Stampa estera. Decanter, vol. 47-2021: Le Americhe, Montrachet e la Puglia7 min read

Sono le Americhe al centro di questo numero (“Scopri le Americhe”): ad esse, introdotti dall’editoriale di Maillard  che ne celebra la bellezza, sono dedicati quattro articoli, oltre ai due Panel Tasting . Il resto-anticipano i titoli di copertina- sono per i vini della collina di  Montrachet,  i rossi pugliesi da uve primitivo e le “scoperte” più promettenti della redazione. In più c’è l’ampio supplemento dedicato ai DWWA- gli awards di Decanter- 2021.

Dunque le Americhe, del Nord e del Sud: il primo articolo, a firma di Patricio Tapia per il Sud America e Jordan McKay per il Nord, è dedicato ai winemakers apripista dei due continenti. Si tratta di dieci brevi ritratti di innovatori , veri e propri “trendsetters”, che, nei rispettivi territori, si distinguono per la loro audacia e il loro desiderio di ampliare i confini: cinque sudamericani (due ciascuno per i paesi guida, Argentina e Cile, e uno per l’emergente Uruguay) e cinque del Nord America (tre californiani e due della nuova frontiera dell’Oregon). Tra questi sono anche due donne: la californiana Cathy Corison col suo Cabernet di St.Helena, nella Napa californiana, e Mimi Casteel, con i suoi vini da varietà borgognone a Hope Well sulle Eola-Amity Hills, nella Williamette Valley (Oregon).

Vigneti cileni

Il primo degli articoli che seguono riguarda i cabernet  sudamericani (in pratica argentini e cileni) con i picks di Alejandro Iglesias : il Cile si aggiudica la sfida con tre suoi vini col più alto punteggio (98/100 il Don Melchor di Concha y Toro, 97 La Parcelle 8  Vieilles Vignes Apalta-Conchagua di Lapostolle, 96 l’Alpha M, altro cabernet di Montes proveniente dallo stesso territorio).Tra i vini cileni scelti da Iglesias ce ne sono altri 9 (su 20), con punteggi compresi tra 93 e 94/100. Quanto ai gauchos, occupano le 8 posizioni residue: al vertice sono un cabernet della Patagonia, di Bodega Noemia, e due di Mendoza, il Primus di Salentein (Uco Valley) e il Volturno di Vina Cobos, tutti a quota 95.

Il terzo articolo della serie è il dettagliato report di Amanda Barnes (recente autrice di una Guida ai vini del Sud America) sulle novità provenienti dall’ emergente Uruguay, dal titolo significativo di “Uruguay oltre il tannat”, il vitigno col quale è stato finora identificato.Sono infatti in ascesa, tra le varietà a bacca bianca, alvariño e viognier, mentre tra i rossi si fanno strada pinot noir e cabernet franc. Qui i figli degli immigrati hanno portato con sé i vitigni dei loro paesi  e li stanno impiantando con successo.

Tannat

Si tratta ancora di poco meno di 6.000 ettari distribuiti tra circa 160 cantine. Il tannat è ancora la varietà dominante, con 1.600 ettari, seguita dal moscatello di Amburgo, con poco più di 1.000 ettari, poi merlot e ugni blanc, ma, per quanto ancora con estensioni limitate, stanno avendo ottime riuscite l’alvariño (69 ettari) e il cabernet franc (237). E c’è pure il nebbiolo, la varietà preferita da Pablo Fallabrino: il suo Notos 2018, con 91/100, è compreso tra i dieci vini più interessanti scelti dalla Barnes a base di vitigni diversi dal tannat. La spinta all’innovazione è forte, come testimoniano il crescente successo dei pet-nat e in genere degli spumanti (93/100 per il 3D Undisgorged sur Lees di Vina Edèn) e l’impiego della macerazione carbonica sul tannat. Il punteggio più alto della degustazione è stato però raggiunto da un alvariño, un Single Vineyard di Garzón del 2020 (94/100).

L’ultimo dei quattro articoli di questa sezione monografica dedicata alle Americhe conduce i lettori in un itinerario di cinque stati del Nord America ancora poco conosciuti per il loro vino, che non ha raggiunto ancora la popolarità che esso ha in California, Oregon e lo stato di Washington: l’Idaho, la cui Snake Valley si trova alla stessa latitudine della Rioja e del Rodano settentrionale, il Colorado, il Texas, la Carolina del Nord e il Michigan. Di ciascuno sono indicate le cantine più interessanti e gli indirizzi suggeriti per mangiare e dormire.

Pinot nero

Prima di tornare in Europa con i Montrachet (e fratelli minori) e i primitivo pugliesi, concludo il capitolo americano con un cenno ai due panel tasting di questo numero, dedicati rispettivamente ai malbec argentini e i pinot nero cileni. Quanto al primo, sono stati degustati 87 vini delle ultime annate, dal 2014 al 2020, ma prevalentemente concentrati tra 2018 e 2019. Gli assaggi confermano il raggiungimento di un buon livello da parte  della maggioranza delle cuvée, come indicano i 53 vini “altamente raccomandabili”, compresi cioè tra i 90 e i 94/100. Solo un vino è stato giudicato “Fair” e nessuno “Poor” o difettoso. In compenso ci sono quattro cuvée alle quali è stato riconosciuto un livello “oustanding” (almeno 95/100): difatti, a quota 95 si collocano tre malbec da vigna singola della Uco Valley, di gran lunga il territorio più premiato, rispettivamente di Bemberg (2014), Benegas (2018) e Domaine Bousquet (2019), e uno della Canota Valley di Matervini (2017).

Il pinot nero non è la tipologia di vino cileno più conosciuta, ma la sua qualità è in grande ascesa, soprattutto nel territorio di Aconcagua, non a caso quello maggiormente rappresentato nel gruppo degli assaggi migliori: su 55 vini delle ultime annate, due hanno raggiunto quota 95, la minima per accedere alla fascia degli “outstanding” (95-97/100): uno è un pinot di Atacama dell’annata 2018 di Ventisquero, e l’altro una Gran Reserva di Casablanca,del 2019 , di Terranoble. Un solo vino è risultato difettoso (“faulty”), mentre la maggior parte delle cuvée assaggiate si colloca tra i vini “raccomandati” (28, con punteggi di 86-89/100) e “altamente raccomandati (15, valutati con un punteggio compreso tra 90 e 94/100): per la maggior parte sono concentrati a quota 90, e due sole cuvée hanno raggiunto i 92/100.

I soli due articoli dedicati ai vini del Vecchio Mondo sono quello di Charles Curtis sui grand cru della collina di Montrachet e quello immediatamente successivo di Alessandra Piubello sui primitivo di Puglia.

Il primo dei due, dopo aver richiamato brevemente quali sono i quattro  grand cru fratelli minori del sovrano assoluto, il Montrachet, compresi  tra Puligny-Montrachet e Chassagne-Montrachet (Chevalier, Bâtard, Bienvenues- Bâtard e Criots-Bâtard, tutti seguiti dal suffisso Montrachet), averli situati nel territorio interessato e averne richiamato le caratteristiche essenziali, procede alla individuazione dei migliori assaggi: al vertice, col punteggio di 98/100, sono il Montrachet  2019 di Fontaine-Gagnard e lo Chevalier-Montrachet 2020 di Pierre -Yves Colin-Morey (in verità assaggi un po’ precoci per questi due vini); subito dopo, con 97 punti, il Montrachet di Blain-Gagnard 2020, quindi a quota 96 un quintetto costituito dal Montrachet 2017 di Jacques Prieur, il Bâtard e il Bienvenues 2019 del Domaine Leflaive, ancora un Bâtard 2020 di Jean-Noël Gagnard e un Bienvenues (il più vecchio) del 2015 di Jean-Claude Bachelet. Nessun assaggio, peraltro, ha ottenuto un punteggio inferiore a 94.

La Piubello descrive il primitivo pugliese, varietà, come è noto, con una lunga e affascinante storia, sicuramente non nativa della Puglia, ma talmente radicata e diffusa nel suo territorio da esserne diventata tra le più identitarie e distintive del mondo. La sua distintività si esprime chiaramente anche tra quelli dei due terroir storici del primitivo pugliese: quello potente e solare di Manduria e quello più fine ed elegante (anche se non meno potente e alcolico) di Gioia del Colle, accomunati da un frutto lussureggiante.

Primitivo a Gioia del Colle

Buonissimi da giovani ma capaci di lunga resistenza al tempo. Nel confronto tra le due denominazioni, Gioia del Colle cede il vertice a Manduria e al suo fuori-quota Es di Fino (97/100 al suo 2019), ma si impossessa saldamente delle altre posizioni migliori (otto sui dieci punteggi più alti), in primis un lussuoso sestetto saldamente installato a quota 94. I nomi sono quelli ben conosciuti dagli amatori pugliesi: Fatalone, Pietraventosa, Polvanera, Plantamura, Chiaramonte, Tre Pini, prevalentemente delle annate 2018 e 2019. Nel gruppo dei venti migliori sono anche tre Primitivo del Salento, tutti con 90 punti: si tratta di quelli di Carvinea, Schola Sarmenti e il Torcicoda di Tormaresca.

Cosa resta? I “Regulars” (le notizie di Uncorked, le lettere, le pagine dei columnist: segnalo quella di Jefford sull’importanza della “soil signature”), le pagine dedicate agli spirits (in evidenza la rinascita del rye), la gastronomia (il pairing con l’opulento Napa Burger), le pagine dell’Education  con i tips degli esperti, le dritte per i collectors (è il tempo di tornare al Bordeaux?), gli assaggi dei week-day e dei week-end wines).

E naturalmemte il corposo supplemento dei DWWA, i trofei di Decanter per il 2021, di cui parlerò a parte.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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