Stampa estera. Terre de Vins, n. 79: tanta Francia “secondaria”5 min read

Inizieremo parlando della Saga di questo mese, riguardante una famiglia protagonista nel terroir di Sainte-Foy Côtes de Bordeaux, appellation minore del bordolese da riscoprire, poi la verticale di Château St.-Jacques e l’itinerario nella “Rive Droite” del Rodano settentrionale.

St-Foye-de-Bordeaux si trova all’estremo est del vignoble  bordolese, al confine con la Gironde, la Dordogne e le Lot-et-Garonne, nell’Entre-Deux Mers: una serie di piccoli coteaux in parte ricoperti di vigne e in gran parte di boschi. Apparentemente una terra da caccia più che da vigna. I grands crus del Médoc, St.Émilion e Pomerol sono lontani e si tratta di un territorio poco conosciuto, finora solo per i suoi vini bianchi a buon prezzo. Ora le carte si sono rimescolate e, oltre ai bianchi, secchi e liquorosi, cominciano a prodursi anche interessanti blend rossi. Tra i produttori guida di questa appellation sono Yves e Nadine Hostens-Picant , affiancati  dalle figlie Charlotte e Valentine. Benché la proprietà, oggi  39 ettari, per il 60% dedicati alla produzione di rossi, abbia origini antiche , probabilmente risalenti al 1460, quando gli Hostens-Picant l’acquistarono nel 1986, era ridotta a povera cosa: un modesto fabbricato in cattive condizioni e una ventina di ettari di vigna, non in buone condizioni, le cui uve erano conferite a una cooperativa.

Chateau Hostens-Picant

Cambiato il nome , da Château Grangeneuve a Château Hostens-Picant, la tenuta fu rivoltata da capo a piedi, le vigne ristutturate con nuovi impianti che raddoppiavano la densità da 3300 a 6600 ceppi per ettaro, riformulando le parcelle e e analizzando dettagliatamente i suoli. La consulenza, dal 2004, di Stéphane Derenoncourt, che aveva fulminato Yves con uno dei vini da lui curato (lo Château Pavie-Macquin, Grand cru di St.-Emilion, del 2007), portò ad un veloce  rilancio del cru. Come afferma Nadine, nel corso dell’incontro-intervista, quando arrivarono, non c’era nessuno ad aspettarli, in un territorio sconosciuto e i vini ancora più sconosciuti. Il marito Yves, nativo di Arcachon, ma installato a Parigi con il Sud-Ouest nel cuore, non si fece sfuggire l’occasione quando lo vide per la prima volta, pur nelle pessime condizioni in cui si trovava e trovò subito l’accordo con i vecchi proprietari, che possedevano lo Château da 90 anni.

La verticale.  Di proprietà della Maison Louis Jadot, che lo acquistò nel 1996, lo Château  des Jacques è uno dei Domaines più importanti del Beaujolais: 45 ettari di vigna, di cui 36  nel Moulin-à-vent, famoso per i suoi Beaujolais “de garde”vinificati alla borgognona. Tra le numerose cuvée di Moulin-à-vent prodotte (altre sono di Fleurie e Morgon), TdV ha scelto quella del Clos de Rochegrès, di cui ha assaggiato 10 millesimi, dall’annata 1978 alla 2020. 1999 e 2016, con 19/20 (TdV oscilla, da un numero a una sezione all’altra della rivista, tra votazioni in ventesimi e in centesimi), hanno ottenuto i punteggi più alti: stupiscono la freschezza del vino del 1999, ormai quasi a quasi un quarto di secolo dalle vendemmia, e la tensione di quello del 2016, che riscatta un 2015 meno brillante. Tra le annate più vecchie, brilla la 1985, con 18.5/20, un vino molto gourmand ancora marcato dalla proverbiale freschezza di questo cru anche a distanza di decenni.

La prima delle altre degustazioni minori, della serie “Pépites”,riguarda  i vini da vigne a piede franco dei vari territori dell’Esagono, dal famoso Romorantin Provignage di Henri Marionnet al robusto L’Argnée 2019, Gigondas della Famille Perrin.

Tra vini i cui prezzi si aggirano ormai su quote piuttosto alte, di 60-70 euro, spiccano il Franc de Pied  Vin de France 2018 del Domaine de Lansac, di sofisticata rusticità (16 euro), e l’Anjou blanc 2019 del Domaine Delesvaux, ricco e complesso. L’altra degustazione è in effetti giusto un primo approccio rapido con i vini di Irancy, isola di pinot noir prossima a Chablis: un’appellation che non ha pari reputazione, ma, complice il riscaldamento climatico e un livello di prezzi ancora ragionevole, comincia ad essere maggiormente ricercata.

L’itinerario eno-turistico, come si è detto, riguarda i territori delle denominazioni della rive destra del Rodano settentrionale, la Côte-Rotie, naturalmente, Cornas , ma anche quelli dei bianchi più famosi della regione (Condrieu e quella miniscola di Château Grillet in primis  , Saint-Péray e Saint-Joseph). Il modello è quello classico: una introduzione succinta, con molte belle fotografie a colori, e sei schede (una per ciascun territorio considerato) di Domaines emblematici da visitare. Quali sono? Il Domaine de Lorient a St.-Péray, il Domaine Georges Vernay a Condrieu, la Cave de St.-Désirat, nel terroir di St. Joseph, la Maison Ferraton, nell’Hermitage ardéchois, il Domaine Courbis, tra St.Joseph e Cornas, e infine il Domaine Guigal ad Ampuis.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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