Stampa estera a portata di clic: Decanter, vol 44, luglio 201910 min read

Bianchi d’estate, spumanti, rossi leggeri e vibranti sono i temi principali di questo numero, ampiamente multiterritoriale. Cominciamo dai Panel Tastings che questa volta riguardano rispettivamente i rossi non fortificati del Douro, i sauvignon affinati in legno della Nuova Zelanda  e, per la serie “Experts Choice”,  i vini bianchi e rossi  di Slovenia e Croazia.

Nel Douro non ci sono solo grandi Porto: anche tra i rossi non fortificati ci sono vini di ottima qualità, ancora poco costosi e che negli ultimi anni hanno fatto notevoli progressi. Per quanto possa sembrare curioso, la scoperta delle poptenzialità dei vini “da tavola” nel Douro, risale solo agli anni ’50, ed é addirittura a partire dagli anni ’90  che   alcuni produttori cominciarono ad imitare quello che ne era stato indubbiamente il precursore, la casa Ferreirinha col suo famoso Barca Velha.

Dopo l’abbondante vendemmia del 2013, molto promettente, ma in parte compromessa dalle piogge  di settembre, e un’annata 2014  che ha dato vini più fini che concentrati, si sono succeduti tre ottimi millesimi (specie 2016 e 2017), sia pure di caratteritiche diverse. L’ultima annata, quella del 2018, come in altre regioni d’Europa, é stata caratterizzata da condizioni meterologiche estreme (periodi di siccità, grandi piogge, grandinate, caldo estremo) che hanno dato come esito volumi ridotti e vini poco concentrati, di qualità molto variabile da viticultore a viticultore.

La degustazione di Decanter si é basata su vini delle ultime cinque vendemmie (dal 2013 al 2017), ma principalmente  delle ultime tre.Tre sono stati i vini valutati outstanding (95-97 punti), nessun exceptional (98-100), due dei quali dell’annata 2017 e uno di quella precedente. Tredici vini sui 14 giudicati come “molto raccomandabili” (90-94) provengono anch’essi dalle annate 2016 e 2017, a conferma dell’eccellenza di queste due vendemmie: vini ricchi, ma anche di grande freschezza, grazie ad una acidità incisiva.

La degustazione successiva si é focalizzata sui nuovi sauvignon blanc neozelandesi, che stanno sperimentando l’affinamento in legno. Calde e molto secche le annate 2013-2015, che hanno dato vini ricchi e molto aromatici,  la 2016 é stata altrettanto calda ma più umida: i bianchi sono eccellenti , in un millesimo da cui sono venuti anche rossi molto interessanti. Più difficili le ultime due vendemmie: la 2017  ha avuto un’estate povera e molta umidità, che ha favorito la pressione della botrytis, la 2018 é stata invece notevolmente torrida, mentre le regioni costiere hanno notevolmente sofferto anche per i cicloni di febbraio.

I risultati: anche in questo caso non c’é stato alcun vino eccezionale e solo  tre outstanding, tutti sauvignon di Marlborough, rispettivamente delle annate 2015,2016 e 2017; diciotto  sono invece i vini “highly recommended”, tra i quali sette dell’ultima annata , la 2018, anch’essi prevalentemente da Marlborough, con alcuni provenienti da altre zone vocate (Martinborough, Central Otago, Hawkes Bay).

Ancora poco conosciuti internazionalemnente, i vini sloveni e croati stanno rapidamente costruendosi una reputazione, grazie ad una posizione geografica favorevole  e a condizioni climatiche miti. La Slovenia, confinante con la Croazia a sud e, a nord, con Italia, Austria e Ungheria (da ovest verso est), si é fatta apprezzare soprattutto  per i suoi bianchi  da varietà internazionali (sauvignon, chardonnay e pinot gris) e dall’”italiana” ribolla, mentre i rossi più  conosciuti  sono i merlot delle colline di Brda  e i  pinot noir nella Vipava Valley.

Per quanto riguarda la regione di Podravje, a nord-est, vi sono maggiori somiglianze con i vini della confinante Stiria austriaca. Qui si producono bianchi freschi e vibranti, alcuni apprezzabili vini dolci e vini rossi non molto importanti a base di borgonja (nome locale del blaufränkish) e pinot noir. Infine sono meno conosciuti i vini di Posavje, un po’ offuscati da quelli delle regioni vicine, ma anche lì cominciano a prodursi discreti vini di entrambi i colori e piacevoli sparklings.

La Croazia può contare su un notevole patrimonio di oltre 200 varietà , di cui almeno 120 indigene, e una grande varietà di territori , che vanno dai villaggi collinari istriani a quelli più continentali della Slavonia e alla costa e alle  isole dalmate, tra cui la pianura di Stari Grad nell’isola di Hvar, sito riconosciuto dall’UNESCO, con una lunghissima  storia  di produzione vinicola.

Diverse le varietà impiegate: tra i vini bianchi  (quelli che hanno ottenuto i punteggi più elevati) selezionati da Decanter  eccellono malvasia, gravesina e posip ( un autoctono croato), traminer, ma anche pinot gris e sauvignon; tra i rossi sono stati apprezzati quelli provenienti da varietà locali come la rara darnekuša e la borgonja (blaufränkisch), teran e merlot. Sorprende un po’ che tra i prescelti di Decanter non ci sia alcun Plavac Mali, l’uva a bacca rossa più importante della Dalmazia meridionale.

Anche le altre degustazioni presentate in questo numero sono contrassegnate da una marcata multinazionalità, a partire da quella dei migliori rossi a macerazione carbonica. Non solo Beaujolais , che sono anzi solo 5 tra i 30 selezionati da Decanter; ci sono invece pinot noir neozelandesi , australiani,  californiani e dell’Oregon, syrah e grenache francesi (Languedoc), spagnoli e australiani, pinotage sudafricani, malbec argentini e del Lot francese… Insomma un po’ di tutto. Al vertice, con 95/100 sono due Pinot noir, uno dellaa Central Otago e l’altro della Williamette.

L’articolo di Sarah Jane Evans  affronta il tema dei bianchi  spagnoli, ancora poco conosciuti in confronto ai suoi più famosi rossi. I migliori non però solo tra  gli albarinho delle Rias Baixas  e quelli a base di garnacha blanca, prevalentemente catalani , di Terra Alta, dove si esalta in altitudine nell’altenanza tra giornate molto calde e soleggiate  e il fresco notturno. Bianchi non meno interessanti sono  anche quelli provenienti da un’altra varietà bianca catalana, molto adatta alla  spumantizzazione, l’uva Xarel-lo (difatti di solito é un ingrediente dei cava), dalla malvasia (o meglio le molte varietà di malvasia  diffuse nella Rioja e nel Toro come nelle Canarie e a Lanzarote) e dal listan blanco (corrispondente al palomino di Jerez), una varietà apparentemente banale, poco acida e povera di alcol, che però si trasforma sui suoli vulcanici  delle Canarie.

Xarel-lo

Stephen Brooks dedica un ampio servizio ai grandi Riesling alsaziani , dei quali descrive i siti più vocati, e cioé  quelli a cui é riconosciuto lo status di grand crus. Il suo esame parte dal cru più meridionale,  Rangen, per poi risalire verso quelli  settentrionali , di  Ribeauville, Bergheim e ancora più a nord  di  Andlau. Dopo aver parlato della posizione e del suolo di ognuno, accennando alle loro caratteristiche , Brooks  riporta  le schede di una ventina di assaggi relativi ai riesling di ciascuno di essi.  Al vertice della sua gerarchia sono il  meridionale Rangen di Zind-Humbrecht 2015 (Thann) e  il Rosacker Sainte -Hune di Trimbach  2012 (nella più settentrionale Ribeauville) .  Con  un punto al di sotto é  lo Schoenenburg Schoelhammer di Hugel 2008 (nella vicina Riquewihr, appena più a sud).

A seguire c’é un po’ d’Italia e l’articolo non poteva essere più tempestivo, perché parla delle ambizioni del Prosecco, fresco del riconoscimento del’UNESCO assegnato alle spettacolari  colline dove nasce il DOCG. Michaela Morris  riferisce sui recenti  sviluppi: accanto a una generale riduzione dei residui di zucchero, la ricerca di una maggiore altitudine, l’adozione dello charmat lungo, le selezioni di vigna. I Prosecco preferiti dalla Morris, che ha assegnato loro ben 95/100, sono due millesimati, il Col Credas Rive di Farra Prosecco superiore  di Adami 2017 e il Grave di Stecca di Nino Franco 2013.

L’ultima degustazione di questo numero é dedicata ai  vini di Santorini,  dove naturalmente é padrone l’Assyrtiko, ma si fanno strada i Nassitos (blend di assyrtiko , athiri e aidani) e i rossi Aidani. Sopra tutti, per l’autore, Adrian Mourby,  é un assyrtiko da vigne molto vecchie, l’Ancestral Vines 34 di Karamolegos del 2017, 96 punti. A completare il quadro degli articoli che precedono la Buying Guide,  che comprende i Panel Tasting, sono un’intervista a Jamie Kutch, innamorato dei Pinot noir a Sonoma, e il profilo del produttore, l’australiano Wakefield,  che ha raggiunto ormai i 50 anni. Poi, naturalmente, ci sono le consuete rubriche, le pagine dei columnists Jefford (su Koshu, wineshop di stile inglese-eclettico in Giappone)  e Mc Coy (un’antica querelle: il vino vecchio é migliore?).  Non resta che la leggenda del vino: Château Pichon Baron 2005, ad anticipare il supplemento monografico interamente dedicato ai vini di Bordeaux, che accompagna la rivista.

Bordeaux supplement

Il numero di luglio é però doppio, in quanto contiene un allegato di pari dimensioni della rivista (120 pagine a colori) interamente dedicato a Bordeaux e ai suoi vini , denso di articoli interessant. Il primo di essi, firmato da Sebastian Payne, affronta il difficile compito di confrontare le annate dal 2002 al 2015 ( é troppo presto per una valutazione definitiva delle  annate 2016-2018), allo scopo di stilare la graduatoria delle migliori. Payne non ha dubbi: al vertice c’é il 2010, poi da 2009 e 2005 appaiate, e 2000. Solo quinta la grande annata 2015. E in fondo alla classifica c’é il 2013 (avaro sia in qualità che in quantità), preceduto appena da 2002 e 2011, e più su da 2007 e 2004.

Sono passati dieci anni dalla grande annata 2009 e Jane Anson ha riassaggiato un’ampia selezione di vini alla ricerca di conferme e di sorprese.  Nella sua particolare graduatoria della Rive Gauche é un eccezionale Château Margaux (100/100) a mettere tutti in fila . Un punto al di sotto é Latour, e due  gli altri due premier cru di Pauillac,  con Ducru-Beaucaillou, Montrose, Pichon Baron e Léoville Las Cases. Tra i Graves, perfect score (100/100) per Haut Bailly, seguito da Haut-Brion (98) e La Mission Haut-Brion (97). Nella Rive Droite, perfect score anche  per Cheval Blanc a Saint-Émilion e Petrus a Pomerol. Di seguito é l’intervista  della stessa Anson a Ronan Laborde  (Château Clinet a Pomerol), poi é Panos Kakaviatos a rendere merito al grande terroir settentrionale di Saint-Estèphe, dominato da Cos d’Estournel, Montrose e Calon- Ségur, ma che comprende molte altre realtà di grande qualità, da Phélan Ségur a Ormes de Pez e Haut-Marbuzet.

Ed é al grande Château Montrose dei fratelli Bouygues che Colin Mc Coy dedica il profilo del produttore di questo mese.  Oggi si parla meno di un tempo dei claret di Bordeaux, e Clinton Cawood ha chiesto a vari giornalisti, buyers e sommelier di indicare i loro preferiti,  che offrono piacevolezza e costi ragionevoli. Tra quelli che costano intorno o poco meno alle 12 sterline, lo Château Pey-Latour, un Bordeaux Supérieur e lo Château Marsau , Francs Côtes de Bordeaux. Costa invece appena sette pounds il  Society’s Claret di Wine Society, un blend molto apprezzato per il suo frutto fresco e  immediato. Ancora Jane Anson segnala 10 crus di Saint-Émilion  da non dimenticare. Gli assaggi più sorprendenti?  Château Fonplégade 2014, La Fleur Morange 2016,  Corbin 2009, La Serre 2015, tutti valutati 94/100,  con prezzi tra le 25 e le 30 sterline.

Le ultime due degustazioni di questo fascicolo riguardano rispettivamente i bianchi secchi e i Sauternes. Andy Howard  presenta i suoi assaggi migliori  dei primi (Château Haut-Lafitte  e Domaine de Chevalier, entrambi cru classés di Pessac-Léognan  guidano la graduatoria con 96/100, ma subito dopo c’é il sorprendente Pavillon Blanc dello Chateau Margaux), mentre  tocca a James Lawther parlare dei secondi, che soffrono di una graduale caduta di interesse da parte dei consumatori per questa tipologia di vini e soprattutto a causa di  alcune annate piuttosto difficili dal punto di vista metereologico. I preferiti di Lawther? Beh, niente soprese: Climens e Yquem (semmai stupisce l’assenza di Coutet).

Dopo due  articoli  su temi di “contorno” (il nuovo design delle cantine e  le etichette storiche dei grandi vini di Bordeaux), ecco due servizi che interesseranno chi  progetti un viaggio nella regione: i migliori bar à vins , scelti da Jennifer Dombrowski, e gli indirizzi più interessanti per mangiare dormire, suggeriti da Sophie Kevany (tutti un po’ costosetti). Si chiude con le migliori liste di vini bordolesi dei ristoranti di tutto il mondo, scelte da Natasha Hughes (c’é anche un locale italiano, La Ciau del Tornavento). Si chiude con una tabella sinottica sui millesimi “da bere” o “da conservare”, oppure che possono essere bevuti subito o conservati ancora nelle varie regioni di Bordeaux.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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