Stampa Estera: La Revue du Vin de France, n.658.Pinot nero di Borgogna e di Alsazia.9 min read

Il titolo grande di questo numero- “Bourgogne: le palmarès inédit”- è per l’anteprima dell’annata 2020 in Borgogna,  poi c’è spazio per i pinot noirs alsaziani, i rimages di Banyuls, e Cahors, alle origini del malbec. Poi naturalmente tanto altro, in una copertina come sempre affastellata dai temi più vari.

Prima di passare alla degustazione dei vini dell’annata 2020 in Borgogna e ai poco conosciuti Pinot noir alsaziani, farò giusto un rapido cenno ad alcuni degli altri servizi: l’intervista che apre il numero con Miren e Nicolas de Lorgeril, vignerons nel Cabardès, alla ricerca di Languedocs più femminili, la pagina dedicata all’incontro con i  grandi vignerons del futuro (in questo caso, le promesse Sophie e David Devynck, con il loro Clos Savages, tra Macon e il Beaujolais), la visita di Pierre Casamayor al Domaine des Terres Dorées, a Charnay, nel Beaujolais, con la sorprendente verticale della nota cuvée L’Ancien, che Jean-Paul Brun produce con le uve di una vigna di più di 40 anni su un suolo molto calcareo a Chaintré:  all’assaggio le annate dal  2008 al 2020. Ancora più sorprendenti le valutazioni assegnate a questo pur ben reputato Beaujolais: 98/100 al vino dell’annata 2009, 97/100 a quello del 2020, e 96/100 a ben quattro annate (2010,2011,2015 e 2018).

E’ molto interessante la nuova  puntata del confronto tra due stili di una stessa appellation: Roberto Petronio ha messo di fronte due vignerons di Banyuls che perpetuano la tradizione dei rimages, i Domaines de la Rectorie e de La Tour Vieille. Ancora: la bottiglia “mitica” di questo numero è uno  Château-Chalon di Jean Macle, millesimo 1986, definito l’”indistruttibile”, e il dibattito a due tra Karine Valentin e Jeremy Culderman su una bottiglia di Côte-Rotie, Les Binards 2020 della Maison Stéphan: scelta dalla Valentin, tratta da uve sui graniti della Côte Blonde, senza solfiti aggiunti e vinificata con la macerazione carbonica (come sempre, opinioni diverse, evviva). Chiudo questa parte con una rapidissimo accenno all’articolo di Sophie de Salettes sul terroir del Cahors, culla riconosciuta del malbec. Distrutto dalla fillossera, il malbec è oggi quasi scomparso dagli uvaggi bordolesi, almeno quelli delle grandi AOC, ma  sta riprendendo quota nella sua terra d’origine dopo il grande successo ottenuto in Argentina , specie nella regione di Mendoza. Oggi concorrono alla appellation 45 comuni del Lot, e le superfici vitate sono poco meno di 3.500 ettari su 21.700 rientranti nella denominazione. Ovviamente il malbec con il suo 85% fa la parte del leone tra le varietà coltivate, anche se  merlot e tannat sono le altre varietà a bacca rossa ammesse. Il malbec è una varietà esigente e va protetta contro gli eccessi della siccità, ma quando raggiunge a piena maturazione,  se le rese non sono troppo alte, è capace di dare vini di vera nobiltà.

Cahors

Eccomi ora agli articoli sui quali mi soffermerò un po’ di più: i vini borgognoni del 2020 e i pinot noir d’Alsazia 

Borgogna 2020. Il denso report  di Jean-Emmanuel Simond e Roberto Petronio, lo preciso subito, riguarda la sola Côte d’Or. Niente Chablis, quindi, né Côte Chalonnaise o Maconnais.  E’ suddiviso in una introduzione generale, e  quattro diverse sezioni: i 24 Domaines al firmamento della Côte de Nuits, gli sfidanti, i signori della Côte de Beaune e infine coloro che sono vicini all’Olimpo della Côte de Beaune. Naturalmente non potrò occuparmi nel dettaglio di ciascuna sezione di questo Palmarès, perché richiederebbe troppo tempo e troppo spazio. Mi limiterò a rilavare che ci sono alcune notevoli omissioni, che non è precisato se dipendano da una valutazione dei degustatori o semplicemente perché non hanno avuto modo di assaggiare i vini di tutti i Domaines. Per la Côte de Nuits, ad esempio, mancano nel gruppo delle stelle, il Domaine Leroy e il Domaine Romanée-Conti, e, anche solo limitandomi ai Domaines a cui le Guide Vert della RVF da anni attribuisce la massima valutazione (3 stelle), mancano il Domaine  de l’Arlot e il Domaine Confuron-Cotedidot . Fa piacere comunque constatare la presenza nel gruppo di altri Domaines  emergenti (per la verità ormai emersi), come il Domaine Duroché, il Domaine Lignier-Michelot del giovane talento Virgile o il Domaine Tremblay. Sorprende invece un po’ la mancata citazione, almeno nella categoria degli sfidanti  il Domaine Arnoux-Lachaux del recentemente incoronato miglior giovane vigneron del mondo, Charles, i cui vini hanno già raggiunto quotazioni altissime. Assenze illustri anche per la Côte de Beaune.

Mi limito a citare, e non mi sembra poco,  il solo Domaine Coche-Dury. Tra le valutazioni altissime delle migliori cuvée, sono numerosi i 100/100: tra i rossi della Côte de Nuits gliChambertin di Dugat-Py e Armand Rousseau (solo 99-100/100 quello di Perrot Minot), il Clos des Lambrays, il Musigny di Roumier. Nella Côte de Beaune raggiungono i 100/100 i Montrachet del Domaine Leflaive e del Domaine Comtes Lafon, ma alcuni Chevalier-Montrachet si avvicinano a 99 o 98/100.

La caratteristica dominante della vendemmia del 2020, diversamente da quelle del 2019 e del 2018,  è stata più la siccità che il calore. E’ questa all’origine della sua precocità (è cominciata il 18 agosto per arrivare all’8-10 settembre secondo le diverse zone), e della riduzione delle rese , soprattutto delle vigne di Pinot noir (tra i 20 e i 25 hl/ha), mentre quelle degli chardonnay si sono mantenute intorno ai 40. I primi mesi dell’anno sono stati più temperati e umidi, sicché la germogliazione  è cominciata presto, a fine marzo. Poi le ultime piogge si sono avute a maggio e giugno, abbastanza piovosi, con un periodo di raffreddamento intorno al 20 maggio, impattando sulla floraison, poi luglio e agosto sono stati molto caldi e secchi, ma senza picchi estremi di calore come nelle due annate precedenti.  Grande la concentrazione delle uve e delle acidità: di fronte a valori contenuti di quella malica , l’acidità tartarica si è mantenuta costante nonostante il rapido aumento del livello di zuccheri.

I risultati sono eccellenti, con vini sorprendentemente freschi pur in un’annata calda e molto secca. La vigna sembra essersi adattata al cambiamento climatico che  i vignerons hanno ben interpretato: più vendange entière per accrescere la freschezza gustativa e ottenere uno stile più slanciato, estrazioni meno spinte, privilegiando rimontaggi con lo stretto indispensabile di pigeage. In diminuzione un po’ dappertutto sono anche le percentuali di legno nuovo nell’élevage, mentre sono sempre più numerosi i Domaines che impiegano per una parte dei loro vini giare, anfore e recipienti di grès. Nel 2020 la gerarchia dei terroirs emerge con grande chiarezza, pur in una certa eterogeneità , specie tra i rossi, con disparità spesso notevoli tra i vari Domaines. Quanto ai vini bianchi, l’annata 2020 risulta molto felice anche per loro. Il potenziale di invecchiamento è eccellente, anche se i vini del 2020 appaiono più accessibili rispetto a quelli del 2019 e ancor più del 2018. Il riscaldamento climatico sembra in definitiva essere stato finora ben gestito e aver avuto più effetti positivi che negativi. Oltre  alla crescente carenza di acqua e al rischio sempre incombente di eventi avversi, come  gelate e grandine, le preoccupazioni principali sono oggi due: la crescente senescenza delle vigne  (in particolare di quelle con alcuni tipi di portainnesto) e il presumibile  ulteriore aumento dei prezzi , spinto sia dalla riduzione dei volumi che dal finora costante aumento della  domanda .

schoenenbourg, Alsazia

La degustazione dei Pinot nero d’Alsace, presentati da Jean-Emmanuel Simond. Potrebbe un po’ stupire questa disamina in una regione famosa soprattutto per i suoi  grandi bianchi aromatici, nella quale la cultura del vino rosso è ancora da costruire, o ricostruire, perché, nel Medioevo il pinot nero , probabilmente proveniente dalla vicina Borgogna, era già menzionato nel XII secolo. Poi è venuto un lungo periodo di  declino: alla fine degli anni ’60 il pinot nero rappresentava solo il 2% del vigneto alsaziano, oggi, dopo i nuovi impianti degli ultimi anni, arriva al 10%. Escluso per il momento dalla   classificazione a grand cru, il pinot nero potrebbe esservi ammesso, almeno in alcuni di essi ,a seguito di una domanda di autorizzazione effettuata alcuni anni fa dai produttori dei grand cru Hengst,Kircheberg de Barr e Vorbourg, almeno nei primi due. Il riscaldamento di questi ultimi anni ha giovato non poco alla coltivazione di questa varietà, consentendo finalmente una maturazione ottimale delle uve . Grazie anche alla maggiore esperienza acquisita da numerosi vignerons, oggi esistono diversi eccellenti esempi di pinot neri alsaziani, meno diluiti ed erbacei di quelli di in tempo e con gradazioni alcoliche adeguate. Dove? Principalmente sui terroir a predominanza calcarea o marnoso-calcarea con parti argillose, e non solo in quelli già classificati come grand cru, anche se manca ancora una mappa dettagliata. Ovviamente la via della qualità, già oggi più vicina a quella dei pinot noir borgognoni, è ancora tappezzata di insuccessi, soprattutto  a causa di élevages eccessivi in legni non adatti. Complici tre vendemmie molto positive, la 2019 innanzitutto, per la finezza del frutto e i tannini ben armonizzati, la 2020 ,  di notevole freschezza e ricchezza aromatica, e, in misura leggermente minore, la 2018,  che ha dato vini più colorati e stutturati, i vini testati nella degustazione hanno permesso di individuare molte piacevoli sorprese.

 I migliori della degustazione? Al top c’è un Pinot nero di Albert Mann, il  Les Saintes Claires 2019, 50% vendange entière, di grande purezza e profondità. A quota 95 sono il Coeur de Bollenberg 2019 di François Schmitt e il Bollenberg Luft di Valentin Züsslin, appena un soffio al di sotto (94-95/100) sono un’altra cuvée di Züsslin, la Bollenberg Neuberg del 2017, e il Vieilles Vignes 2019 del Domaine Barmès-Buecher. Ben 8 altre cuvées a 94 punti e oltre una trentina tra i 91 e i 93 testimoniano un eccellente livello di qualità, in parte forse anche non atteso.

C’è poco altro da aggiungere: le notizie, le numerose rubriche, i commenti dei columnist (Cukierman sulla necessità di dare una visione all’INAO, a proposito della crisi di numerose appellations).

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


LEGGI ANCHE