Trento Doc: buoni risultati ma ci saremmo aspettati di più7 min read

In pochi anni il Trento Doc è diventata la denominazione di riferimento per quanto riguarda i vini trentini. Oramai pare che ogni produttore trentino di bianchi, rossi o rosati punti soprattutto a produrre uno o più vini spumanti. Emblematica sotto questo punto di vista la situazione in Val di Cembra, fino a ieri patria del Müller Thurgau e oggi terra di conquista per vigneti di chardonnay e pinot nero vogliosi di trasformarsi in Trento Doc. Da segnalare anche la situazione di due zone trentine, fino a ieri patria di mele o dell’orticultura, ma oggi al centro di grossi investimenti per la produzione di bollicine. Sto parlando della Val di Non e dell’altopiano di Brentonico, su cui sarebbe bene mettere un controllo più attento per evitare speculazioni che portino a cambiamenti radicali e magari, nel tempo, negativi.

Ma all’interno di questa grande voglia di bollicine marcate Trento Doc, quello che troviamo nel calice come si sta comportando? Quest’anno ne abbiamo degustati quasi 120, grazie al basilare aiuto dell’Istituto TrentoDoc, facendoci un quadro chiaro, con luci ma anche qualche ombra.

Intanto bisogna fare una premessa e cioè quello che noi degustiamo va visto come una piramide rovesciata: infatti noi abbiamo avuto in assaggio appena una ventina di Trento Doc non millesimati, ma in realtà sono questi vini che poi si trovano maggiormente in commercio e in particolare quelli prodotti dalle grosse cantine come Ferrari, Cavit e Mezzacorona. Se proprio dobbiamo dirla tutta tra i senza annata mancano proprio quelli che si trovano ovunque a prezzi molto (spesso troppo) bassi e quindi i nostri assaggi (come quelli delle altre guide, attenzione) non riguardano l’intero mondo del Trento DOC che ha numeri attorno ai 13 milioni di bottiglie ma una fetta, sicuramente quella qualitativamente più importante, che però interessa al massimo 2/3 milioni di bottiglie.

Tra queste si trovano vini che non hanno bisogno di presentazioni e altri che forse andrebbero maggiormente conosciuti e apprezzati. Ma andiamo con ordine e, dato che da qualche anno li presentiamo divisi per tipologia, seguiamo la strada tracciata.

Trento Doc senza annata

Si rischia di sfondare una porta aperta ma sicuramente è la tipologia che ci ha convinto meno e dove si trovano ancora dei Trento Doc “old style”, cioè un po’ rustici e scomposti, sia che si parli di bollicine bianche o rosé. A proposito, è interessante notare come, rosé a parte, il mondo dei senza annata sia praticamente a completo appannaggio dello chardonnay in purezza, sicuramente uva più malleabile e di più facile reperimento (nonché di prezzo inferiore) del pinot nero. Una categoria, quella dei senza annata, destinata alla sufficienza e anche quest’anno, pur non avendo al suo interno Vini Top, la raggiunge ma in maniera risicata. Infatti solo il’53% dei vini degustati ha ottenuto almeno 80 punti, cioè un voto non basso (come i nostri lettori sanno), ma c’è sempre un 47% che arriva a punteggi “da sufficienza”. Sono comunque vini ben fatti, a cui forse manca solo un periodo più lungo di bottiglia dopo la sboccatura.

Trento Doc Pas Dosé millesimati

Più che categoria di punta siamo di fronte a quella che rappresenta in maniera reale i cambiamenti e i nuovi arrivi all’interno della denominazione: infatti, a parte i due Vini Top, tra i migliori dell’assaggio troviamo nomi nuovi e pochissimo conosciuti. Il fatto che “new entry” propongano dei pas dosé interessanti, dotati di buon corpo e profumi intensi,  parla chiaramente in favore della versatilità del vigneto trentino e delle sue possibilità di utilizzare sempre più vigneti di livello per le bollicine e non per i vini fermi. Ma oltre al vigneto serve la conoscenza tecnica e per avere diverse nuove aziende al top in tempi brevi vuol dire che anch’essa si attesta su livelli alti e condivisi. Quando i pas dosé millesimati sono buoni vuol dire che la denominazione ha un livello qualitativo alto e il fatto che il 72% dei vini degustati (rispetto al 53% dei senza annata…) abbia preso almeno 80 punti lo sta a testimoniare.

Trento Doc Extra Brut millesimati

Crediamo che l’Extra Brut, in generale, sia una tipologia in disuso o quasi e sinceramente non capiamo il perché. Forse perché non è né carne né pesce e magari fa più figo dire che hai un vino brut molto secco più che un extra brut o forse perché il successo dei Pas Dosé l’ha relegata in un angolo da cui i produttori non vogliono sforzarsi di farla uscire. Fatto sta che gli extra brut diminuiscono ovunque e anche i Trento Doc non fanno eccezione. Purtroppo non fanno eccezione nei numeri ma nella qualità dei vini, che mai come quest’anno non ha visto le punte (famosissime tra l’altro) a cui eravamo abituati. Certo la qualità media è  buona ma qui abbiamo sempre trovato almeno due-tre metodo classico da urlo, mentre quest’anno solo una buona qualità media (69% dei vini con almeno 80 punti) e poco più.

Trento Doc Brut millesimati

Anche tra i brut millesimati troviamo delle novità interessanti e finalmente la conferma che aspettavamo dal grande nome spumantistico locale. Però anche qui ci saremmo aspettati di più e il fatto di fermarsi in generale a dei buoni vini per noi è colpa anche e soprattutto dei brevi periodi di riposo dopo la sboccatura, che specie in vini con buona acidità e austerità (sempre meno presenti, questo va detto) sono realmente fondamentali. Inoltre secondo noi (e questo coinvolge anche e soprattutto le altre tipologie) si sente sempre più il bisogno di vin de reserve, che possono dare quell’ultima spinta che nobilita maggiormente il vino. Capiamo che servono spazi e attitudini da creare, ma per il futuro ci sembra una scelta quasi obbligata, specie per i senza annata. Nonostante queste “mancanze” i Brut hanno comunque la media dei vini sopra gli 80 punti più alta (75%), segno che qualche grammo di zucchero, specie in annate difficili, non ha mai ammazzato nessuno.

Trento Doc Rosé millesimati

Questa è la tipologia dove in futuro si dovrà lavorare di più. Il pinot nero non è certo un vitigno facile, però da una denominazione che ha del buon pinot nero a disposizione ci aspetteremmo di più. Per carità, quelli buoni ci sono ma oramai sono anni che aspettiamo “l’esplosione” di questa tipologia e dopo ogni assaggio dobbiamo rimandare all’anno successivo. Forse si vuole fare troppo e basterebbe puntare maggiormente sul frutto e la semplicità di esecuzione, ma questa è solo una nostra teoria tutta da verificare. Alla fine sono i numeri che parlano e dicono che solo il 62% (che non è poco, ma dal Trento Doc ci aspetteremmo di più) dei vini degustati ha raggiunto i fatidici 80 punti.

In conclusione

Forse la frase più giusta per chiudere quest’articolo l’abbiamo scritta qua sopra ed è “ci saremmo aspettati di più!”. In effetti i vini sono buoni, le nuove aziende di Trento Doc sono praticamente tutte di buono/ottimo livello, il marchio tira, i prezzi sono aumentati senza creare squilibri di mercato, ma se pensiamo a 5-6 anni fa vediamo che da una parte si è persa quell’austerità che poteva anche non piacere ma era caratteristica, senza però fare passi decisi verso una complessa piacevolezza. Non voglio fare pubblicità a nessuno ma con un esempio così importante in casa, estremamente caratterizzato e universalmente riconoscibile, il rischio di provare a “ferrarizzarsi” senza riuscirci in pieno è tangibile.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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