Stampa estera: Decanter n. 8, 2021. Come si degusta?7 min read

Il titolo maggiore di questo numero, al centro della copertina, è “How to Taste”, come degustare: i trucchi, le tecniche e i segreti degli assaggiatori. Poi vi sono le degustazioni più importanti: la new wave dei bianchi spagnoli , Panel Tasting del mese; superbi blanc de blancs inglesi  “scelti dall’esperto” , report sull’annata 2018 dei Cabernet della Napa Valley californiana. Naturalmente c’è anche un articolo commemorativo di Steven Spurrier , leggenda del vino,  collaboratore per decenni di Decanter.

Comincerò da un  cenno sull’inchiesta di Victoria Moore, che apre il fascicolo, sui consigli e i trucchi di degustazione degli esperti: a partire dalla postura (meglio seduti) e dalla necessaria concentrazione, all’impiego di un bicchiere all’altezza. Alcuni aspetti sono più minuti: ad es. quanto deve essere abbondante il sorso durante l’assaggio ? Naturalmente varia da individuo a individuo, ma dev’essere “abbastanza perché gli aromi tornino al naso”, spiega Alex Hunt, uno degli esperti intervistati. Altri sono più generali. E’ soprattutto quando si assaggia il vino, più che durante l’olfazione, che si differenziano  due diversi approcci alla degustazione, che la Moore chiama rispettivamente “edonistico” e “intellettuale”: più olistico il primo, più analitico il secondo, portano spesso a valutazioni divergenti. Un’adeguata attenzione deve essere rivolta anche alla conoscenza del proprio palato e alle sue debolezze, spiega Choo Lee, per poter eliminare o ridurre i principali biases che possono influenzare il nostro giudizio. Un aspetto cruciale è infine quello  di valutare la “drinking window”, la capacità di durata di un vino: solo l’esperienza, e la conoscenza della varietà e del territorio da cui provengono, del millesimo e dello stile di vinificazione del produttore possono fornire indizi appropriati, afferma ancora Lee.

Tra i numerosi articoli di questo numero, i più interessanti per i lettori italiani sono quelli sulla degustazione dei bianchi spagnoli e  sui cabernet californiani del 2018. Ma prima un velocissimo sguardo al resto.

Matt Walls, specialista dei vini del Rodano, presenta le sue migliori scoperte tra i produttori emergenti, per la maggior parte provenienti dalle denominazioni (almeno relativamente) minori,   del Nord, come Saint-Joseph (Cave Julien Cécillon e Domaine De Gouye) e Crozes-Hermitage (Domaine Laurent Habrard) , e  del Sud, come Vinsobres (Domaine Gramenon, non proprio una novità, e Domaine Chaume-Arnaud) e Tavel (Domaine Moulin-la Viguerie). Unica segnalazione di una delle denominazioni maggiori, il Domaine Rotem et  Mounir-Saouma (98/100 per il loro magnifico Châteauneuf-du-Pape Arioso 2010).

David Sly delinea il profilo della St. Hallett Wines, rinomata per i suoi Barossa e Shiraz della  Eden Valley (98/100 il suo Shiraz di questo territorio Planted 1919 del 2015).

Il profilo regionale del mese, a firma di Sarah Ahmed, è focalizzato sull’Alentejo, nel sud-est portoghese. E’ una regione  con poco meno di 23.000 ettari di vigne, per la maggior parte comprese nell’unica DOC Alentejo, e per il resto nella denominazione regionale Alentejano, che produce vini sempre più interessanti principalmente da varietà autoctone: tra quelle a bacca rossa, per circa un quarto Aragonez, e, con percentuali di poco superiori al 15% ciascuna, Trincadeira Alicante Buschet .Le stesse proprozioni, all’incirca, si ripetono tra le varietà a bacca bianca: Antão Vaz e poi Roupeiro e Arinto.  I migliori assaggi: 97/100 per l’Alicante -Buschet Julio B Bastos 2015 di Doña Maria Wines, e,tra i bianchi, 95/100 per l’Alentejano Procura Na anfora di Susana Esteban 2018, proprietà entrambe comprese tra le dieci di maggior interesse per l’autrice.

Tocca a Susy Atkins scegliere i migliori  blanc de blancs inglesi, oggi forse la migliore tipologia di sparkling di questo territorio. Appena venti anni fa si trattava di cuvée relativamente modeste (la prima di Nyetimber risale al 1996), ma oggi la situazione è cambiata e i vini consigliati sarebbero stati molti di più se non fosse stato posto un limite preciso. La valutazione più alta (97/100) è stata attribuita a uno chardonnay in purezza, da vigna abbastanza giovane, del Buckinghamshire, il Blanc de blancs Brut 2015 di  Harrow & Hope, un punto al di sotto a una cuvée di Gusbourne (Kent) del 2016, e a una di Winston Estate 2015 (West Sussex). Da quest’ultima contea proviene anche il più maturo Blanc de blancs 2013 di Nyetimber, 95/100.

A parte le pagine dedicate ai distillati (questa volta tocca alle distillerie new wave di Scotch Whisky) e l’itinerario di viaggio nella Rioja, restano da segnalare solo quelle riservate alla gastronomia, tra le quali, insieme col Perfect pairing (col cosciotto d’agnello cotto per 7 ore), spicca l’appassionata “inside Guide” di Aldo Fiordelli all’Amarone e il cibo, con annessa appendice dei suoi sette gioielli (Quintarelli 2012 e Allegrini 2016 su tutti). Un blend complesso, quello dell’Amarone, che, secondo Fiordelli, richiede di accompagnare piatti complessi, ma anche sorprendentemente versatile. Da non trascurare la “local inspiration”, che propone l’Amarone col bollito misto con la peverada o la bondiola, e naturalmente la cacciagione.

Eccoci al Vintage report sui cabernet della Napa Valley dell’annata 2018, firmato da Matthew Luczy, che ne ha assaggiati 330 per Decanter. L’annata 2018 vale per la rivista 4 bottiglie e mezza (su 5), come la 2016, e, più indietro, la 2014 e la 2012. Solo 2011 e 2017 non hanno raggiunto almeno le quattro bottiglie piene. Si è trattato dunque di una annata molto positiva, anche se, come è caratteristica della regione, con gradazioni alcoliche decisamente alte: spesso oltre i 15° di alcol, in media 14°7, considerando anche i vini delle zone più alte. Da uve molto mature, hanno residui zuccherini elevati, con legno già ben integrato. Tra i Top 30 scelti da Luczy, ben quattro hanno raggiunto i 97 punti, ma due sono quelli definiti “Vini dell’anno”, ed entrambi hanno una gradazione alcolica inferiore ai 14°, il Kronos Vineyard di Carlson, a St.Helena, da una vigna di 50 anni, e il Grand Vin State Lane Vineyard di Kapcsándy di Yountville, un’AVA compresa tra Mount Veder e lo Stag’s Leap District, che Luczy non esita a definire “definitive, unique, fantastic”. Nell’articolo sono sinteticamente descritte le principali sottozone della Napa Valley, da quelle più settentrionali (Calistoga e Howell Mountain) a quelle del limite sud (Los Carneros e Coombsville), con le caratteristiche prevalenti dei vini che vi sono prodotti. I migliori 30 sono distribuiti un po’ tra tutte le principali zone e, accanto a quelli dei produttori più conosciuti, una diecina sono di wineries emergenti che l’autore del report segnala come “To watch”.

Protagonisti del Panel Tasting di questo numero sono i bianchi da uve indigene della Spagna, numerosissime quanto- a parte alcune eccezioni- poco conosciute, al di fuori dei confini territoriali. Ne parla Sarah Jane Evans, specialista dei vini della regione. Diversamente da ciò che pensano al vino spagnolo principalmente  come rosso, degli oltre 34 milioni di ettolitri prodotti nel 2019, quasi 16 milioni, ossia poco meno della metà, sono di vini bianchi. L’uva più coltivata è l’airén, seguita dal macabeo, dalla cayetana blanca (come l’airén principalmente destinata alla distillazione) e il verdejo. Ma la Spagna, per la Evans, è un territorio di caccia “terrific” (in inglese vuol dire straordinario) per le varietà a bacca bianca. A parte il godello, lo xarel-lo, la garnacha blanca, ve ne sono altre sorprendenti che si cominciano a riscoprire o a vinificare diversamente dai modi prevalenti della tradizione: valga come esempio il palomino fino, ingrediente principe degli sherry, non fortificato e con poca o senza flor. Veniamo alla degustazione: se dei 149 vini assaggiati, nessuno ha raggiunto il punteggio (98/100) necessario per la valutazione di “exceptional”, ben 7 sono stati giudicati “outstanding” (95-97):  hanno ottenuto 96/100  un bianco della Rioja del 2013 (il Viña Muriel Reserva, di Muriel), un Godello di Bierzo del 2018, l’Ultreia di Raul Pérez, e un Palomino andaluso non fortificato del 2018 di Valdespino, il Macharnudo Alto. A parte questi gioielli, bisogna rimarcare i 77 (più della metà dei vini degustati) che hanno ottenuto più di 90 (fino a 94) punti su 100, e gli altri 70 compresi tra gli 86 e gli 89/100, tutti ottimi vini. Solo un vino è risultato difettoso, ma nessuno insufficiente (fair o poor).

Avremmo finito, se a questo numero non fosse allegato anche una guida (sponsorizzata dal paese in oggetto) ai vini dell’Ungheria, 36 pagine a colori, del quale, a parte le consuete vetrine dei vini migliori selezionati dei tre colori, segnalo a chi fosse interessato, l’articolo di Caroline Gilby sulle diverse regioni del vino ungheresi, naturalmente i focus sul furmint e sul Tokaji e la guida di Budapest per i wine lovers, con gli indirizzi suggeriti da Csaba Harmath.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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