Stampa estera a portata di clic: En Magnum. Le Vin + Grand n. 17-20196 min read

Come sempre, a illustrare la  copertina di questa rivista è una magnum di un vino emblematico, e questa volta tocca allo Chambertin del Domaine Trapet del 2017. Ad accompagnarla, molti titoli  affastellati, tra i quali, naturalmente, le Foires aux vins . Ecco alcuni degli altri: i rosé di Provenza, i cabernet australiani, il sémillon secondo Bettane, chenin di Savennières, élévage  in Borgogna.

Insomma ce n’è per tutti i gusti. Questo numero comprende sei articoli principali. Il primo è quello firmato da Nicolas de Rouyn, sui rosé della Provenza. Vino di culto, il rosé provenzale è ormai richiesto in tutto il mondo e rappresenta il modello di riferimento per tutti i produttori, anche di altre zone, che pure hanno una tradizione importante per i vini di questo colore. Il suo successo mette in ombra il potenziale, peraltro interessante, di rossi (solo il 7% della produzione) e bianchi (il 3%), visto che il restante 90% è ormai rappresentato da un mare di rosé. E i prezzi prendono il volo, con bottiglie che arrivano a oltrepassare i 150 euro.

Cinque produttori soprattutto appaiono a De Rouyn come meritevoli della più grande attenzione: lo Château La Verrerie , sul versante sud del Massif du Lubéron Le Domaine de la Font des Pères, a Besset, lo Château Sainte-Roseline a Les Arcs-sur-Argens, la Commanderie de Peyrassol a Flassans-sur-Issoles, il Domaine de Fontenille, a Lauris (sud del Lubéron).

Il secondo servizio-clou è firmato da Laurent Gotti, apprezzato borgognista, che informa i lettori di En Magnum sulla progressiva riduzione dei fusti di legno nell’élévage dei crus della Borgogna e sull’apparizione, sempre più frequente nelle cuveries, del cemento, dell’argilla e della ceramica.  I produttori avevano spinto troppo sul legno e sull’impiego di pièces nuove, giungendo, in taluni casi, specie per i grands crus, al 100% di legno nuovo. Oggi la proporzione é scesa, in molti casi, al 30% e sono rari quelli che superano il 50%. I consumatori non amano più il gusto troppo invasivo del legno, e ciò che soprattutto richiedono sono i vini-frutto, espressivi, piacevoli da bere, e il pinot noir ha certo molto da offrire. La terracotta sta prendendo sempre più piede, e anche nella Côte-d’Or, ci sono vignerons, come Frédéric Magnien , che propongono crus di Morey-Saint-Denis, Chambolle-Musigny e Gevrey-Chambertin affinati in anfora.

Dalla Provenza alla Borgogna, ma poi Gilles Durand-Daguin , con un nuovo salto, ci porta nelle terre del Savennières,  patria dello chenin blanc, dal quale proviene uno dei vini più celebrati del mondo, il Clos de la Coulée Serrant . I Savennières sono vini soltanto bianchi prodotti con lo chenin in una appellation  di meno di 400 ettari in produzione (370), in tre comuni (Bouchemaine, La Possonnière, e naturalmente Savennières), situati sulla riva destra del Loira  a sud-ovest di Angers. Dopo un periodo abbastanza prolungato di addormentamento, il Savennières sta rialzando la testa , con un innegabile progresso qualitativo, e anche i prezzi, soprattutto negli ultimi anni, hanno ripreso a salire: un buon Savennières costa oggi tra i 15 e i 30 euro. A parte l’icona Coulée de Serrant, è in piena ascesa il Domaines aux Mointes, ed altri produttori, come il Domaine du Closel, Damien Laureau, Loic Mahé, Thibault Boudignon e Eric Morgat sono a livelli di eccellenza.

NIcolas Joly

Ed eccoci al quarto articolo importante, quello di Michel Bettane sul sémillon, varietà fondamentale dei grandi Sauternes e Barsac, che ha fatto fortuna soprattutto in Australia, nella Hunter Valley, nel Nuovo Galles. In Francia, il sémillon cerca invano di resistere al predominio montante del sauvignon e la crisi dei vini liquorosi ha ulteriormente marcato la decadenza di questa grande varietà, tanto amata dalla botrytis. I grandi sémillon della terra di Francia? Non solo nel Sauternais e  a Pessac-Léognan : il Clos Mireille dell’alsaziano Marcel Ott in terra di Provenza lo sta dimostrando.

Dopo averla evocata nell’articolo dedicato al sémillon, En Magnum  conduce il lettore in Australia, alla scoperta dei suoi cabernet. Ne parla Béatrice Brasseur, nel quinto servizio principale di questo numero, arricchito dalle belle foto di Mathieu Garçon. Quinto produttore mondiale di vino in volume, con i suoi 13.7 milioni di hl., l’Australia può contare su 145.000 ettari di vigna, nei quali le varietà a bacca rossa  prevalgono su quelle a bacca bianca (52 contro 48%). Le uve più coltivate sono naturalmente  syrah (30%), seguite da cabernet (18%) e chardonnay (16%). Coonawarra, la Barossa Valley, dove sono anche le vigne più antiche d’Australia, risalenti al 1840, Adelaide Hills sono tra le aree più reputate. Icona assoluta è il Grange di Penfold’s, una delle molte aziende che fanno parte dell’universo Treasury, un colosso di quasi mezzo miliardo di bottiglie prodotte in Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti e perfino in Italia.

L’articolo tecnico di questo numero, di Véronique Raisin, tocca il tema importante della decadenza della vigna e le strategie per la resistenza secondo la  vivaista Lilian Bérillon. Oltre agli articoli principali, En Magnum contiene anche alcuni servizi prevalentemente fotografici, nei quali le immagini costituiscono il tema principale e i testi sono di accompagnamento.

In questo numero c’è quello destinato ai vigneti “impossibili”,  piantati in regioni dai climi estremi come il Gabon o la Norvegia, in apertura del fascicolo, mentre quello di Pascale Cassagnes è dedicato ai “vendemmiatori di un giorno”,  che decidono di andare a vivere presso i vignerons per condividere un momento della loro vita, quello della vendemmia.”Têtes de cuvée #17” di Nicolas de Rouyn è la consueta vetrina di personaggi del mondo del vino, questa volta della Valle del Rodano e della Gironda.

Ci sono poi gli articoli brevi (numerosi): le 40 vendemmie di Michel Bettane, i cognac invecchiati oltre Manica, l’ingresso di Sara Lecompte-Cuvelier  alla guida di Léoville-Poyferré, Michael Huang, un cinese a Blaye, i progetti di Jean-Claude Mas per i vini del Languedoc, vignerons australiani ad Ampuis. Ci sono naturalmente le degustazioni: la selezione di En Magnum delle migliori proposte delle Foires aux Vins, le magnum di En Magnum, da Bordeaux, dalla Borgogna e dalla Champagne, i consigli per la scelta dei vini di Saint-Joseph e per quelli da vitigni rari.

A coronamento degli assaggi di questo numero, è la verticale di 27 millesimi (dal 1943 al 2017) di Château Beauregard, Pomerol di rango, presentata da Michel Bettane: direi abbastanza deludente, visto che solo tre millesimi superano i 17/20 (massimo punteggio, l’annata 2017, con 18/20) e ben 12 non raggiungono i 15/20 (tre di essi sono risultati “non notable” perché alterati). Sole sorprese positive: un 1955, un 1961 e un 1970 ancora in ottima forma (17/20-17.5/20). Naturalmente c’è lo spazio dedicato alla gastronomia: i ristoranti parigini “grandi spazi” selezionati da Le coureur de Vin, le interviste-lampo ai promossi dalla Guide Lebey,  gli abbinamenti per la pluma iberica e il comté. Infine le notizie, le rubriche, le vignette al vetriolo sul “Popolo delle vigne” visto da Régis Franc.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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