Stampa estera.Decanter vol 46: spazio all’Italia!8 min read

“Italy. The taste of La Dolce Vita. Brunello, Barolo, Barbera, Friuli, Soave & more”. Sta tutto qui, in questo titolone, il contenuto del fascicolo, va da sé, interamente dedicato all’Italia e ai suoi vini. In verità, quasi tutto, perché vi sono due  “enclaves” che fanno riferimento ad altri paesi , come la  selezione di bianchi greci premiati dal Decanter World Wine Award (DWWA) e l’itinerario di viaggio alla ricerca delle migliori cantine inglesi. Poi naturalmente ci sono le rubriche.

Ma procediamo per gradi, partendo dalla presentazione generale del mondo del vino del Belpaese fatta da James Button, Regional Editor di Decanter per l’Italia. Scrive Button:  per l’Italia è cominciata “una nuova età dell’oro,  con una qualità immensa abbinata a una quantità senza pari nel resto del mondo”. E poi una ricchezza di varietà indigene e internazionali che non hanno rivali, spalmata in un terroir multifaccettato, che si estende dalle aree più fresche di altitudine, ad altre più generose e solari. E i consumatori premiano tutto ciò acquistando sempre più vini italiani come mai prima. Se poi aggiungiamo quanto viene detto più avanti nella sezione dedicata al Market, nella quale si parla della grande spinta verso l’alto del vino italiano nel mondo del fine wine e del collezionismo, tale da minacciare ormai il primato consolidato della Borgogna, c’è di che  inorgoglirsi un po’,  no?

Quali sono le regioni del vino italiano scelte da Decanter? In effetti principalmente quelle del Nord, anche se non più limitate al binomio preferito degli anglosassoni Piemonte-Toscana. Naturalmente il primato è ancora loro. Il Piemonte è presente con la retrospettiva di Stephen Brook sull’annata 2013 del Barolo e la selezione delle  Barbera più brillanti di Micaela Morris, mentre lo spazio della  Toscana comprende la selezione di Monty Waldin dei grandi vini di questa regione delle diverse annate dal 2010 ad oggi pronte da stappare per essere apprezzate al meglio, e il Panel Tasting del Brunello 2015, che è uno degli articoli su cui soffermarmi che ho scelto (c’è poi anche un servizio dedicato al cantante Sting, che mi limiterò a menzionare per gli ammiratori).

Dopo c’è spazio ancora per il Soave (Richard Baudains indica i suoi migliori 20) e per i bianchi friulani da varietà native (ne parla Michael Garner). Unica regione del Sud presente in questa rassegna sul vino italiano, è la Sicilia vista da Carla Capalbo. Trasversale alla distinzione nord-sud è invece l’articolo di Aldo Fiordelli – il secondo articolo  che abbiamo scelto-  dal titolo “In rarified air”, dedicato ai vini d’altura dalla Val d’Aosta alla Sicilia dell’Etna. Poi non potremo non fermarci un attimo anche sul Barolo visto da Brook.

Partiamo dunque dal Brunello. Sotto esame è l’annata 2015, un’ ottima annata, sorprendentemente “fruit-forward”, accessibile, pronta per essere goduta giovane. Valutazioni altissime, con ben 10 “Outstanding” (95-97/100) su 113 vini assaggiati, ma nessun “Exceptional” (98 o più). Perché? Perché i vini, pur molto buoni, sembrano aver già esaurito il loro potenziale di crescita ed alcuni di essi sembrano già troppo maturi per  far pensare ad un invecchiamento prolungato, quale ci si dovrebbe attendere da un grande Brunello. La 2015 è stata la prima annata, dopo la 2012, ad aver ottenuto le cinque stelle dal Consorzio, ma alcuni giudici le ritengono un premio eccessivo. In compenso si tratta di Brunello molto accessibili: per usare la curiosa espressione di Ben Robson, sono come dei “puppy dogs” (cagnolini) che  ti leccano i talloni per farsi accarezzare. Ma chi cerca  grandi vini da mettere nelle sue cantine non vuole esattamente questo.

Nulla da dire però sulla loro piacevolezza: 97 punti per il Donna Rebecca di Ridolfi, un Brunello della zona di Mercatali con le vigne sul pendio di nordest della collina di Montalcino, che fa 90 giorni di macerazione, apprezzato tre giudici per i suoi solidi tannini maturi. A quota 96 è un terzetto costituito da Campogiovanni, Santa Giulia e Tassi di Franci Franca. Poi sei validi “outstanding” a 95 punti. A confermare che si sia trattato di una vendemmia generalmente molto buona, sono gli 88 Brunello “Highly recommended”, ossia che hanno raggiunto o superato i 90 punti (fino ad un massimo di 94), in pratica quasi l’80% dei vini degustati, insieme col fatto che nessun vino è risultato solo “commended”, “fair” , “poor” o “faulty”. Insomma nessun campione mediocre o difettoso.

Torniamo ora indietro all’articolo di Fiordelli che apre questo numero, dedicato ai vini di altitudine. Innanzitutto quando è che una vigna viene riconosciuta come di altitudine? Secondo il CERVIM (European Centre for Research, Environmental Sustainabiliy and Advancement of Mountain Viticulture), occorre che essa si trovi ad almeno 500 metri di quota. Più è alta la quota, più fresco il microclima: occorre infatti  salire di almeno 100 metri perché la temperatura si abbassi di un grado.

Le vigne di altitudine hanno alcune caratteristiche che le rendono particolarmente ricercate, soprattutto in seguito al riscaldamento climatico, nonostante i maggiori costi di lavoro per le difficoltà di impiego di mezzi meccanici. Temperature più basse permettono una stagione di maturazione più lunga, accrescendo la complessità aromatica  e permettendo una migliore concentrazione e maturazione fenolica delle uve, a seguito della esposizione più prolungata  ai raggi ultravioletti. Inoltre i suoli collinari sono generalmente meno profondi, limitando il vigore della vigna e incrementando la qualità, anche se l’altitudine li espone maggiormente all’erosione eolica e delle piogge. E’ questo uno dei motivi per cui le terrazze sono così importanti sul Monte Etna.

Un altro vantaggio dell’altitudine è il cosiddetto “effetto termale”, che protegge maggiormente le vigne dalle gelate primaverili, in quanto , nei climi freschi, l’aria fredda di notte viene spinta via dall’aria più calda proveniente dalle quote più basse che hanno temperature più elevate. Oltre all’erosione, in altitudine, un rischio ulteriore è però rappresentato dalle uve bruciate dal sole, ben conosciuto da chi coltiva uve sensibili come il nebbiolo, o, in regioni più meridionali, il cannonau di Mamojada e il nerello mascalese dell’Etna, dove si cerca di   proteggere le uve con viti ad alberello schermate dai raggi solari. L’articolo continua esaminando il tema delle vigne d’altitudine facendo riferimento alle aree nelle quali esse sono maggiormente presenti: certo le regioni “di montagna” del nord, come Nord Piemonte, Valtellina, Trentino-Alto Adige (dove nascono pregiatissimi spumanti di altitudine)  e Valle d’Aosta, ed altre come l’Irpinia, dove la coltura dell’aglianico può (come a Castelfranci) spingersi anche oltre i 500 metri, fino a 650, e quelle delle isole (la Mamojada sarda e l’Etna).

Vediamo ora il resto. Dopo il lungo incontro-intervista con Sting e la moglie Trudy, che ricordano i vini  che hanno maggiormente influenzato la loro esperienza di viticultori in Toscana e quelli della loro tenuta de Il Palagio (strani nomi, Sister Moon e Bacio sulla bocca), si resta in Toscana per l’articolo di Monty Waldin sui rossi toscani “da bere” delle ultime annate, dalla 2010 alla 2016 (saltando- perché?-  2012 e 2014), quindi arrivano i Soave Top secondo Baudains (ben 5 spuntano 96/100: il Vigne della Brà Castelcerino 2018 di Filippi, il La Froscà 2016 di Gini, il Foscarin Slavinus 2018 di Monte Tondo, il Monte San Piero 2018 di Sandro De Bruno e il Carbonate 2018 di Suavia). Ci spostiamo dunque in Piemonte: dapprima le Barbera di Micaela Morris (Accornero, Giacomo Conterno, Michele Chiarlo, Olim Bauda- al top il suo Nizza 2016 con 95/100 e Vietti i suoi totem) e poi la retrospettiva dell’annata 2013 del Barolo.

Otto anni dopo, la 2013 si conferma come un’ottima annata  per il Barolo per Brooks: forse con meno grip e meno tensione della 2010, ma con più freschezza e slancio della 2011 e  più struttura e complessità della 2012 . Inoltre, come la 2010, i suoi vini sono più adatti a un invecchiamento prolungato delle annate 2011, 2012 e 2014, che hanno dato vini da apprezzare in un arco più limitato di anni. L’andamento stagionale dell’annata 2013 ha visto in successione una primavera fresca e con piogge (più abbondanti a maggio), un buon giugno asciutto, che ha permesso una fioritura favorevole, luglio e poi agosto giustamente caldi ma non torridi con relativamente poche giornate con temperature estreme, tempo favorevole per la maggior parte di settembre fino ai primi di ottobre, con  diverse giornate calde e notti fresche. Ovviamente è stata forte la pressione di muffa e peronospora, però limitata dalla vendemmia verde. Il Lazzarito di Mirafiori, con 95/100, è il vino che ha ottenuto il miglior punteggio, seguito, a un punto al di sotto, dal Fossati di Borgogno, il Cannubi di Brezza e il Brunate di Ceretto. Tra le riserve, di cui Brooks dice di non comprendere il senso (Italia e Spagna amano le riserve, sconosciute al contrario a Bordeaux), risultati eccellenti sono quelle della Vigna San Giuseppe di Cavallotto (95/100) e di Cerequio di Chiarlo.

Nell’articolo precedente, Carla Capalbo parla delle ambizioni della Sicilia, della passione per il Marsala e dell’evoluzione dell’Etna. I suoi preferiti: il Pietramarina 2016 di Benanti e il Grillo Integer di De Bartoli tra i bianchi (97/100 entrambi), il Cerasuolo di Vittoria delle Fontane 2014 dell’ambiziosa COS  e il Calderara Sottana  2017 di Terre Nere (stesso punteggio). Dei bianchi nativi del Friuli si occupa Garner, per la serie dell’”Expert’s Choice”: naturalmente il friulano, ma anche la ribolla, la malvasia e la vitovska sono le varietà più apprezzate. Su tutti il LaVila 2010 di Lis Neris , un friulano dell’Isonzo progettato per un prolungato cellaring, 95/100, poi lo Jelka 2015, blend di friulano, malvasia e ribolla del Collio di  Picek (94/100). Per completare il quadro: i bianchi greci del DWWA (Santorini e ancora Santorini), le wineries inglesi , dal Kent all’East Sussex, fino alle urban wineries londinesi scelte da Fiona Sims per il suo itinerario, i distillati (grappe e gin esotici),  l’articolo sulla gioia dell’apprendere nella degustazione di Jefford, per l’angolo dell’education, il branzino al sale visto dal River Café londinese e i i suoi “perfect matches”. Da segnalare la nuova sezione “Uncorked” che ingloba, come il GrapeVine di Wine Spectator, le news dal mondo , la posta dei lettori e le pagine dei columnists, e i consueti consigli per gli acquisti dei Weekday e Weekend Wines.

 

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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