forte  cambiamento che si rafforzò nel decennio successivo, allorquando cominciarono a vedersi gli effetti della rigenerazione dei suoli, anche se il progresso  fu in parte oscurato  dall’inquietante apparizione dell’Esca, un’infezione capace di trasformare in spugne il legno delle viti.

L’ultimo decennio del secolo scorso consolidò il costante miglioramento della qualità dei vini, soprattutto rossi, mentre i bianchi dovettero affrontare la minaccia  della Premox (premature oxidation, quando un vino, ancora giovane si mostra piatto, stanco, senza profumi. n.d.r.).

Negli anni duemila l’ascesa qualitativa e la reputazione internazionale dei vini borgognoni raggiunse livelli mai conosciuti prima, e con esse cominciò anche l’apparentemente inarrestabile ascesa dei prezzi. Siamo intanto giunti ai giorni nostri,  segnati dalla crescente imprevedibilità climatica,  con gelate e grandinate che hanno devastato i vigneti della Côte de Beaune, e, sia pure in misura minore, la Côte de Nuits, provocando una forte riduzione dei volumi.

Il conseguente  innalzamento dei prezzi, derivante dalla scarsa disponibilità di riserve e dall’aumento della domanda estera,  ha  cambiato l’orientamento dei consumatori abituali, che si rivolgono verso i vini meno costosi, provenienti dalle piccole appellations , come  Marsannay o Rully. Se queste ultime ne hanno tratto dei benefici, resta il fatto che una quota crescente dei cru migliori è ormai pressoché interamente consumata all’estero ed è diventata bersaglio privilegiato delle contraffazioni.

Altri fenomeni importanti sono i sempre più frequenti cambiamenti della proprietà dei terreni, conseguenza  della pesantezza delle leggi napoleoniche sull’eredità, e della  spinta a vendere dei  proprietari che, vivendo fuori della Borgogna, e  percependo scarse rendite annuali dalle loro terre,  intravedono la possibilità di ricavi altissimi dalle vendite.

Non dimentichiamo la lenta, ma crescente globalizzazione , derivante non solo dalla nuova configurazione dei mercati e in particolare  dall’esplosione di quelli asiatici, ma anche degli investimenti effettuati in altre regioni  vicine della Francia (Beaujolais, Jura, Alsazia) e fuori (Oregon); la proliferazione   di piccole, nuove,  maison de négoce da parte di  produttori in crescita di capacità produttive,  ma con limiti di capitale e di opportunità di espansione, spesso con caratteristiche premium per la reputazione acquisita dai winemakers.

Un quadro  incerto e per molti versi imprevedibile,nel quale l’instabilità del quadro politico internazionale, nella comunità europea e oltre,  si aggiunge  alle nuove sfide poste dal  riscaldamento climatico e che sembra in grado di  mettere  a rischio la stessa definizione della gerarchia dei climats, costruita nel corso dello scorso millennio e recentemente riconosciuta dall’UNESCO come eredità del patrimonio mondiale.

Importanza del libro

La  particolarità di questo libro, destinato a diventare opera di riferimento fondamentale per tutti coloro  che si interessano ai vini della Borgogna, appare  evidente al lettore fin dalle prime pagine. La valutazione delle annate più antiche,a differenza di quelle più vicine,  è, come è ovvio,  principalmente “ricostruita” a partire da testimonianze storiche e di archivio (notevole, a questo proposito, è  il contributo degli archivi privati dei Domaines che li hanno messi a disposizione, nei quali sono presenti molti preziosi appunti, non di rado anonimi, sulle diverse annate) , mentre è  molto più limitato il ruolo degli assaggi diretti. Questo sia per la loro rarità, sia per la conseguente mancanza di sistematicità.

Del resto l’assaggio di vini di un secolo ed oltre, per quanto ancora oggi straordinari,  non può avere lo stesso peso di quello dei vini più recenti.

Diversamente, l’esperienza diretta degli autori  ha potuto pesare molto di più sul giudizio delle annate “contemporanee”, specialmente a partire dai primi anni ’80, quando Meadows cominciò a costruire la sua notevole conoscenza  “by compulsively collecting and tasting, almost every Burgundy I could find-great, modest and in between”, e Barzelay iniziò a collezionare vecchi Borgogna degli anni ’70-’80, assai poco conosciuti già negli anni ’90, e allora paradossalmente meno costosi di quelli delle annate più recenti .

Ovviamente la valutazione risulta molto più diretta e specifica, ma anche più soggettiva, in quanto non può non essere legata alla “filosofia” dei degustatori. Gli autori ne sono assolutamente consapevoli.

Non c’è , affermano infatti, un solo modo di definire la “bellezza” dei grandi vini borgognoni:  può esservi infatti un disaccordo anche importante tra coloro che amano la maturità del frutto, la potenza e l’intensità  (come nei rossi del 1990, del 2003 o, in parte, del 2009) e quanti invece  premiano maggiormente  la trasparenza del terroir e la finezza (come nelle vendemmie del 1991, 2001 e 2010).

E’ difficile, per questo motivo, dissociare completamente la valutazione di un’annata dal suo “stile”.  Obiettivo degli autori non è però valutare un singolo vino, ma un’annata. Come ogni degustatore sa,  non è affatto impossibile  imbattersi in vini di altissimo pregio  provenienti da  annate povere e, al contrario,  deludenti in altre in principio più favorevoli.

Il criterio  principale nella valutazione di una annata dev’essere: quanto sono buoni i vini migliori e quanto sono consistenti attraverso la gerarchia (dai vini regionali ai grand cru) e attraverso la Côte d’Or e Chablis?”

La ricerca della necessaria  “consistenza” mostra una differenza fondamentale  nella valutazione delle annate antiche e  di quelle recenti. Nelle prime, infatti, essa  non  può   essere ricercata tra valutazioni personali effettuate su campioni diversi in tempi diversi, ma soprattutto  intersoggettivamente, ossia  nell’accordo tra le (insufficienti) esperienze dirette e le valutazioni derivanti da più fonti scritte.

Una difficoltà ulteriore  proviene dalla stima della capacità di invecchiamento, caratteristica fondamentale dei vini di pregio e naturalmente della valutazione dei millesimi nel corso di un arco temporale lungo. Spesso, infatti,  si tende a sovrastimare l’importanza dell’età alla quale un vino raggiunge la perfezione. Non tutte le annate raggiungono però il loro peak nello stesso momento: alcune annate diventano  perfette  a 25 anni, altre a 50.  Annate come la ’52 , più strutturata, e la ’53 , fruttata ed elegante, furono molto diverse tra loro, ma ugualmente grandi  al momento del loro  apogeo: la loro  valutazione può essere fortemente influenzata  dal  momento in cui sono  assaggiate, specie se una sola volta.

Ma certo il problema più grande della valutazione dei millesimi della Borgogna deriva dal fatto che , mentre le vendemmie di Bordeaux tendono a evolvere in modo facilmente  prevedibile, in Borgogna la variabilità è la  regola, anche a causa della diversità e dell’enorme  frammentazione dei  migliori terroirs. La diversità degli stili di vinificazione di ciascun produttore fa sì che essi possano, in una data annata,  creare vini enormemente diversi, anche nel loro valore, pur provenendo  dallo stesso  climat  .

Le annate a 5 stelle, per i vini rossi sono quattro nell’800, otto nei primi 50 anni del ‘900 (nonostante le due guerre mondiali), tre nella seconda metà, due nei primi 15 anni degli anni ‘2000. Quanto ai vini  i bianchi, da quando sono stati valutati separatamente,  non hanno mai raggiunto il massimo punteggio, ma hanno frequentemente raggiunto le quattro stelle, non di rado superando la valutazione dei rossi :  nell’ultimo quindicennio,nel 2000, 2004  (annata davvero molto difficile per i vini dell’altro colore), 2007,  2008 e 2014.

Colpisce che dal 1984 non vi sia stata secondo gli autori nessuna annata estremamente negativa, che non abbia cioé ottenuto neppure una sola stella. Una conseguenza certo anche del cambiamento climatico, che ha favorito una più facile e completa   maturazione delle uve. Nel secolo scorso furono ben 22 (tre nei primi tre anni del ‘900). L’annata “del secolo” XIX è stata quella del 1865,per il  XX la 1915, a distanza di giusto 50 anni.

Dobbiamo ancora attendere per conoscere quella del XXI, visto che abbiamo appena superato   solo il primo  decennio, ed è ancora troppo presto anche solo  per stabilire la migliore tra le  due annate penta stellate attuali (2005 e 2015). Gli autori citano a questo proposito il caso del 1962: grandissima annata, il cui valore fu però riconosciuto solo molto più tardi, negli anni ’80.

In conclusione si tratta di un’opera che per vastità, completezza e  approfondimento, rappresenta uno strumento davvero unico, che risulterà  indispensabile per appassionati, frequentatori di aste, Burgundy lovers.  Basato su una ricchezza documentaria e un’esperienza di degustazione senza uguali (chi potrebbe dire di aver avuto modo di assaggiare più volte un La Romanée del 1915 e addirittura  14  un La Tache del 1962, l’ultima della quale nel 2017?), e vivacizzato dal confronto tra i due autori,  è certamente un libro destinato a durare a lungo.

 

Meadows, A.D. & Barzelay, D.E. (2018). Burgundy Vintages. A History from 1845. Tarzana (CA): BourghoundBooks.com, X+ 586 pp.,$ 79.99

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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