Stampa Estera:Wine Spectator, vol. 47. Quando il vino dell’anno prende un voto inferiore a molti altri5 min read

La copertina di questo numero é tutta per il Vino dell’Anno con il seguito dei suoi 99 cavalieri . E anche la rivista, a parte le consuete rubriche di GrapeVine con le pagine di commento dei redattori e la Buying Guide finale contiene poco altro: l’Annual Report sui rossi australiani, le bollicine americane, e il lungo elenco (cinque pagine fittissime)  dei vini che hanno riportato il “classic score”, ossia un punteggio di almeno 95/100 o superiore. Potrebbe perciò stupire che il vincitore  della competizione per il vino dell’anno non raggiunga neppure questo punteggio, perché il suo voto si ferma a quota 94.

E di fatti ben otto dei primi dieci vini della classifica di WS hanno ottenuto un punteggio più alto e uno solo un punteggio uguale, e se consideriamo i primi 30, quelli che lo superano sono 13 e altri sei hanno il suo stesso punteggio. Nessuna contraddizione, perché, come chiarisce l’Editor di WS, Martin Shanken, il concorso per il vino dell’anno non premia esclusivamente la valutazione più alta, ma la sua combinazione con il suo valore, cioé il  prezzo (più é basso, più cresce il valore del vino per quel dato punteggio) e la sua disponibilità, ossia la possibilità di trovarne abbastanza per comprarlo. Anche Sanderson, nella sua colonna, sottolinea che ben pochi vini Top 10 del 1988 potrebbero essere compresi nella classifica attuale, a mostrare i prezzi proibitivi e la scarsità del prodotto.

Il vincitore di quest’anno é , come lo scorso anno, un cabernet californiano di Oakville, il Double Diamond 2019 di Shrader: il suo costo é 80 dollari, relativamente pochi, considerando che i migliori cabernet californiani  costano mediamente più di tre  volte tanto (e talvolta anche 500 dollari), e le case prodotte sono state 10.000, il che attesta una certa sua disponibilità. Non é una sorpresa, visto che, da quando é nata questa speciale classifica (dal 1988),  vini americani (anzi californiani) si sono aggiudicati il primato ben 16 volte. Una sola volta, tuttavia, un vino é risultato vincitore con un punteggio più basso: fu nel 2002 quando vinse Guigal (la cui reputazione peraltro é legata soprattutto ai suoi Côte-Rotie) con il suo Châteauneuf-du-Pape del 1999. I vincitori con 100/100 sono stati invece solo quattro: due Porto Vintage del 1994 (Fonseca e Taylor-Fladgate), nel 1997, lo Château Latour nel 1993 e lo Château Rieussec  nel 2004. I vini italiani? Hanno vinto quattro volte: il Solaia di Antinori 1997, l’Ornellaia 1998, il Brunello Tenuta Nuova di Casanova di Neri 2001 e il Sassicaia 2015.

E quest’anno? Sono tre i vini italiani presenti nel gruppo dei primi dieci: il Brunello riserva 2016 di Fattoria dei Barbi (2°), il Tignanello 2019 (5°) e il Saffredi de Le Pupille 2019 (8°), e , tra  i cento della classifica, ce ne sono ben venti (principalmente toscani. Secondo tradizione): non proprio un cattivo risultato, visto che la Francia ne ha piazzati 18. La sezione dedicata ai Top 100, che occupa più della metà della rivista, é introdotta da un ritratto del Vino dell’Anno, delineato da James Molesworth: il winemaker di Shrader -che ha in lista un altro cabernet da 475 dollari-Thomas Rivers Brown,  é considerato uno dei maggiori talenti del vino californiano.  Seguono le 99 schede dei cavalieri, dal secondo classificato (il Brunello riserva della Fattoria dei Barbi), fino al n. 100, il DVO Napa Valley 2019, frutto della collaborazione tra Ornellaia e Dalla Valle: per lui 95/100 al “modesto” prezzo di 300 dollari.

Il Tasting Report dedicato ai vini australiani é firmato da MaryAnn Worobiec. Tecniche innovative di vinificazione hanno dato nuova brillantezza ai vini australiani, complice anche una buona stringa di annate, che , negli ultimi cinque millesimi non é mai andata al di sotto dei 92 punti, né a Barossa e nella McLaren Vale , né a Victoria. La qualità dei vini , anche nella vendemmia 2021, finalmente con un inverno umido dopo le due precedent,  molto secche, é decisamente in ascesa e in modo consistente, come mostra il fatto che il 45% dei 450 vini assaggiati alla cieca ha raggiunto o superato la soglia dei 90/100. Al Top della speciale graduatoria dei migliori il G5 Australia rosso non millesimato (é un multivintage) di Penfolds, con 99/100, che precede di un punto il mitico Shiraz Grange 2018. A quota 95 e oltre, fino a 97, sono altri 8 vini, in prevalenza shiraz, con poche eccezioni (un Pinot noir della Yarra Valley e uno Chardonnay di Margaret River.

Infine Tim Fish fa il punto sugli sparkling “domestici”, cioé di casa propria. La richiesta di questi vini é in aumento e anche la qualità dell’offerta ha alzato la barra. Del resto la collaborazione delle Maison storiche della Champagne (Roederer, Chandon, Mumm, Piper) non manca e , soprattutto in California (dalla Russian River Valley a Carneros), non mancano ottime cuvée. Per Fish il migliore é il Brut Green Valley della Russian River Valley millesimato (2013) di Iron Horse, con 95 punti, mentre si fermano un punto al di sotto sei sparklings, uno dei quali della stessa winery, due di Roederer, due di Schramberg e una del Domaine Carneros. Unica intrusione tra l’élite californiana, un rosé della Williamette Valley (Oregon) di Argyle: 93/100 la 2018 e , si badi, solo 30 dollari contro  gli oltre 100 degli spumante che lo procedono.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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