Stampa Estera. La Revue du Vin de France, n.6648 min read

“Prima” dei nuovi Premiers Crus di Pouilly-Fuissé in maggiore evidenza, poi  vi sono altri temi davvero succosi: il rilancio dei vini da vigne a piede franco, la grande verticale dei Pomerol, dal 1989 al 2005 e ancora la crescente fortuna delle Bandes Déssinées del vino, la “grande intervista” a Raimond de Villeneuve, che mette in vendita la sua proprietà dello Château de Roquefort.

Questa volta c’è davvero un problema di scelta: le mie saranno principalmente i vini da vigne a piede franco e i Premiers crus di Pouilly-Fuissé nel loro millesimo di esordio, poi  darò un cenno agli altri temi, a partire dalle verticale di Pomerol (e dell’AOC satellite Lalande-de-Pomerol), che in effetti non è una verticale, ma il resoconto di una maxi-degustazione di Pomerol di diversi Châteaux  dell’arco di annate indicato.

”La magia dei grandi Bordeaux a maturità raggiunta” è il sottotitolo  del report di Pierre Citerne. Vini degustati naturalmente alla cieca,  di otto annate, dalla 1998 alla 2005, più  alcuni della difficile annata 1996 e dell’armoniosa annata 1989.Si tratta di una selezione di crus che si sono resi disponibili e comunque non su tutte le annate considerate. Tra  le grandi denominazioni bordolesi, Pomerol attrae per il suo grande charme aromatico e per il suo carattere vellutato, riconoscibili già nella prima giovinezza, che vengono rinforzati dal passare del tempo. Il tempo però può in certi casi accentuare certi squilibri , sottolineando alcune  imperfezioni. Paradossalmente è soprattutto nei grandi millesimi più favorevoli (come 1998, 2000, 2005) che si tende a strafare e ad essere penalizzata è  la tentazione di fare di più, col rischio di fare troppo (eccessi di maturità, estrazione, affinamento), sicché è possibile incorrere in casi di ossidazioni precoce, con note di etanale, brodo, salsa di soja. Le migliori riuscite? Su tutti i meravigliosi  Château Lafleur (100/100) e Vieux Château Certan  (99/100) della magnifica annata 2000.Nell’annata 2005- una delle migliori-  raggiungono i 96/100 lo Château l’Evangile  e un punto in meno lo Château Saint-Pierre, nel capriccioso  2004 emerge lo Château Vieux Maillet con 94/100; calda e sensuale l’annata 2003, con al vertice lo Château Lafleur (96/100). Impressionanti  lo Château La Conseillante e lo Château L’Evangile  del 2001 (rispettivamente 98 e 97/100). Infine, tra i Pomerol delle annate più vecchie, si distinguono, con punteggi elevatissimi, lo Château L’Eglise-Clinet 1989, vicino alla perfezione, con  99/100,  e l’assai meno conosciuto  Château La Clémance 1998 (97/100).

C’è parecchia Borgogna in questo numero: la visita di  Casamayor al Domaine Jean-Paul e Benoit Droîn, a Chablis, con annessa verticale del Premier cru Vaillons, dal 2002 al 2020 (98/100 a 2002, 2007 e 2009),  il confronto “une appellation, deux styles” del Premier cru Les Caillerets di due vignerons  di Chassagne-Montrachet,    i Domaines Paul Pillot e Morey-Coffinet , visti da Roberto Petronio,  il terroir di Santenay analizzato da Sophie de Salettes. Il resto vede protagonista il terroir di Bordeaux:”verticale” di Pomerol a parte, Château Climens 1943 è la bottiglia “mitica” di questo mese , mentre  uno Château Haut-Brion di una piccola annata, la 1992, è oggetto del “dibattito” tra Jean-Baptiste Thial de Bordenove e Jérémy Cukierman.

Eccomi ora ai Premiers crus di Pouilly-Fuissé al loro debutto con i vini dell’annata 2020. Un classement ben riuscito, afferma la RVF, ed è difficile darle torto. Sono occorsi 15 anni di mobilitazione esemplare da parte dei produttori per correggere quello che essi chiamavano “l’errore della storia”, cioè di non aver attribuito nessun Premier cru a questo territorio magnifico. Tutto è stato preparato con la massima cura e anche il “cahier de charges” è tra quelli più severi e meglio costruiti ,  con criteri qualitativi ammirevoli. E, al loro debutto, i 22 nuovi Premiers crus del Pouilly-Fuissé , distribuiti in quattro comuni (Vergisson, Pouilly-Solutré, Fuissé e Chaintré), hanno  mostrato appieno il loro valore. La degustazione della RVF, presentata da Christian Martray, ha  riguardato tutti i diversi climat “promossi”, comune per comune, e i risultati sono stati molto elevati. La sorpresa è stata quella di Vergisson, da sempre cenerentola dell’appellation: il cambiamento climatico ha nettamente favorito dei cru di grande qualità, ma che avevano fino ra sofferto le difficoltà di raggiungere una piena maturazione. Punteggio Top di Vergisson , con ben 96/100, è stato quello del climat Les Crays del Domaine Carrette, ma cuvée eccellenti sono quelle presentate  da Gilles Guerrin,  Merlin (magnifico il Sur la Roche), il Domaine Saumaize-Michelin (con un eccellente La Maréchaude), Daniel et Julien Barraud, Jacques Saumaize, Christophe Cordier, Eric Forest, il Domaine Verget.

Tra i Premiers crus di assemblage, senza menzione dei climat di provenienza, 96/100 anche per il mago del Maconnais, Guffens-Heynen. Nel comune di Pouilly-Solutré, spiccano le cuvée provenienti da Aux Chailloux: 93-94/100  per quelle del Domaine Corsin e del Domaine Cheveau,  a Fuissé il punteggio più alto sono i 94-95/100 raggiunti daslla Tête de Cru Clos de Jeanne del Domaine J.A. Ferret, elaborato con uve del climat Les Perrières, mentre spuntano 94/100 il Vers Cras  del Domaine Saumaize-Michelin, molto brillante su tutte le sue cuvée,  e il Les Vignes Blanches di Christophe Cordier. Nel comune più a sud, Chaintré, infine, raggiungono i 92-93/100 il Clos du Monsieur Noly del Domaine de la Creuze Noire e l’Aux Quarts dello Château des Quarts.

Eccomi finalmente all’articolo che mi ha maggiormente interessato: l’inchiesta di Idelette Fritsch sul grande ritorno delle vigne a piede franco e della febbre che sembra aver preso un numero crescente di produttori di tutta Europa. Dopo il grande flagello che nella seconda metà dell’Ottocento distrusse quasi interamente il vigneto d’Europa, dopo una fase di resistenza e di transizione, nella quale furono sperimentati diversi sistemi di difesa risultati inefficaci, l’impianto su piedi di viti americane resistenti  si affermò dappertutto. Ora però, dapprima in modo sparso , poi  via via in misura sempre più consistente, i tentativi di ricreare delle vigne a piede franco come quelle di una volta stanno diventando più numerosi. Le ragioni sono molte: la ricerca di un gusto forse perduto, la maggiore resistenza al riscaldamento climatico e – si sospetta- alla pericolosa esca che minaccia le vigne , l’ apparentemente  straordinaria capacità di dare vini senza eccessi alcolici anche nelle annate più calde, nelle quali le vigne su piede americano tendono a sballare, forse, da ultimo , anche il fatto che, come dice Louis-Benjamin Dagueneau, figlio del grande Didier,  che produce il suo famoso Asteroïde da una vigna a piede franco,  i vini di questo tipo sono ormai vini “da intellettuali”.

Vite su piede franco

Una seconda parte dell’inchiesta, riportata nella sezione finale della rivista, dedicata alle grandi degustazioni, riporta una insolita degustazione, nella quale sono stati confrontati i vini tratti da vigne tradizionali o a piede franco dello stesso terroir , che non differiscono tra loro per nessun’altra caratteristica. Tra di essi anche due note aziende dell’Etna. Il confronto è illuminante:  i vini da vigne a piede franco risultano avere un maggior “éclat”: più puri, più complessi, con tannini più eleganti e fini, pur se di colore meno carico, meno alcolici, con forse  meno “carne”, ma senza alcuna impressione di immaturità. Quanto ai bianchi , quelli da vigne a piede franco, sono più “droits”, più diretti, ma senza austerità, con l’acidità che integra perfettamente gli zuccheri residui. Nell’articolo sono riportate anche alcune esperienze  di vignerons che hanno tentato la strada delle vigne a piede franco: una storia anche di insuccessi, di casi in cui, dopo alcuni anni di esperienza esaltante, la fillossera ha ripreso il sopravvento, spazzando via tutto in breve tempo.

Vigneti

La chiave, oggi come un tempo, è il suolo, come mostrano i rari casi di vigne  sopravvissutte al grande flagello: come insiste Olivier Yobrégat, la sola protezione  è costituita da suoli senza argille, o comunque con percentuali di argille  inferiori al 3%, in certi casi (a seconda di vari altri fattori concorrenti)  fino al 7% ma non oltre. Se si supera il 7% la greffe è necessaria. Finché dura, perché la fillossera è sempre in agguato, e i cambiamenti climatici potrebbero creare delle situazioni di pericolo al momento imprevedibili. Quello che è certo è che i vignerons sono sempre più affascinati dal ritorno  alle vigne a piede franco, e sembrano pronti a correre i rischi, tanto che in  Grecia e la Georgia, nelle quali le vigne a piede franco sono proibite per proteggere il patrimonio vitivinicolo nazionale, vi è chi vorrebbe fare in modo di poterle nuovamente autorizzare.  Ora  si è persino costituita con la spinta entusiasta di Loïc Pasquet , il primo a impiantare vigne a piede franco nel bordolese, una nuova associazione ,denominata “Francs de pied”, nel Principato di Monaco, col sostegno del Principe Alberto II , e si è elaborato un protocollo che permetterà di confrontare in modo scientifico  i vini tratti dai due tipi di colture. Molti personaggi di primo piano sono stati sollecitati a farne parte  e molti di essi hanno aderito con entusiasmo al richiamo: tra questi anche il nostro prof. Fregoni , Presidente onorario dell’OIV.  Jacky Rigaux ne è entusiasta. Vedremo.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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