Stampa estera da conoscere e commentare: Bourgogne Aujourd’hui, n. 1458 min read

L’avanzata della viticultura biologica in Borgogna (titolo principale di copertina, accompagnato dall’immagine di una giovane donna che ara la vigna con un cavallo) è l’argomento più importante di questo  numero, che contiene anche un ritratto (con annessa degustazione in verticale) dei Buisson (Henri e Gilles), proprietari di un esemplare domaine a Saint-Romain e  convinti sostenitori della conduzione biologica .

Gli altri temi di punta sono, per la serie “Domaines di culto”, un articolo dedicato alle sorelle Mugneret-Gibourg e ai loro grandi crus, e le grandi degustazioni sistematiche di questo mese.

Queste  conducono il lettore nella parte settentrionale della Côte-de-Beaune, poi a Vougeot, e infine nei crus del Maconnais.

Dapprima un cenno veloce a queste ultime, lasciando a chi legge il piacere di scoprire le novità più interessanti. L’attenzione di Bourgogne Aujourd’hui è innanzitutto dedicata alle denominazioni di Savigny-lès-Beaune e Chorey-lès Beaune (nel numero precedente era toccato ad Auxey-Duresses, Saint-Romain, Monthélie e Meursault).

Piccole solo di nome e in costante miglioramento, come mostrano i risultati delle tre ultime vendemmie (2015-2017) , gelate e grandinate a parte. Soprattutto la prima, nella quale sono alcuni premier cru di grande interesse (in questo numero si parla di Aux Serpentières, poco più di 12 ettari degli oltre 140 classificati come premier cru, situati nella sezione settentrionale, la più fine, dell’appellation).

A Savigny-lès-Beaune, più di tre quarti dei campioni degustati ha superato a pieni voti la prova degli assaggiatori (la percentuale sale all’83% nella difficilissima annata 2016). Più solare, con vini ricchi, intensamente colorati, ma molto equilibrati , l’annata 2015; la 2017 ha dato vini più delicati e molto gourmand, mentre é nella vendemmia 2016 che si trovano vini di notevole intensità e concentrazione, anche se forse ancora un po’ chiusi.

Ben tre vini rossi di Savigny hanno raggiunto il punteggio top di 19/20: il Lavières 2015 del Domaine Chandon de Brialles, e non è certo una sorpresa, l’Aux Fourneaux 2015 del Domaine Rapet Père et Fils, e un village , dal curioso nome di Serrignyssime 2017 del Domaine di Francine e Marie-Laure Serrigny.

Anche la più semplice appellation Chorey-lès-Beaune, che non ha ancora alcun premier cru, ha proposto però vini molto piacevoli e intensamente  fruttati, caratterizzati da frutti neri maturi: massimo punteggio (17.5/20) per il rosso 2017 (senza indicazioni di toponimo) di Michel Gay e figli e quello della stessa annata di Romain Pertuzot.

I degustatori di Bourgogne Aujourd’hui hanno poi esaminato i  bianchi del Mâconnais (villages e i crus Pouilly-Fuissé, Loché e Vinzelles, Saint-Véran e Viré-Clessé) dell’annata 2016. Nonostante le forti grandinate primaverili, i vignerons di questa zona, in costante ascesa, della Borgogna, hanno elaborato delle cuvées  molto classiche e di grande interesse per il consumatore. Le riuscite migliori sono state quelle di Pouilly-Fuissé e Viré-Clessé. Buone, ma un  po’ più variabili sono state invece quelle delle altre appellations , St.Véran e Poully-Loché e Vinzelles.

Il miglior risultato (18.5/20) è venuto dalla cuvée Ampelopsis 2016 del Domaine Saumaize-Michelin: un Pouilly-Fuissé proveniente da vecchie vigne, con un élevage di  22 mesi , e vino faro del Domaine (ahimé, elevato anche nel prezzo, 29 euro la bottiglia).

La terza degustazione è quella dedicata al  terroir di Vougeot, l’unico nel quale l’area a grand cru (solo rosso) è quasi quadrupla di quella destinata alla produzione di vini village  e dei quattro  premier cru . Un terroir mitico, nel quale, come recita enfaticamente il titolo del servizio ad esso dedicato,  “i miti corrispondono talvolta alla realtà”.

E di fatti, dopo un lungo periodo di appannamento,Clos de Vougeot non è mai stato così buono  (95% di riuscita per i vini delle annate 2015-7), e anche i premier cru  hanno ottenuto buoni risultati. I vini del 2015, più ricchi e solari, cominciano ora a “chiudersi”, preparandosi a un grande futuro. Quelli del 2016, sia pur con basse rese a causa delle gelate di fine aprile, sono  intensi e concentrati, con notevoli finezza e complessità aromatiche. I 2017 sono in linea con l’andamento generale della vendemmia, su registri più freschi e floreali. Grandi riuscite (con 19/20) sono state quelle del Vieilles Vignes 2016 di Château de la Tour, del Grand Maupertui di Anne Gros  e del Clos de Vougeot 2017 del Domaine Mugneret-Gibourg (dall’antico lieu-dit di Mentiottes Hautes) , anche quest’anno nel gruppo dei migliori.

Al Domaine Mugneret-Gibourg (i vini sono etichettati come Domaine Georges Mugneret-Gibourg,  a seguito della fusione amministrativa dei Domaines Georges Mugneret e Mugneret-Gibourg) è dedicato un ampio servizio . Appena 8 ettari di proprietà ( a parte un ulteriore ettaro e mezzo a metayage del cugino Pascal Mugneret), ma  ripartiti tra grandissimi terroir: naturalmente la  preziosa parcella di Clos de Vougeot, al quale si aggiungono quelle non  meno prestigiose quelle di Échezeaux e Ruchottes-Chambertin, anch’esse grands crus (di seguito è riportata una miniverticale di sei annate), e i premiers crus Les Feusselottes (a Chambolle-Musigny) , Les Chaignots e Vignes Rondes (a Nuits-Saint-Georges), oltre ad alcune parcelle minori, ma molto qualitative, in cinque differenti  lieux-dits di Vosne-Romanée.

Oggi é un domaine interamente al femminile. A occuparsene, infatti, sono le due sorelle, Marie-Christine (Teillaud-Mugneret) e Marie-Andrée (Nauleau-Mugneret), ma danno una mano anche le rispettive figlie , Lucie e Marion.  Le vigne  sono condotte secondo i criteri della lutte raisonnée, ma comunque molto rispettosa dell’ambiente (l’impiego di diserbanti è stato interamente eliminato a partire dal 2000).

Da lunga data, è invece a  conduzione  biologica e  attualmente  in conversione alla biodinamica,  il Domaine Henri et Gilles Buisson, al quale è dedicato un altro servizio, che apre al dossier dedicato alla vitivinicoltura bio (“Une Viticulture engagée”).

Riferimento sicuro di Saint-Romain , nel quale si trovano 11 dei circa 20 ettari di proprietà (che include preziose parcelle a Corton-Rognet, Corton- Renardes e Corton-Charlemagne), questo dinamico domaine è attualmente affidato ai due figli di Gilles (peraltro ancora presente e attivo, con la moglie Monica) , Frédéric, enologo, e Franck, responsabile della comunicazione e commercializzazione. Nove le cuvées di Saint Romain, che “da sempre” (ossia dagli anni ’80, quando a capo dell’azienda era ancora il nonno Henri) rivendicano in etichetta il nome dei lieux-dits di provenienza, tra i migliori di questa appellation,  in attesa del riconoscimento come premier cru, di cui questo comune è ancora sprovvisto.

A una di esse , un bianco da uve  chardonnay, di esemplare freschezza e tensione, Sous la Velle, è poi dedicata l’ampia verticale , che risale fino alla vendemmia 1985,  a conclusione dell’articolo. Annata dopo annata la degustazione ha messo in evidenza un vino che, col tempo, mostra un’identità precisa, acquistando una notevole complessità.

Il Domaine dei Buisson è schierato con convinzione nella viticultura biologica: decisivo, per Frédéric, in questo senso, è stato  uno stage presso il Domaine Leflaive, quando c’era ancora Anne-Claude. Per lui la chimica, oltre a rispondere ad una “logique de mort”, è anche inefficace a lungo termine, in quanto le specie viventi giungono prima o poi sempre ad adattarsi alle molecole dei prodotti di sintesi, rendendo questi ultimi inefficaci.

Siamo ormai  giunti al dossier dedicato al’universo bio, in costante espansione in tutta la Borgogna:  con uno slancio minore nella sola Yonne, nella quale la spinta produttivista mal si concilia con la logica della coltivazione biologica. Un rallentamento e qualche passo indietro sono stati provocati nel 2016 dall’attacco concomitante di gelo, grandinate e mildiou, ma i domaines che avevano dovuto sospendere la certificazione bio l’hanno richiesta nuovamente, indice di un processo ormai saldamente impiantato nella cultura vinicola del luogo.

Prova ne sono gli ormai numerosi (troppi?)  loghi dei vari tipi di certificazione, dall’agricoltura raisonnée ai vini bio, biodinamici e nature (questi ultimi di associazioni di produttori, non esistendo ancora alcuna definizione ufficiale). I problemi non sono però pochi , come ammettono alcuni vignerons che hanno dovuto  sospendere la certificazione, come i Muzard (Hervé e Claude), che hanno sottolineato le difficoltà delle vigne che si trovano nelle parti più basse del coteau, per le maggiori difficoltà nello smaltimento delle acque.

C’è poi l’esigenza di ridurre l’impiego di rame , anche a seguito della  diminuzione , richiesta dalla commissione europea, da 6 a 4 Kg. l’anno.  Jean-Philippe Bret (Bret Brothers e La Soufrandière) osserva che , nella loro zona,  se ne impiega molto meno già oggi (in media 1.4 Kg.), ma  si cerca di diminuire ulteriormente  tale quantità , oltre a cercare modi più performanti di somministrazione mediante polverizzazione. L’altra strada in esame è quella della utilizzazione di prodotti che stimolano la difesa delle piante  o di vitigni resistenti al mildiou.

In chiusura del dossier è un intrigante confronto alla cieca tra vini  bio e non (ma di domaines a viticultura “hyper-raisonnée) di diversi territori (Chablis, St.Aubin, Chambolle-Musigny, Côte Chalonnaise, Côte de Beaune). E’ possibile identificare un “marcatore” dei vini bio? I pareri sono concordi nel sottolineare il ruolo dell’acidità. Il pH delle uve coltivate biologicamente è più basso, e la struttura acida dei vini è differente, spesso più marcata e più strutturante. Secondo alcuni le uve coltivate biologicamente consentono un migliore equilibrio tartarico/malico, permettendo una vendemmia leggermente più precoce, conferendo ai vini bio una maggiore tensione.

Che altro c’è, oltre alle rubriche di sempre?  Una interessante intervista a Olivier Pion(Pion Le Meilleur Vin), agente commerciale e distributore, che  discute dell’ascesa  dei vini borgognoni e delle future sfide  che dovranno affrontare i produttori  per mantenere i livelli raggiunti; un ritratto della Maison Loron, saldamente insediata nel Mâconnais e nel Beaujolais; un articolo (con ricette) sul carattere gastronomico del Bouzeron ,  che festeggia i 20 anni della sua AOC.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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